Sapienza 12,13.16-19;
Salmo 85;
Romani 8,26-27;
Matteo 13,24-43
Lectio
È importante ricordare due concetti. Il primo è quello dell’attesa della fine del mondo. Il secondo è quello che usa Matteo quando scrive il vangelo. Egli cita sempre un profeta.
L’attesa della fine dei tempi: la prima generazione cristiana (33 d.C. – 120 d.C circa), era convinta che il mondo finisse in capo alla loro generazione. Tenendo presente questo, si comprende di più il discorso sulla tolleranza che leggeremo in questa lectio.
La profezia: Matteo usa riportare una profezia e attorno ad essa costruire un fatto, una vicenda. Lo scopo è quello di affermare che gli antichi profeti hanno annunciato il messia nel modo con cui Gesù di Nazareth lo ha impersonato. Inoltre, sempre Matteo, sottolinea come Gesù di Nazareth, abbia adempiuto le profezie.
Ecco perché il popolo d’Israele è stato sostituito, come popolo eletto, dalla comunità cristiana, perché questi non ha seguito il messaggio dei profeti ed ha ucciso Gesù.
Il problema che pone la parabola della zizzania non sta nel fatto che i cattivi esistano nel mondo, che è il campo, ma che esistano dove il Figlio dell’Uomo ha seminato i buoni; la semente sono i membri della Chiesa, non la parola.
Questo ha portato la Chiesa a riconoscere ch’essa non è una comunità di soli eletti; ha pure dei membri infedeli. Dio li tollera nella Chiesa così come li tollera nel mondo nel suo insieme; ma il giudizio determinerà il destino finale dei cattivi e dei giusti e purificherà completamente il regno.
Il regno dei cieli, ricorda l’autore del vangelo di Matteo, non è venuto nella modalità trionfante come l’attendeva il giudaismo, ma il suo sviluppo ebbe umili inizi, tanto da scandalizzare gli ebrei del tempo e anche gli stessi discepoli di Gesù. Lo stesso concetto è descritto nella parabola del lievito, anche se il redattore non coglie che tre misure di farina sono una quantità esagerata, forse egli pensava il contrario, come aveva scritto per il granello di senapa.
Meditatio
Capita ancora che, tra i laici, si confonda ancora la Chiesa con la gerarchia della Chiesa (diaconi, preti e vescovi), d’altra parte fino al Concilio Vaticano II con il termine Chiesa s’intendeva proprio la gerarchia, anche se si parlava di chiesa come corpo mistico di Cristo, ma in pratica il laico, la persona che non aveva ricevuto il sacramento dell’Ordine non era ritenuto Chiesa.
Proprio per questo, anche oggi c’è, da parte della gente, molta fatica ad accettare i peccati commessi dalla gerarchia, specialmente quando riguardano il denaro, la pedofilia e l’omosessualità.
Il vangelo c’insegna che queste situazioni nella chiesa ci saranno sempre. Quello che è importante è, da una parte, non rassegnarsi e far finta di non vedere, o erigere muri affinché gli altri non riescano a vedere; dall’altra ricordare che il giudizio è del Signore.
Questo non significa che non bisogna lavorare perché la verità trionfi e cercare, come sta impegnandosi papa Francesco, a scardinare l’uso clericale di coprire, di erigere muri, affinché la zizzania possa prosperare, impedendo la ricerca della verità.
Dobbiamo pregare per queste persone che si sono macchiate di questi grandi peccati, affinché il rimorso, che sicuramente avranno anche se sono coperti o sono dietro ai muri costruiti dall’autorità ecclesiastica per preservarne la fama, possa far sentire loro l’amore di Dio e, come Zaccheo, chiedere perdono e riparare il mal tolto alle loro vittime: questo è estirpare la zizzania, seguendo la voce di Dio.
Non bisogna scandalizzarci: nella chiesa, fino al termine della storia, la zizzania ci sarà sempre. L’importante è combatterne la diffusione e seguire coloro che ci sono d’esempio nel servizio di Cristo e della Chiesa, pronti a perdonare coloro che intendano dalla situazione di zizzania, tornare a far parte del buon grano.
Buona domenica.
Sedicesima domenica del Tempo Ordinario A Di p. Giorgio Bontempi c.m.
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