La carità senza limiti di orario (articolo apparso sull’Osservatore Romano)

da | Mag 15, 2019 | Formazione vincenziana, Per la meditazione | 0 commenti

«Da quindici giorni si trova in questa città un certo Vincenzo, sacerdote, il quale, con disprezzo dell’autorità del re, senza avere prima avvisato gli ufficiali del regno, né alcun’altra corporazione della città interessata a queste cose, riunisce un grande numero di donne che ha convinto ad iscriversi in una confraternita, alla quale attribuisce il nome particolare di carità. Egli intende erigerla per soccorrere e distribuire alimenti e altre cose necessarie ai poveri malati della città di Beauvais, andando tutte le settimane a questuare le somme necessarie per lo scopo che è stato messo in opera dal detto Vincenzo. A questa confraternita, che egli ha eretto, ha già ammesso circa trecento donne, che si riuniscono con frequenza per attuare gli esercizi e le attività dette sopra. Tutto questo non si può tollerare».

Chi scriveva questa nota burocratica e dal tono stizzito era niente di meno che il luogotenente del re di Francia della città di Beauvais. Correva l’anno 1630 e Vincenzo de’ Paoli stava diffondendo le sue Confraternite della Carità.

La nota è interessante, perché è una testimonianza indiretta dell’opera caritativa di san Vincenzo. La troviamo nel volume, curato da Erminio Antonello, attuale Visitatore della provincia dei preti della missione in Italia (Vincenziani), e da Luigi Mezzadri, dal titolo Opere 11, Documenti, (CLV- Edizioni vincenziane, Roma, 2019, pagine lvi + 779, euro 70,00). Si tratta della prima traduzione italiana del volume XIII dell’opera omnia di san Vincenzo de’ Paoli, curata da Pierre Coste: Saint Vincent de Paul, Correspondance, Entretiens, Documents, III Documents, Tome XIII (Librairie Lecoffre – J. Gabalda Editeur, Paris 1924).

Evidentemente, il carisma di questo prete di campagna era riuscito ad attirare molte donne desiderose di servire i fratelli nel bisogno, se tanto fervore aveva allarmato il luogotenente. Il suo zelo provocò le ire del funzionario che, sentendosi scavalcato, voleva dare una lezione a quel prete che aveva osato entrare nella sua città senza alcun permesso. E come se non bastasse era riuscito a coinvolgere molte cittadine nel servizio ai più poveri. Sappiamo che sia la nota inviata a Parigi, sia l’inchiesta istruita sull’operato di san Vincenzo che il luogotenente presentò al procuratore del re non ebbero seguito. Rimane però il valore di questi documenti come testimonianza di un funzionario dello Stato sul nuovo fermento giunto in quella comunità. I poveri malati non erano più abbandonati a loro stessi. Un gran numero di donne era stato coinvolto in questa attività caritativa che prevedeva non solo la distribuzione di cibo e di vestiario, ma anche la visita a quanti versavano in condizioni di salute tali da impedir loro di muoversi. Tutto ciò avveniva non solo nei giorni di festa, ma anche in quelli feriali. La carità non doveva avere né limiti di orario, né di spazio. Oltretutto, l’impegno che il santo richiedeva alle sue discepole era duplice e integrale: pensare non solo a curare il corpo, ma soprattutto occuparsi delle anime di questi poveri, a cui nessuno importava e che spesso rimanevano ai margini della vita spirituale della Chiesa. La carità, poi, doveva nascere dal gesto spontaneo dei fedeli, cioè, tutti erano chiamati a contribuire alla donazione anche solo con l’offerta di qualche bene materiale o di denaro. Le iscritte alla confraternita, infatti, avevano il compito di questuare per la città dove svolgevano il servizio ai poveri, perché la carità doveva nascere dall’unica sorgente dell’amore verso Dio e verso il prossimo.

Si legge nel Regolamento della carità femminile della parrocchia di Saint-Nicolas-du-Chardonnet di Parigi (1630) che le «dame della compagnia serviranno i poveri malati ognuna nel giorno assegnato, due a due. Faranno la questua secondo il loro turno in chiesa nelle feste solenni». Si deduce che ogni giorno la carità veniva esercitata: non vi erano, quindi, vacanze né vuoti nel servizio ai bisognosi. È l’amore quotidiano, quello feriale, che richiede umiltà e sacrificio, perché non è notato e non è nemmeno gratificante. La carità poi trovava la sua fonte e l’alimento nella mensa eucaristica: «La messa sarà detta con le elemosine delle dame della Carità, sia per i poveri che sono morti nel mese, sia per prendere nuova forza e coraggio per servire i malati, unendosi sempre più fortemente tra loro per i meriti del santo sacrificio e comunicandosi in quel giorno se la comodità glielo permette». Tutto ciò conferma che il centro e il fulcro dell’opera di san Vincenzo non è la pura filantropia o la mera assistenza sociale, ma la ricerca del bene spirituale dei fratelli. È l’amore di Cristo che lo spinge a portare ai più bisognosi non solo il sollievo materiale, ma la forza liberatrice del perdono di Cristo e della sua grazia. Il santo non desidera solamente sottrarli dall’indigenza, ma vuole farne dei veri discepoli di Gesù che possano trovare redenzione e compiere l’esperienza dell’amore del Padre che li attende come il figlio prodigo.

