Editoriale: Non dobbiamo sminuire la mancanza di diritti umani

da | Nov 22, 2022 | featured2, Formazione vincenziana | 0 commenti

Nel 1848, Federico Ozanam fu candidato deputato alle elezioni dell’Assemblea nazionale francese, su proposta di diversi gruppi di cittadini. Per sollecitare il voto dei suoi compatrioti, scrisse una lettera circolare indirizzata “agli elettori del dipartimento del Rodano [dove si era candidato]” in cui affermava, tra l’altro, che si sarebbe adoperato per “i diritti del lavoro, […] le associazioni dei lavoratori, […] le opere di pubblica utilità di iniziativa statale, che possono offrire ristoro ai lavoratori che mancano di lavoro o di risorse, e […] chiedere misure di giustizia e di sicurezza sociale per alleviare le sofferenze della popolazione”. Federico non fu eletto, ma questo manifesto ci parla della preoccupazione e dell’iniziativa di un seguace di San Vincenzo de’ Paoli per alleviare, anche attraverso l’impegno politico, le ingiustizie che i lavoratori sperimentavano nel suo tempo; egli non volgeva le spalle alla questione sociale, cioè a tutti i problemi che nascevano dalla Rivoluzione industriale (a tutti i livelli: politico, intellettuale, religioso…), soprattutto al pauperismo e alla mancanza di diritti della classe operaia, dei lavoratori.

La realtà dei lavoratori nella Francia di metà Ottocento

Nel 1840, l’economista Louis-René Villermé realizzò uno studio in cui dipingeva un ritratto spaventoso della realtà delle famiglie operaie di Parigi e di altre città-fabbrica. In essa dice:

Ipotizzando una famiglia il cui padre, madre e figlio di 10-12 anni ricevono un salario ordinario, questa famiglia può raccogliere in un anno, se la malattia di uno dei suoi membri o la mancanza di lavoro non diminuisce i suoi guadagni, il padre: 450 franchi; la madre: 300 franchi; il figlio: 165 franchi. Per un totale di 915 franchi.

Vediamo ora quali sono le spese [annuali]. Se occupano solo una stanza, una specie di soffitta, una cantina, un piccolo locale, l’ affitto […] costa di solito dai 40 agli 80 franchi in città. Prendiamo la media: 60 franchi. Cibo: 738 franchi. Quindi, vitto e alloggio: 798 franchi. Restano 117 franchi per i mobili, la biancheria da letto, i vestiti, la lavanderia, il fuoco, la luce, gli attrezzi del mestiere, ecc.

Louis-René VILLERMÉ, Tableau de l’état physique et moral des ouvriers employés dans les manufactures de coton, de laine et de soie [Quadro dello stato fisico e morale degli operai impiegati nelle fabbriche di cotone, lana e seta], Parigi: Jules Renouard, 1840, volume I, pp. 98-100.

Da questo testo si evince che anche se tutta la famiglia (padre, madre e figlio minore) lavorasse, anche in questo caso la famiglia operaia non riuscirebbe a coprire i propri bisogni primari e a vivere una vita dignitosa.

Dallo studio di cui sopra si possono desumere anche dati importanti sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche:

  • oltre all’evidente disuguaglianza di genere nei salari (33% di differenza tra uomini e donne), colpisce anche la normalità con cui si parla del lavoro minorile, ancora meno retribuito (circa un terzo di quello di un maschio adulto).
  • Il salario annuale ci permette di contare il numero di giorni lavorativi all’anno: 300 giorni, cioè sei giorni alla settimana (riposo domenicale), senza altri giorni festivi nell’anno ad eccezione di alcune festività regolamentate (laiche e religiose). Altri testi indicano che alcuni operai dovevano recarsi in fabbrica anche la domenica mattina per pulire le officine e fare manutenzione alle macchine.
  • Le giornate lavorative superavano tipicamente le 12 ore, talvolta le 15.
  • La pausa pranzo di mezzogiorno era breve (di solito mezz’ora); il pranzo veniva spesso consumato davanti alla macchina o all’aperto nel cortile della fabbrica.
  • I bambini erano soggetti agli stessi orari di lavoro almeno fino al 1841, quando il re Luigi Filippo approvò una legge il 22 marzo che, tra le altre disposizioni, vietava l’impiego di bambini di età inferiore agli 8 anni; proibiva il lavoro notturno (dalle 21 alle 5) per i bambini di età inferiore ai 13 anni (con eccezioni); regolava la giornata lavorativa massima a 8 ore per i bambini di età compresa tra gli 8 e i 12 anni e a 12 ore per i bambini di età compresa tra i 12 e i 16 anni;  proibiva l’impiego di bambini di età inferiore ai 16 anni la domenica e nei giorni festivi. Tuttavia, questa legge si applicava solo a manifatture, fabbriche e officine con più di 20 dipendenti e non veniva applicata nella pratica.

