Voglia di sacro: l’Italia resiste

da | Gen 5, 2012 | Chiesa, Opinioni a confronto, Pubblicazioni, Storia e cronaca | 0 commenti

di Umberto Folena 

I profeti di sventura faranno bene a rivedere le proprie fragili certezze. E gli ottimisti a oltranza a misurarsi con la complessità di un quadro tutt’altro che omogeneo. Ma un dato è certo: gli italiani costituiscono un’eccezione nell’Occidente. Né bigotti sanfedisti, né mangiapreti secolarizzati, impossibili da inserire in qualche facile schema. Tanto che si può ben parlare di una «via italiana», del tutto originale, alla modernità religiosa.

La ricerca durata tre anni e confluita nel volume di Franco Garelli, Religione all’italiana. L’anima del Paese messa a nudo (Il Mulino, 254 pagine, 17 euro) ha un’ampiezza e una profondità paragonabili a quelle dell’altra grande ricerca che lo stesso Garelli condusse con Cesareo, Cipriani, Lanzetti e Rovati nel 1995 (La religiosità in Italia, Mondadori) e il questionario è del tutto simile. Gli italiani si dichiarano, e si dimostrano, altrettanto e più credenti di allora: il 45,8% crede senza nutrire dubbi, il 25,1 ha qualche dubbio, ma atei convinti e agnostici, assieme, non arrivano nemmeno al 13. Le idee sono più confuse sull’aldilà. Soltanto il 36,3% ha la certezza che esista un’altra vita, meno dei credenti in Dio; chi pensa non ci sia nulla sono il 14,6, più di atei e agnostici; e la maggioranza relativa, con quasi il 44, è dubbioso, pensieroso, incerto. Credenti in Dio, dubbiosi nell’aldilà, gli italiani mantengono una frequenza record alla messa: il 26,5% vi partecipa ogni domenica e più, più del 50 almeno una volta all’anno, e chi non mette mai piede in chiesa è appena il 21,8. Percentuali anomale nel mondo occidentale scristianizzato.

 

Ma il dato più interessante – per la sociologia forse, per la pastorale senza dubbio – riguarda la «voglia di sacro» degli italiani, assai superiore alla frequenza ai sacramenti o alla vita di parrocchie e aggregazioni laicali. Il 32,5% degli italiani – tutti, non solo i credenti attivi – prega almeno una volta al giorno, e soltanto il 23,7 non prega mai. Ma non basta. Gli italiani non esitano a manifestare apertamente la propria appartenenza religiosa. Nell’ultimo anno, il 33,9% ha partecipato a una processione, il 15,6 a pellegrinaggi, il 13,3 ha fatto un voto, il 34,7 ha fatto dir messe per i defunti. La voglia di sacro è palese e tangibile; resta da decifrare quanto la Chiesa riesca a intercettarla e a darle risposte adeguate, non generiche né spiritualistiche né miracolistiche, ma neppure tanto fredde, cerebrali o datate da risultare del tutto irricevibili, perché incapaci di parlare alla vita e scaldare il cuore. Resta il fatto che, per dirla con Garelli, dalla ricerca emerge «un’immagine contrastante con l’idea che l’epoca attuale sia segnata dalla “deprivazione spirituale”, o che gli uomini e le donne del nostro tempo (…) non siano più in grado di “parlare con gli angeli”». Qualche dubbio su questi dati? Sarà bene scuoterceli di dosso e mettere semmai in dubbio altri sondaggi o “ricerche” compiute con metodi imperfetti su campioni ridottissimi. Agli inizi del 2007, circa 300 intervistatori dell’Eurisko hanno incontrato 3160 italiani a casa loro, ben 45 minuti di domande e risposte che sono state poi studiate, elaborate, incrociate e confrontate dal Gruppo del Dipartimento di scienze sociali dell’Università di Torino, guidato da Franco Garelli. L’attendibilità è altissima, e induce Garelli a commentare: «Gran parte di chi in Italia combatte la credenza in Dio sembra mosso più da uno spirito anticlericale che antireligioso; più dall’intento di contrastare il potere della Chiesa cattolica che dal ritenere irragionevole oggi un discorso su Dio. Tuttavia, queste diatribe non sembrano in grado di spostare l’asse della credenza nel Paese». I temi morali “sensibili”, legati all’attualità, parlano chiaro.

 

Non passa giorno senza che qualcuno affermi, senza citare fonti ma neppure senza dubbio alcuno, che una larga maggioranza degli italiani (attorno al 70%) sarebbe nettamente a favore all’eutanasia tout court. La ricerca di Garelli rivolta come un guanto questa impostura propagandistica. I favorevoli sono il 37,3%, i contrari il 33,1% e gli incerti il 29,6: situazione assai fluida, dunque. Ma sugli altri temi le sorprese, positive, sono più d’una. È vero che gli italiani favorevoli ai contraccettivi sono il 73%, appena il 6,6 accettano solo i metodi naturali e il 6,2 è contrario in ogni caso. Ma il 23 si dichiara contrario all’aborto sempre e comunque e per appena il 23,2 esso è lecito senza limiti (10,8 quando entrambi i genitori lo decidono, 12,4 quando a deciderlo è la donna). La maggioranza (53,6) lo ritiene lecito in alcuni casi precisi. Quali? Per il 90, soltanto in presenza di «gravi rischi per la salute della madre» o di «forti probabilità di una grave malformazione del bambino»; e per l’81 di costoro le cause di carattere sociale o culturale non sono giustificabili. Sì all’aborto, dunque, ma in pochi gravissimi casi. Infine, gli italiani sono nettamente contrari alle “mamme-nonne”, alla manipolazione degli embrioni, al riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali. Sarà anche una religiosità “fai-da-te”, dunque; molti credenti seguiranno una morale sessuale personale; ma il pick-up religioso (il “beccare” esperienze religiose qua e là) di altri Paesi da noi non esiste. E sarà anche, spesso, una “religiosità su misura”, flessibile; ma la voglia di sacro persiste e, da parte sua, la cultura laica non sa offrire significati ultimi del vivere e del morire. Non una «generazione incredula», dunque; ma una generazione che crede a modo suo. E ha un grande bisogno di credere in valori alti. In Dio.

 

Fonte: Avvenire – 2 novembre 2011

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