Ecco perché nel Regolamento il santo ha pensato anche all’assistenza spirituale dei poveri. Nessuno doveva morire abbandonato e lontano dal conforto dei Sacramenti. San Vincenzo scende anche nei dettagli: prima di prendersi cura di un povero, alle dame era richiesto di farlo visitare da un medico o da un chirurgo. «E poiché la parrocchia di Saint-Nicolas-du-Chardonnet è piena di poveri di ogni specie, quando, dopo aver fatto le provviste per i malati e dopo aver pagato il medico, il farmacista, il chirurgo e l’infermiera, il fondo supererà la somma di 1.100 lire, il resto sarà distribuito agli altri poveri, preferendo sempre i poveri vergognosi infermi a coloro che riescono a guadagnarsi la vita». Niente deve distogliere le dame dall’obiettivo fondamentale del loro riunirsi: la carità. Essa è la regina di ogni attività e l’anima che alimenta il loro operato. Tra i poveri, poi, i privilegiati sono i cosiddetti “vergognosi”, quelli cioè che per discrezione non osano chiedere o stendere la mano. Sono essi l’oggetto delle prime cure delle dame, perché risultano i più bisognosi tra i bisognosi.

Un altro elemento che risalta dal Regolamento è, come già detto, la cura delle anime prima ancora che dei corpi. Tanta minuzia nei particolari denota che nella stesura dei Regolamenti san Vincenzo impiegò del tempo prezioso, perché era consapevole che, per durare, un carisma ha bisogno di organizzazione. Leggendo i vari regolamenti possiamo discernere l’evoluzione dell’intuizione carismatica che si è tradotta in regole di attività e di comportamento per renderla ordinata e dirigerla verso il suo fine primario: seguire Cristo evangelizzatore e servo dei poveri. È indubbio che in questi regolamenti vediamo il genio organizzativo del santo e la sua attenzione alla concretezza e alla praticità. Risaltano i dettagli riservati alla cura, in modo che niente sia lasciato al caso. Si deve fare attenzione al vitto dei poveri, alla sua qualità e quantità, perché non manchi e sia sufficiente per ristabilire la salute. Ma san Vincenzo si occupa anche delle medicine, che devono essere le più efficaci possibili, della cura dell’igiene dei malati, della pulizia degli indumenti, delle lenzuola e degli ambienti. Si assicura che l’assistenza ai poveri sia continua e senza vuoti temporali e richiede che ci si preoccupi della raccolta del denaro necessario per le opere. Per evitare che tutto ciò diventi solo e semplicemente un fare, un attivismo fino a se stesso, il santo raccomanda di unire azione e preghiera, attività caritativa e vita spirituale. La sua richiesta a chi vuole seguirlo nel servizio ai poveri è radicale: tutto nasce dall’amore e dalla gratuità. La carità diventa così un’occasione di redenzione per chi la compie e per chi la riceve. Il povero che si sente amato non è più povero, ma inserito in un circuito che trae la sua origine nell’amore di Cristo. La sua dignità acquista valore.

Nello studio introduttivo al volume, Erminio Antonello ben sottolinea questa carità missionaria del santo e introduce il lettore alla comprensione della sua azione a favore dei poveri nel contesto sociale, economico e religioso della Francia del XVII secolo. Il realismo vincenziano esige uomini e donne amabili, forti, concreti, volenterosi, con senso pratico per il lavoro e su cui poter contare. Questo realismo unito allo spirito pratico si incontrarono con l’affabilità e la sensibilità spirituale di san Francesco di Sales. Un incontro che, secondo padre Antonello, esercitò un influsso sul pensiero e sull’opera del santo prete e ne caratterizzò lo stile della carità verso i poveri. Ciò ha «generato in san Vincenzo una forma di carità dolce e affabile verso i poveri, che egli ha poi trasfuso nei regolamenti delle confraternite di Carità». Ne deriva una visione dei poveri quale «immagine sacramentale di Cristo», della carità come «amore teologale ed evangelico», e del servizio «esperienza di fede». Dall’introduzione di padre Antonello risaltano due caratteristiche del carisma vincenziano: l’amore ai poveri e la valorizzazione della donna. Nella società francese del tempo, in cui si cercava di rimuovere il problema della povertà, il santo è andato contro la mentalità imperante diventando un profeta scomodo. Ha cercato di mettere i poveri al centro della sua vita e delle istituzioni, mostrando agli altri che essi non erano un problema da eliminare, ma una risorsa a cui guardare. In questo senso, è riuscito a coinvolgere una buona parte delle persone che gli ruotavano intorno e ad attirare l’attenzione delle autorità, come avvenuto nel caso del luogotenente del re di Beauvais.

Ancor maggiore è stata l’azione del santo nei confronti del riconoscimento del ruolo della donna. A quel tempo, esse potevano scegliere tra vita monastica o matrimonio. San Vincenzo offre loro una terza via: il servizio ai fratelli più bisognosi. In esse vedeva quella sensibilità e quelle capacità che le rendevano “madri”. Questa maternità dava loro la possibilità di custodire, proteggere, promuovere la dignità dei poveri come fossero loro figli. Una maternità spirituale che permetteva di servire i poveri con delicatezza, sollecitudine, pazienza, creatività, mettendoli al centro della loro azione. In questo modo, si realizzavano come donne e come discepole di Cristo.

di Nicola Gori

(Osservatore Romano di sabato 11 maggio 2019)

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