Povertà e violazioni dei diritti umani nel Sud del mondo, profitti miliardari garantiti dall’abuso di posizioni dominanti nelle piazze europee e nordamericane: sono queste, secondo uno studio del relatore dell’Onu Olivier De Schutter, le conseguenze delle concentrazioni sempre più forti nel settore agroalimentare.
Nel rapporto, pubblicato in questi giorni, si evidenzia come in Africa o in America Latina pochi acquirenti siano in grado di imporre ai produttori prezzi ribassati. Si tratti di caffè, tè o cacao, le dinamiche sono le stesse: piccoli proprietari costretti a vendere terreni, salari dei braccianti in caduta libera, diffusione del lavoro minorile. De Schutter ricorda l’ultima grande fusione, quella tra l’inglese Cadbury e l’americana Kraft di inizio anno. “Se all’estremità della catena ci sono molti produttori e molti consumatori – sottolinea il relatore delle Nazioni Unite per la sicurezza alimentare – nel mezzo le società che occupano posizioni strategiche sono estremamente poche”. Aiutano a capire alcuni casi esemplari, che riguardano colture africane, latinoamericane o asiatiche. Nel mondo i produttori di caffè sono 25 milioni e i consumatori 500 milioni. Ma solo quattro società controllano il 40% delle vendite a livello internazionale. Stesso discorso per il tè, con tre “corporations” che hanno in mano l’80% delle transazioni mondiali, e per il cacao, con quattro operatori che gestiscono il 40% del volume d’affari. In quest’ultimo caso è rivelatrice la situazione della Costa d’Avorio, il principale produttore dell’Africa. Il mercato nazionale è dominato da tre società, le americane Adm e Cargill e la svizzera Barry Callebaut. Nel tentativo di ridurre i costi, sottolinea De Schutter, i produttori hanno tagliato i salari dei braccianti e sono ricorsi all’impiego massiccio di manodopera minorile. “Bisogna ricordare – scrive il relatore dell’Onu – che la grande maggioranza del lavoro minorile si concentra nell’agricoltura: circa il 70%, 132 milioni di ragazzi e bambini di età compresa tra i cinque e i 14 anni”. Un dramma ancora più insostenibile se messo a confronto con ciò che accade nei centri finanziari del nord del mondo. Tra il 1997 e il 2002 i prezzi di acquisto dei cicchi di caffè diminuirono dell’80%, mentre le tariffe al consumo calarono solo del 27%. Nello stesso arco di tempo, i profitti di colossi della distribuzione come Starbucks o Nestlé aumentarono rispettivamente del 41 e del 20%.
Fonte: www.misna.it
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