SCHEDA DI FORMAZIONE – OTTOBRE 2017 – AIC

da | Ott 12, 2017 | Formazione vincenziana, Uncategorized | 0 commenti

Profetismo del Carisma Vincenziano alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa

di SUOR MARÍA PILAR LÓPEZ, FdC

San Vincenzo e la gestione dei beni

Tutti i documenti della Dottrina Sociale della Chiesa insistono sulla funzione sociale della proprietà dei beni; fin dall’inizio la Chiesa ha difeso la funzione universale di quei beni. Ce lo ricorda un testo di Giovanni XXIII nella Mater et Magistra:

“…la proprietà privata porta intrinsecamente in sé una funzione sociale, e perciò si tratta di un diritto che va esercitato non solo a vantaggio proprio, ma per il bene degli altri”

Ed un piccolo paragrafo della Gaudium et Spes:

“Dio ha destinato la terra e tutto quelo che essa contiene, all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere condivisi equamente ct tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità”.

Due secoli prima dell’assistenza pubblica, tre secoli prima della Sicurezza Sociale, San Vincenzo realizzò una quantità di opere e di servizi totalmente gratuiti, per i poveri e con i poveri. Per fare questo dovette trovare le risorse necessarie e lavorare per conservarle. Nella sua strategia organizzativa, San Vincenzo fu capace di convincere i potenti in ambito politico, economico e sociale, che era loro obbligo morale proteggere i più deboli ed aiutarli a recuperare la loro dignità. Sappiamo che fece parte del Consiglio di Coscienza, siamo al corrente della sua supplica alla Regina Anna d’Austria perché i contadini fossero protetti dai saccheggiatori  conosciamo il suo intervento presso il Papa Innocenzo X durante la Fronda. Di fronte al potere politico non fu nè un oppositore per partito preso, né un esecutore servile, ma un fedele discepolo di Gesù, convinto che si dovesse dare a Cesare quello che è di Cesare, ma ancora di più che si dovesse dare a Dio (e ai poveri) quello che è di Dio.
Ottenne donazioni dal Re e dalla Regina. Trovò risorse finalizzate a “fondazioni”, cioè ottenne denaro o terre per uno scopo preciso, in modo che le entrate potessero assicurare l’esecuzione del progetto. Sappiamo che i Signori de Gondi offrirono 45.000 libre per la fondazione della Congregazione della Missione (si calcola che una libra equivalesse a 60 euro attuali). La rendita totale del priorato di San Lazzaro, con tutte le sue proprietà, ammontavano a 40 o 50.000 libre annue. Ricevette legati da membri della nobiltà, ottenne rendite da coltivazioni agricole e giunse sino ad investire denari in compagnie di trasporto. A tutto ciò bisogna aggiungere le entrate ricevute da altri priorati e le donazioni di molti benefattori. Per San Vincenzo i beni sono necessari per rispondere ai bisogni dei poveri, ma questo non gli fa dimenticare la parte spirituale. Egli dice infatti: “Dio mio! La necessità ci obbliga a possedere dei beni materiali e a conservare per la Compagnia ciò che Dio le ha dato, ma dobbiamo occuparci di questi beni nello stesso modo in cui Dio si preoccupa di produrre e conservare le cose temporali, create come ornamento del mondo e alimento delle sue creature, con tanta attenzione che si preoccupa anche di un insetto; ma questo non non ostacola la parte spirituale e interiore, per la quale genera suo Figlio e produce lo Spirito Santo: si occupa delle une senza senza tralasciare le altre”. La necessità di contare con risorse materiali portò il Santo a difendere alcune proprietà anche rivolgendosi ai tribunali, benché ci abbia lasciato questo suo pensiero:
“Facciamo cause legali il meno possibile, e quando ci trovassimo obbligati a farlo sia sempre dopo aver chiesto consiglio al nostro interno e anche a degli esperti esterni. E’ preferibile che perdiamo i nostri diritti piuttosto che dare un esempio negativo al prossimo”. Oggi parliamo di “destinazione universale dei beni”, ma già San Vincenzo fondava la diligenza e la fedeltà nella gestione dei medesimi sulla convinzione che questi beni, per il fatto di appartenere ai poveri, appartengono a Dio. Ascoltiamo che cosa diceva alle suore che si occupavano dell’amministrazione:

“Siete obbligate ad avere molta cura dell’amministrazione e ad esercitarla con fedeltà. In primo luogo perché si tratta di un bene che appartiene a Dio, dato che è un bene dei poveri. Per questo dovete trattarlo con molta attenzione, non solo perché appartiene a dei poveri che ne hanno un grande bisogno, ma perché è un bene di Nostro Signore Gesù Cristo” .

