Corriere della Sera, 27 novembre 2011
Un diritto trasformato in concessione, l’abc teorico del vivere in carcere (in cella di notte, in sezione e spazi esterni di giorno) fatto invece dipendere da impressioni sul comportamento del detenuto quali “la reazione a situazioni difficili”: l’assuefazione allo Stato fuorilegge che stipa quasi 68mila persone nel posto per 45mila è il retroterra della circolare diramata dalla dirigenza uscente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ai direttori delle carceri, affinché apposite équipe classifichino entro 60 giorni i detenuti in codici bianchi-verdi-gialli-rossi e tendenzialmente ammettano i primi tre a un regime di celle aperte durante la giornata.
Già oggi, infatti, a dispetto di detenuti rinchiusi anche 22 ore su 24 in celle mal (o non) riscaldate, carenti nei servizi igienici e dalle quali come ieri a Livorno capita che ci si ferisca cadendo dal terzo letto a castello, le celle aperte di giorno dovrebbero essere non un privilegio per supposti “meritevoli”, ma la regola per tutti i detenuti comuni in media sicurezza: almeno se hanno un senso le parole del regolamento penitenziario del 2000 che (come già dal 1975) distinguono tra “locali nei quali si svolge la vita dei detenuti” e “locali” o “camere di pernottamento”. Parole ora meritoriamente rispolverate, ma nel contempo retrocesse a optional subordinato al comportamentale codice-colore del detenuto.
“La tesina di uno studente che ripropone principi elaborati da tempo ma non trasformabili in cose vere senza risorse”, commenta il principale sindacato dei direttori di carcere. E in attesa di investire invece su misure alternative e circuiti a custodia differenziata, anche le buone intenzioni appaiono impraticabili nella realtà numerica (23mila detenuti più del consentito), logistica (mancano 6mila agenti penitenziari) e urbanistica (metà delle carceri risalgono a prima dell’800) che motiva i radicali a chiedere “una amnistia per la Repubblica” che ponga fine allo scandalo di reparti dove “i detenuti dispongono di un terzo dello spazio che le direttive europee impongono per gli allevamenti dei maiali”.
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