La realtà dei lavoratori in Qatar negli ultimi anni

Sono passati più di 175 anni da allora, ed è sconvolgente quanto la situazione ai tempi di Ozanam sia simile alla realtà odierna in molte parti del mondo; in particolare, l’abbiamo vista in dettaglio nell’ultimo decennio in Qatar, dove il 20 novembre ha preso il via la Coppa del Mondo FIFA.

Nel 2010, il Qatar è stato scelto per ospitare i Mondiali di calcio del 2022 in una votazione circondata da polemiche e sospetti di corruzione. Si trattava di un Paese senza una significativa tradizione calcistica, noto per la violazione dei più elementari diritti umani (libertà di stampa, libertà di associazione, diritti delle donne e degli LGBTI, ecc.) Per adattare le proprie infrastrutture all’evento, il Qatar ha investito centinaia di miliardi di dollari e centinaia di migliaia di lavoratori (in gran parte migranti) hanno lavorato ai preparativi. Alla fine di ottobre Amnesty International ha pubblicato un documento devastante sulla mancanza di rispetto dei diritti dei lavoratori. Di fronte alle pressioni internazionali, nel 2017 il Qatar ha attuato una riforma del lavoro che ha garantito alcuni diritti dei lavoratori, ma che si è rivelata del tutto insufficiente e in molti casi non rispettata:

Per molti anni, il governo del Qatar – come la FIFA – ha risposto alle crescenti pressioni internazionali su questi abusi con la negazione e l’inazione. Poi, nel 2017, ha finalmente intrapreso un percorso di riforma del sistema lavorativo. Nell’ambito di un accordo triennale con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), il Qatar si è impegnato a smantellare il sistema tossico di sponsorizzazione kafala [sistema di sfruttamento di semi-schiavitù], ad affrontare gli abusi salariali, a migliorare le misure di salute e sicurezza, a prevenire e perseguire il lavoro forzato e a promuovere la voce dei lavoratori. Si è trattato di un cambiamento positivo nell’approccio del Qatar e gli anni successivi hanno visto importanti riforme legali. [Nonostante gli sviluppi positivi del sistema lavorativo del Qatar, che ha migliorato le condizioni di vita e di lavoro di centinaia di migliaia di lavoratori migranti qatarioti e ha il potenziale per trasformare la vita di molti altri, resta ancora molto da fare per garantirne l’effettiva attuazione e applicazione. In breve, le violazioni dei diritti umani persistono oggi su scala significativa (Amnesty International).

Amnesty International ha recentemente redatto un resoconto delle significative violazioni dei diritti umani ancora in atto nel Paese che ospita la Coppa del Mondo di quest’anno, disponibile qui.

