San Vincenzo de’ Paoli e le virtù: la carità
traduzione dallo spagnolo di Sr Lucia Campanelli Fdc
Introduzione
Gli uomini hanno conservato la nostalgia dell’età dell’oro durante la quale tutti vivevano felici in piena armonia con Dio, con la natura e con i loro simili. Il simbolo di questo paradiso terrestre, secondo Isaia, sono il bambino che gioca in un nido di serpenti, il lupo e l’agnello che vivono come fratelli.
La Genesi, nel racconto della caduta, descrive il paradiso perduto: la relazione amorosa con Dio è troncata, le relazioni con il prossimo sono segnate dall’egoismo che sconvolge persino l’amore che dovrebbe unire una coppia.
Tuttavia, l’ideale dell’universo riconciliato permane, nella natura ormai placata gli uomini si sarebbero sentiti nuovamente fratelli sotto lo sguardo del Padre ritrovato. Questo è il linguaggio delle “utopie” che periodicamente, nell’immaginazione degli uomini, ravvivano la speranza, sia si tratti dell’utopia di Tommaso Moro o di Campanella, o del mito del Buon Samaritano nel secolo XVIII o, finalmente, della fraternità della “Grande Sera”.
Tutto ciò è frutto dell’ingegno umano, mentre, Cristo in persona, è venuto per riparare le conseguenze di quel disastro e creare un mondo nuovo, insegnando un’altra volta agli uomini con il suo esempio di vita e di morte il grande comandamento della carità: riconciliati con Dio, con il mondo e fra di loro.
La sua venuta ha inaugurato la nuova creazione. Di conseguenza è nata una nuova comunità che, per amore di Dio, ha riunito alcuni fratelli. Non avevano, secondo l’espressione di San Luca, che un solo cuore e una sola anima, in modo che non ci fossero indigenti tra di loro. Quella piccola società, primizia del mondo nuovo, suscitava l’ammirazione di tutti. (Atti 2,42-48; 5,32-35).
In modo diverso, la Chiesa, lungo i secoli, ha proposto agli uomini questo insegnamento e lo ha vissuto. Ma i vecchi istinti pagani di egoismo e di violenza hanno lunga vita, si perpetuano e ritornano all’antico. Sotto la loro influenza l’umanità, prima o poi, ritorna alla barbarie. Gli esempi dei nostri giorni sono disgraziatamente troppo numerosi. La perversione peggiore è quella che si produce in nome del Vangelo. Come si è potuto imporre, armi alla mano, un messaggio d’amore e di mansuetudine a coloro che lo intendevano in modo diverso? E’ stato necessario far tacere le grida di morte e il tumulto delle armi per udire nuovamente la buona notizia: tutti gli uomini sono figli di Dio, da Lui amati e, resi fratelli, si devono preoccupare prima di tutto di amarsi reciprocamente.
Colui che proclamò il messaggio d’amore con chiarezza non si mise a discutere, non alzò la voce, non impose le sue convinzioni né con parole né con la forza. Ecco di cosa parlano gli Atti. Dio amava gli uomini ma doveva dimostrarglielo, era necessario sentirsi amati da Lui. Gli uomini erano fratelli e lo dovevano dimostrare.
Il Signor Vincenzo, la cui personalità si integrava bene con tutte le classi sociali, dal re fino al mendicante, tornò ad indicare al suo
secolo un Dio d’amore, il quale si deve amare e non temere. Insegnò ancora una volta che il vero amore di Dio consiste nell’amare concretamente coloro che Dio preferisce, cioè, coloro che non possiedono niente, i più piccoli. Ritornò ad insegnare che soltanto la carità poteva creare tra gli uomini il “desiderio di vivere” in comunità, in una società, nella quale si sentano fratelli: perché, a questo scopo, il diritto e la giustizia non bastano per niente.
Quel secolo (XVII) non avrebbe meritato il titolo di grande, non sarebbe stato, come altri, solo un secolo di glorie militari e di miserie popolari, se non avesse lasciato intravedere, anche se fuori da un mondo fugace, il progetto di San Vincenzo: una nuova società la cui anima fosse, a tutti i livelli, la carità. “Il secolo della luce” pensò di fare molto di più e quello del “Progresso” doveva trarre la felicità dall’umanità. Lo sviluppo inaudito delle scienze apriva una nuova era del benessere e di fraternità per tutti. Già sappiamo cosa successe.