Per Vincenzo de’Paoli, la gestione dei beni materiali acquista una dimensione mistica, intesa come “vita di unione con Dio” e che il Santo formula con la frase “uno stesso volere e non volere, con Lui e in Lui”. Vincenzo non incontrò Dio solo nel povero, ma anche nella gestione dei beni, nella ingegnosità e creatività che gli furono necessarie per soccorrere un’immensa moltitudine di poveri: bambini abbandonati, orfani, infermi, contadini in miseria, rifugiati ecc. L’amministratore che compie la sua missione purificato da un vero distacco e nello spirito vincenziano, diventa anch’egli una immagine del Dio Creatore, del Dio che provvede. Ricordiamo di nuovo il testo del Vangelo di Matteo che San Vincenzo amava tanto: “Quando avete fatto questo ad uno tra i più piccoli di questi miei fratelli, lo avete fatto a me” . Come già abbiamo detto all’inizio, servire un povero è servire Gesù; e reciprocamente, poiché Dio abita in noi, quando serviamo i poveri è Dio che li serve attraverso di noi e si prende cura dei malati, degli anziani, degli orfani… noi rendiamo concreta e attuale l’azione della provvidenza. Perché possiamo sempre avere questo spirito, rivolgiamo la nostra supplica al Signore con le stesse parole con cui lo faceva San Vincenzo: “Permetti dunque Signore che, per continuare a lavorare per la tua gloria, noi ci dedichiamo alla conservazione delle cose temporali, e che sappiamo farlo in modo che il nostro spirito non ne sia contaminato, che non venga mai offesa la giustizia, e che i nostri cuori non ne siano irretiti”. Vi è un testo di Giovanni Paolo II nella Sollecitudo Rei Socialis, che forse non è molto conosciuto, e che, se fosse applicato, ci porterebbe molto lontano; forse per questo è poco noto. Dice così:

“Di fronte ai casi di necessità, non si deve dare la preferenza agli ornamenti superflui dei tempi e agli oggetti preziosi del culto divino; al contrario, potrebbe essere obbligatorio alienare questi beni per dare pane, bevande, vestiti e una casa a coloro che non ne hanno”.

Lo avevate mai letto? Vi eravate soffermate su queste parole? Siamo capaci di capire la portata di quello che sta dicendo Giovanni Paolo II? Se per il resto del mondo può essere una cosa inaudita, per noi, figli e figlie di San Vincenzo, dovrebbe essere una cosa normale, considerando che, tre secoli prima, San Vincenzo in una conferenza sulla povertà già diceva ai Missionari della Congregazione, queste parole: “Nella Compagnia non è permesso nulla di speciale, né per quanto riguarda il cibo, né l’abbigliamento; fatta eccezione sempre per i malati. Poveri malati! per assisterli bisognerebbe arrivare a vendere persino i calici della chiesa. Dio mi ha dato molto affetto per loro, e Gli chiedo di dare lo stesso spirito alla compagnia”. Qualcuno potrebbe pensare che questa affermazione sia il frutto di un momento di fervore, ma non è così: era una convinzione profonda del nostro santo fondatore, che la espresse più di una volta, a voce e per iscritto. Nel 1639 scrive queste parole al Padre Pedro du Chesne, superiore del P. Dufestel che era malato: “Gli scrivo per chiedere di fare tutto il possibile, senza risparmio, per farsi curare. E supplico Lei, padre, di occuparsi di lui con molta attenzione, di fare in modo che il medico lo veda tutti i giorni, e che non gli manchino né le medicine né gli alimenti. Oh, quanto desidero che la Compagnia sia santamente generosa in questo! Mi darebbe molta gioia se da qualche luogo mi dicessero che qualcuno della compagnia ha venduto dei calici per questo!” Aver riflettuto sull’atteggiamento e sulle azioni di San Vincenzo rispetto ai beni, ci porta alle seguenti domande

Proposte dell’ AIC per la Riflessione:

1. Rifletti (se possibile in gruppo) sul breve paragrafo della Gaudium et Spes che appare all’inizio di questa scheda.
2. Secondo San Vincenzo, a chi appartenevano i molti beni che egli si sforzava di ottenere per le persone bisognose? Come pensava che si dovessero utilizzare?
3. Leggi attentamente il testo di Giovanni Paolo II nella Sollecitudo Rei Socialis e paragonalo con il pensiero del nostro fondatore 400 anni fa (penultimo paragrafo di questa pagina).
4. Pensi che tu e il tuo gruppo riuscite ad applicare nelle vostre azioni il principio del Bene Comune? Esiste qualche proprietà dei GVV che non viene utilizzata al 100%? Che cosa si potrebbe fare in concreto per cambiare la situazione?

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