Nonostante l’oscurantismo nell’accesso alle informazioni, si stima che più di 6.500 lavoratori siano morti nella costruzione degli impianti sportivi della Coppa del Mondo, a causa delle pessime condizioni in cui hanno dovuto operare centinaia di migliaia di lavoratori stranieri (provenienti da Paesi come India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka). “I risultati, raccolti da fonti governative, indicano che una media di 12 lavoratori migranti provenienti da queste cinque nazioni dell’Asia meridionale sono morti ogni settimana dalla notte del dicembre 2010, quando le strade di Doha (capitale del Qatar) si sono riempite di folle esultanti per celebrare la vittoria del Qatar”, ha rivelato The Guardian in uno studio pubblicato nel 2021. Evidentemente, il governo del Qatar ha smentito queste cifre; il suo ministro del Lavoro si è spinto a dire che “ci sono state molte notizie contrastanti da parte dei media, alcune delle quali affermano che ci sono state 6.500 vittime durante i preparativi per ospitare l’evento, mentre altre parlano di ben 15.000, come se si trattasse di una corsa contro il tempo”. Vorrei sottolineare l’inesattezza di questi numeri e vorrei anche implorare tutti i politici di consultare le organizzazioni ufficiali specializzate. La FIFA ha inoltre descritto le cifre come grossolanamente esagerate.

Un lavoratore keniota ha riferito che “i supervisori ci picchiano davanti agli altri lavoratori per metterci sotto pressione e farci lavorare più velocemente. Questo abuso fisico non è mai stato affrontato. Si poteva denunciare, ma non succedeva nulla perché erano i nostri supervisori a farlo”. “Lavoravo 14 ore al giorno, dalle sei del mattino alle otto di sera, e non ricevevo alcun compenso per gli straordinari. Lavoravo sette giorni su sette e ogni volta che mi chiamavano dovevo andare”, racconta un altro lavoratore migrante del Bangladesh (testimonianze raccolte da Equidem in una ricerca pubblicata di recente).


In breve, in questo quadro desolante, hanno prevalso le ragioni economiche e sono stati ignorati i diritti umani delle persone. È sorprendente e imbarazzante sentire alcuni dirigenti della FIFA cercare di giustificare questa situazione con frasi infelici come “Meno democrazia a volte è meglio per organizzare una Coppa del Mondo” (parole di Jerome Valcke, segretario generale della FIFA, in vista della Coppa del Mondo 2014 in Brasile) o “Ci sono molte cose che non funzionano, lo so. Ma queste lezioni morali, solo da una parte, sono semplice ipocrisia” (Gianni Infantino, presidente della FIFA, nelle dichiarazioni del 19 novembre 2022), aggiungendo poi che “è difficile per un lavoratore che viene in Qatar, perché le difficoltà qui sono simili a quelle vissute in Europa anni fa, ma grazie a questo possono tornare a casa perché guadagnano 10 volte di più che nei loro paesi”, concludendo il suo intervento con la sorprendente frase: “Chi si preoccupa dei lavoratori? FIFA. Calcio. La Coppa del Mondo. E anche il Qatar”.

Ci sono una serie di valori impliciti nello sport: la cooperazione, l’impegno, il rispetto per gli altri e per chi è diverso, solo per fare qualche esempio, che dovrebbero avere la precedenza su qualsiasi interesse commerciale. È del tutto contrario allo spirito dello sport assoggettarsi a una certa situazione ed essere incapaci di denunciare gli abusi e le violazioni dei diritti umani, come abbiamo visto – e continuiamo a vedere – nell’attuale sede della Coppa del Mondo.

Non è una novità: all’inizio di questo articolo abbiamo visto l’esempio di Ozanam e quello che ha vissuto ai suoi tempi; prima di lui, lo ha vissuto anche San Vincenzo de’ Paoli nel XVII secolo. Ciò che sorprende è che oggi siamo piuttosto passivi di fronte a questa evidenza e che gran parte del mondo la ignora, la banalizza o la sbianca, in un evento seguito da miliardi di persone in tutto il mondo, dove l’economia ha preso il sopravvento sui diritti umani.

Lo scrittore spagnolo del XVII secolo Francisco de Quevedo (1580-1645) disse in un poema satirico: “Un potente gentiluomo è il denaro“. Purtroppo è ancora vero nel XXI secolo.

Madre, mi umilio all’oro,
è il mio amante e il mio amato,
perché è sempre giallo d’amore.
Quindi, doppio o semplice,
fa tutto quello che voglio,
un potente cavaliere
è il denaro.

Noi vincenziani continuiamo a porci la domanda per eccellenza: “Che cosa bisogna fare?”, anche di fronte a questa palese ingiustizia.

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