Secondo le espressioni di J. Fourastié la carità fu impastata da ipocrisia conservatrice, elemento dell’oppio del popolo, fu considerata come un attentato alla dignità dei poveri.
Ebbene, le scienze, incluse quelle umane, sono state incapaci di sradicare gli istinti di violenza, di egoismo, di potere. Le organizzazioni sociali più sofisticate e gli organismi internazionali meglio intenzionati non possono trasformare il cuore dell’uomo.
Soltanto il messaggio evangelico, nel senso più profondo del comandamento nuovo, sarà capace di riconciliare gli uomini fra di loro, di unirli in un progetto comune, a favore dell’uomo e dell’umanità.
Ma per annunciarlo i cristiani dovranno, prima di tutto, superare le loro divisioni, riconciliarsi, sviluppare tra di loro e fra tutti gli uomini, al di sopra dei loro impegni personali e istituzionali, quei legami di carità che rendono leggibile a tutti il messaggio evangelico. Avranno bisogno di molta tenacia, per non dire eroismo. A volte la carità è pesante. Alcuni moriranno per questo impegno. L’elenco dei martiri della carità si allunga ogni giorno. Però, quale felicità – dice il Signor Vincenzo – se si potesse rispondere alla domanda: “Chi ti ha ridotto così male? La carità”.
Così quando l’umanità vedrà, coi suoi occhi, l’amore di Dio per i più umili reso visibile, convertito in un progetto comune di tutti i cristiani, allora chissà, come per la prima comunità cristiana di Gerusalemme, i cristiani otterranno “il favore di tutto il popolo” perché tutti si riconosceranno tra loro.
II.- San Vincenzo e la Carità
Nel mese di febbraio del 1653 San Vincenzo, in tre conferenze, definì lo spirito della Compagnia delle Figlie della Carità, a circa venti anni dalla fondazione! – Non lo chiedo a nessuno – diceva il 9 febbraio del 1653 – perché difficilmente ci sarà qualcuna che mi potrebbe rispondere , se non Mademoiselle ( Luisa de Marillac). Se vi chiedessi qual è questo spirito, mi direste: “Padre, ce ne ha parlato qualche volta? Ce lo insegni e le risponderemo” (IX, 533). Fu quindi la prima volta che San Vincenzo concretizzò lo spirito della Compagnia, preferendo come sempre, che una lunga esperienza precedesse ogni codificazione. Al contrario, il 24 febbraio, può chiedere senza paura. “Figlia mia, quante sono le virtù che compongono lo spirito delle Figlie della Carità?” – “Tre Padre”- “Quali sono?”- “La carità, l’umiltà e la semplicità” ( IX, 540). Dopo aver domandato ad altre sorelle che risposero a loro volta, il nostro onoratissimo Padre aggiunse:
“Abbiamo parlato nella prima conferenza sulla carità, che è la prima virtù necessaria al vostro spirito”. (DC. 540). Perciò la carità è la prima virtù dello spirito di Carità. E San Vincenzo spiega (Cf. DC. 537) che consiste nell’amore per il nostro Salvatore, nell’amore ai poveri e nell’amore tra voi.
2.1.- Carità, amore per nostro Signore
Quando San Vincenzo presenta l’amore che dobbiamo a Dio, nostro Signore, distingue, il più delle volte, “due forme” per vivere e tradurre tale amore: “uno affettivo e l’altro effettivo” (Cf. IX 534). Il primo è nell’ordine della tenerezza (San Vincenzo non ha paura di usare questo termine nell’evocare la relazione del bambino con suo padre e sua madre). Ma questo primo modo di amare nostro Signore è incompleto, potrebbe essere illusorio, come ce lo ricorda frequentemente: “Non arriva fino al dato di fatto “ che è l’amore per Gesù Cristo nel servizio concreto dei poveri.
2-2.- Qual è pertanto lo spirito di una Figlia della Carità?
“Qual è pertanto lo spirito di una Figlia della Carità? Consiste, sorelle mie, nell’amore per nostro Signore. Non è naturale che le figlie amino il proprio padre? E perché possiate capire ciò che è questo amore è necessario sapere che si effettua in due modi: affettivamente ed effettivamente. L’amore affettivo è la tenerezza amorosa. Dovete amare nostro Signore con tenerezza ed affetto, come fa un bambino che non vuole separarsi dalla mamma e grida “mamma” appena sente che lei si allontana. Allo stesso modo, un cuore che ama nostro Signore non può sopportare la sua assenza, deve unirsi a lui per questo amore affettivo che, a sua volta produce l’amore effettivo. Perché sorelle mie, non basta il primo, bisogna avere tutti e due. Bisogna passare dall’amore affettivo all’amore effettivo, che consiste nell’esercizio delle opere di carità, nel servizio dei poveri intrapreso con gioia, con entusiasmo, con costanza e amore. Queste due specie di amore sono la vita per una Figlia della Carità, perché essere Figlia della Carità è amare nostro Signore con tenerezza e costanza: con tenerezza, sentendosi a proprio agio quando si parla di lui, quando si pensa a lui, ci si sente pienamente consolati, quando ci capita di pensare: “Il mio Signore mi ha chiamato per servirlo nella persona dei poveri, che felicità!”. L’amore delle Figlie della Carità non è soltanto tenero è anche effettivo perché, esse, servono effettivamente i poveri, corporalmente e spiritualmente” ( IX, 534-535).
2.3.- Adempite tutte le cose della vostra vocazione
“Ci sono alcune tra voi che amano molto Dio, sentono una gran dolcezza nell’orazione, grande soavità in tutti gli esercizi, grande consolazione nell’accostarsi ai Sacramenti. Esse non hanno contraddizioni in sé, dovuto tutto all’amore che sentono per Dio, per cui ricevono con gioia e sottomissione tutto ciò che proviene da Lui. Ce ne sono altre che non sentono Dio. Non lo hanno mai sentito. Non trovano piacevole l’orazione, non hanno devozioni, così credono. Ma non per questo non fanno orazione, anzi praticano le Regole e le virtù, lavorano molto, anche se con ripugnanza. Per caso esse non amano Dio? Neanche per sogno, perché fanno come le altre e con un amore molto più forte, anche se non lo sentono. E’ l’amore effettivo, che continua ad operare, anche se non appare.
Ci sono delle povere suore che si scoraggiano. Sentono dire che alcune provano grande affetto, altre fanno molto bene l’orazione, altre ancora amano tantissimo Dio. Esse invece non sentono niente di tutto ciò. Credono che tutto sia perduto. Che non ci fanno niente nella Compagnia perché non sono come le altre. Farebbero meglio ad uscire poiché non hanno amor di Dio.
Care sorelle, questo è un grande equivoco. Se adempite a tutte le cose della vostra vocazione, siate sicure che amate Dio, non solo, lo amate con maggiore perfezione di quelle che lo sentono molto ma non fanno quello che voi fate. Ascoltate bene quello che vi dico: sì, voi fate le cose della vostra vocazione” (IX, 433-434).
2.4.- Dio ascolta molto bene anche se non gli parliamo
“Quando Dio vuole comunicare con qualcuno, lo fa senza sforzi, in modo sensibile, soavemente, dolcemente e amorosamente. Allora chiediamogli fiduciosi il dono dell’orazione. Da parte sua Dio non cerca altro di meglio. Chiediamoglielo con tanta fiducia e saremo sicuri che ce lo concederà per la sua misericordia. Egli non si nega mai quando preghiamo con umiltà e fiducia. Se non lo fa al principio poi lo farà. Bisogna perseverare senza scoraggiarsi. E se ancora non possediamo lo spirito di Dio, prima o poi ce lo darà per la sua grande misericordia, se insistiamo, forse dopo tre o quattro mesi, oppure dopo un anno o due. Succeda quel che vuole, noi confidiamo nella provvidenza, speriamo tutto dalla sua liberalità, lasciamolo fare e rimaniamo fiduciosi. Allorché Dio, per la sua bontà, concede una grazia a qualcuno, ciò che si credeva difficile diventa facilissimo, dove c’era tanta pena ora c’è piacere, e non c’è altro da fare se non meravigliarsi dentro di sé del cambiamento insperato.
Ecco che abbandonarsi senza sforzo alla presenza di Dio, diventa naturale, non cessa più; e questo si fa con molta soddisfazione. Non è necessario sforzarsi, né cercare dentro di sé parole altosonanti … Dio ascolta benissimo senza che gli si parli, scruta tutti i recessi del nostro cuore, conosce anche il più piccolo dei nostri sentimenti” (XI, 136-137).
2.5.- Amiamo Dio, fratelli miei, amiamo Dio
“Amiamo Dio, fratelli miei, amiamo Dio, ma che sia a costo delle nostre braccia, con il sudore della nostra fronte. Molte volte gli atti di amore di Dio, di compiacenza, di benevolenza ed altri simili affetti e pratiche interiori di un cuore innamorato, benché buoni e desiderabili, risultano tuttavia molto sospetti quando non giungono alla pratica dell’amore effettivo. “ Mio Padre è glorificato quando portate molto frutto”. Dobbiamo stare molto attenti perché ci sono molti che, preoccupati di avere una compostezza esteriore e l’animo pieno di buoni sentimenti per Dio, si accontentano di questo; ma quando si arriva ai fatti e si presentano cose da fare si danno alla fuga” (XI, 733).
III. Carità, amore per i poveri
“L’amore effettivo di nostro Signore Conduce per logica la Figlia della Carità verso i poveri. L’amore effettivo di nostro Signore è l’amore per i poveri. Proprio attraverso il modo di amare e servire i poveri si apprezza meglio l’amore di Dio, come afferma Gesù Cristo in San Matteo” (25,31).
3.1- Quel che farete al più piccolo dei miei
“Ecco, questo è ciò che vi obbliga a servirli con rispetto, come vostri padroni, con devozione, perché rappresentano per voi la persona di nostro Signore che ha detto: “Quel che farete al più piccolo dei miei fratelli l’avrete fatto a me”. Effettivamente, figlie mie, nostro Signore è presente in quell’infermo, in coloro che ricevono il vostro servizio. Di conseguenza non si deve solo avere molta attenzione nell’allontanare da sé la durezza e l’impazienza, ma anche sforzarsi di servire con cordialità e con grande dolcezza anche i più arrabbiati e difficili, senza dimenticare di rivolgere loro qualche buona parola” (IX, 916).
3.2.- Quel che uscirà da un tale cuore porterà con sé un po’ di fuoco
“ Così, dobbiamo dir loro qualche cosa secondo le necessità che notiamo. Per realizzarlo dovete riempirvi dello spirito di nostro Signore, in modo che tutti vedano che lo amate e che cercate di farlo amare. Colei che è ricolma dello spirito di nostro Signore necessariamente produrrà molto frutto. Ma se ci fossero fra voi alcune che siano della Carità solo di nome e per il modo di vestire, non diranno niente come si deve o, se dicono qualcosa, lo faranno con tanta freddezza che non impressioneranno nessuno. Come mai? Quella sorella, che non ha carità nel suo cuore, parlerà solo con la bocca, ciò che dirà non avrà nessuna forza, giacché proviene dalla lingua e non dal cuore. Al contrario quelle che sono piene di Dio parleranno con affetto perché hanno Dio nel cuore, tutto ciò che uscirà da quel cuore porterà con sé un po’ di calore che penetrerà in quello dell’infermo; sarà balsamo che lo irrora con il suo aroma” (IX, 918).
3.3.- Per questo Dio ha Voluto la vostra Compagnia
“Dovete considerare spesso che la vostra occupazione principale, e che Dio vi chiede in particolare, è quella di avere molta cura del servizio dei poveri, che sono i vostri signori. Si, sorelle mie, sono i nostri padroni. Dovete trattarli con dolcezza e cordialità, pensando che è proprio per questo che siete state riunite, associate a Dio e che per questo Dio ha fatto la vostra Compagnia. Dovete aver cura che non manchi loro niente in ciò che potete, sia per la salute del corpo come per la salvezza dell’anima. Siate felici, figlie mie, Dio vi ha scelte per questo servizio, per tutta la vostra vita” (IX, 125).
3.4.- Dio ama coloro che amano i poveri
“Dio ama i poveri, di conseguenza ama chi li ama. Infatti, quando si ama molto una persona si ha affetto anche per i suoi amici e familiari. Bene, questa piccola Compagnia della Missione cerca di dedicarsi con affetto al servizio dei poveri, i preferiti di Dio, abbiamo perciò motivo di sperare che per l’amore che abbiamo per loro Dio amerà anche noi. Allora, fratelli miei, andiamo e occupiamoci con amore rinnovato del servizio dei poveri cercando i più poveri e abbandonati; riconosciamo davanti a Dio che essi sono i nostri signori e padroni e noi siamo indegni di rendere loro i nostri piccoli servizi” (XI, 273).
3.5. – E’ stata la carità
“ Se Dio permettesse che i missionari si vedessero costretti dalla necessità ad andare a servire come coadiutori nei villaggi per trovare di che vivere, o alcuni di loro dovessero mendicare il pane o dormire accanto a un muro, con i vestiti sgualciti e morti di freddo e qualcuno chiedesse a uno di loro: “Povero prete della Missione, chi ti ha ridotto così?” quale felicità, fratelli miei, poter rispondere “E’ stata la carità”. Oh quanto quel povero prete sarebbe stimato da Dio e dagli angeli!.(XI, 768).
3.6.- Grande era la gioia di poter servire
“Poco tempo fa parlavo in una riunione … (le parole pronunciate da suor Andrea prima di morire) … e le chiesi: Allora sorella, non c’é niente del passato che le possa causare rimorso? Ella mi rispose: No Padre, non c’è niente, a meno che possa essere che provavo molta soddisfazione ad andare nei villaggi, a visitare quella buona gente, volavo per la gioia di poterli servire “(IX, 612)
IV. Carità, amore tra noi
“Amatevi fra voi come vere Sorelle (IX, 1017). E’ il terzo aspetto della Carità che San Vincenzo propone alla Compagnia delle Figlie della Carità. Un aspetto, che, come quelli precedenti, vale per tutte le comunità e tutte le aggregazioni della Chiesa. La carità fraterna si forma sulla base del rispetto e della cordialità, perché il rispetto e la cordialità generano la vera stima” (IX,145). La carità è la migliore condizione per un migliore servizio dei poveri. E’ la testimonianza data in nome di Dio e della Chiesa.
4.1.- Gioia del cuore
“La cordialità, propriamente detta, è l’effetto della carità del cuore, infatti due persone che hanno carità l’una per l’altra perché si amano, se lo dimostrano. Se avete amore per i poveri, dimostrategli che siete molto contente di vederli. Quando una sorella vuole bene ad un’altra, glielo dimostra con le parole. Questo si chiama cordialità, questo è il cuore che esulta quando è contentissimo di stare con un’altra persona, dicendole: “Sorella sono molto contenta di parlare con te”. Questa è la cordialità raccomandata dalle vostre Regole, ed conveniente dimostrarvelo grazie alla gioia del cuore che si riflette sul volto. Agire così è la testimonianza della cordialità del cuore data da una certa gioia interiore che ci dona un viso sorridente e grazioso quando si parla con una suora o con altre persone. Tutto questo si chiama cordialità che è un effetto della carità. Se la carità fosse una mela la cordialità ne sarebbe il colore. A volte noterete delle persone che hanno un aspetto sorridente che le rende belle e gradevoli. Dunque, se la mela fosse la carità, il suo colore sarebbe la cordialità. Allora vedete come la cordialità è una virtù per la quale si dimostra l’amore per il prossimo e che è molto necessaria alle Figlie della Carità per avvicinarle alle persone con cui si relazionano. Si potrebbe anche dire che la carità è un albero, le foglie e i frutti sono la cordialità, ma se fosse un fuoco, la fiamma sarebbe la cordialità” (IX, 1037-1038).
4.2.- Una sarà triste, l’altra contenta
“A volte siamo tanto incupiti e di malumore che a malapena ci sopportiamo: capita spesso che siamo tanto scontenti di noi stessi che ci pentiamo la sera di quel che abbiamo detto la mattina.
L’esperienza di questo nostro comportamento non ci dovrebbe aiutare a tolleraci reciprocamente?
Due Figlie della Carità vivono insieme. Anche se sono alquanto virtuose non saranno sempre dello stesso umore e, tuttavia, è necessario siano unite e cordiali tra loro. Una sarà triste, l’altra contenta; una si sentirà soddisfatta, l’altra scontenta. Se notate non duriamo più di un’ora con lo stesso umore. Cosa possiamo fare, sorelle mie, se non sopportarci a vicenda e praticare la virtù della condiscendenza così necessaria alla nostra vita?
Ricordatevi per favore di questa pratica perché senza, sorelle mie, non sareste Figlie della Carità ma figlie della discordia e della confusione; questo comportamento sarà di cattivo esempio per il prossimo e scandalizzerà molti” (IX,528-529).
4.3.- Vedete quelle Figlie della Carità
“La disunione fa si che se una vuole una cosa l’altra ne vuole una diversa. La gente che se ne rende conto rimane delusa. I poveri avranno motivo per non ascoltare i consigli che vengono dati per il loro bene. Diranno: “Vedete quelle Figlie della Carità non vanno d’accordo tra loro”. Figlie mie, la disunione, incluso fra conoscenti, dirige facilmente una comunità verso la sua rovina. Il mio corpo è uno con tutte le sue membra, se soltanto si fa un’incisione profonda nella mia mano tutto il corpo ne risentirà. La stessa cosa succede nelle comunità, quando una parte è in disaccordo anche il resto soffre. Tutti quelli che ne sono testimoni si scandalizzano e non dicono: “ Sono Giovanna e Margherita che litigano ma sono le Figlie della Carità”. Perciò a causa di due persone è tutto il corpo delle Figlie della Carità a dare cattivo esempio. Ma se tutte vivono unite edificano il prossimo e danno gloria a Dio” ( IX, 109).
4.4.- Voglia la bontà di Dio
“Voglia la bontà di Dio, mie carissime figlie, elargirvi con abbondanza il suo spirito, che è spirito d’amore, di mansuetudine, di soavità e di carità, affinché la pratica di queste virtù possa corrispondere al modo che Egli desidera da voi, per la sua gloria, la vostra salvezza e l’edificazione del prossimo” (IX, 263-264).
4.5.- Bisogna avere un comportamento comune
“E’ necessario. Unisce i cuori. Dio benedice le decisioni che si prendono, così gli avvenimenti si affrontano meglio. Ogni giorno, durante la ricreazione, potreste dire: “Sorella come le è andata oggi?”. “ Oggi mi è successo questo … Che ne pensa?”. Questo fa si che la conversazione risulti tanto gradevole da non desiderare altro. Al contrario, quando ciascuna se ne va per i fatti suoi, senza dire niente agli altri, è veramente insopportabile.
“Nella Compagnia c’è una suor servente che dà tanta preoccupazione alle sue consorelle per il suo carattere. Per mia esperienza, anche se nella Missione ci sono dei poveri uomini ma il superiore è aperto, comunica, informa, va tutto bene. Al contrario quando c’è uno che si chiude in se stesso e nelle sue cose e agisce per conto suo, allontana i cuori e non c’è nessuno che si azzardi ad avvicinarlo. Ecco figlie mie, bisogna fare così, non passi niente, non si faccia niente, non si dica niente, senza che lo sappiano le altre. Bisogna avere questo comportamento comune” (IX, 733).
4.6.- Per carità, umiltà, semplicità
“Oh salvatore dell’anima nostra. Luce del mondo. Ti chiediamo di illuminare la nostra mente perché si possa conoscere la verità delle cose che abbiamo appena ascoltato. Lo chiediamo a te che hai voluto formare, per servirti, una Compagnia di povere figlie che ti devono servire proprio nel modo in cui hai insegnato loro. Rendile, Dio mio, tuoi strumenti. Concedi loro e concedi a me, malgrado sia un miserabile peccatore, la grazia di poter agire sempre con carità, umiltà e semplicità nell’assistenza del prossimo. Concedici questa grazia, Signore nostro. Se rimaniamo fedeli alla pratica di queste virtù viviamo nella speranza della ricompensa che hai promesso a coloro che ti servono nella persona dei poveri” (IX, 538-539).
V.- Domande per la riflessione e il dialogo
- Il questionario non ha la forma abituale. Bisognava proporre una riflessione sulla carità come relazione con Dio, con i poveri, in comunità.
“E’ necessario passare dall’amore affettivo all’amore effettivo”.
“Sono stata chiamata a servire come legame di unione con i poveri … senza condividere la loro vita … le circostanze mi hanno obbligato a condividere la loro vita … Ho visto nuovi modi di vivere …Questa realtà ha stravolto tutte le mie sicurezze …
Per condividere esperienze … Non ho dovuto anch’io fare delle scelte difficili? Vivere rotture dolorose? Avere pazienza per comprendere gli altri ed essere accettato?
- Non ci può essere carità se non è accompagnata dalla giustizia (II,48)
Spesso facciamo gli assistenti, spinti dalla compassione… Ci occupiamo di tutto, abbiamo fatto di quella persona il nostro povero.
Qual è il modo di amare?
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