«Noi, donne arabe impegnate nella lotta per la democrazia, la dignità e l’uguaglianza, noi che siamo state in prima linea negli straordinari cambiamenti in atto nel mondo arabo, vogliamo ricordare alla comunità internazionale che le donne hanno il diritto di beneficiare, allo stesso titolo degli uomini, del vento della libertà e della dignità che sta soffiando in questa regione del mondo».

Tra le firmatarie dell’”Appello delle donne arabe per la dignità e l’uguaglianza”, che qualche mese fa si ritagliò ampio spazio sui media e nel dibattito pubblico, c’erano anche le rappresentanti dell’Associazione Tunisina delle donne democratiche (Association Tunisienne des femmes démocrates, Atfd).

 

Le stesse che, in occasione dell’anniversario del Codice tunisino sullo statuto personale che negli anni Cinquanta segnò una tappa cruciale verso l’uguaglianza di genere di fronte alla legge (il testo bandiva la poligamia e garantiva la parità sul luogo di lavoro e nei tribunali), sono scese per le strade di Tunisi rivendicando la necessità di difendere le conquiste nel campo dei diritti femminili davanti alla minaccia di un rigurgito conservatore di matrice confessionale, con l’ascesa dell’islam politico nell’era post-Ben Ali.

 

È per questo costante attivismo, portato avanti con coraggio dal 1989, che l’Atfd riceverà, il 29 giugno a Bolzano, il Premio Alexander Langer (il 26 è prevista una cerimonia alla Camera dei deputati), nel contesto dell’edizione 2012 di Euromediterranea, quest’anno tutta dedicata a “Donne in cammino”. Il premio dedicato al grande intellettuale scomparso nel 1995 – del quale Chiarelettere manda in libreria in questi giorni il libro Non per il potere, che raccoglie alcuni scritti sull’impegno politico e i temi della pace e della democrazia –, intende «riconoscere la lotta lunga e coraggiosa per i diritti delle donne e i diritti umani di uno fra i soggetti più significativi del contesto tunisino», e vuole anche sottolineare la centralità di tale impegno come «condizione essenziale per il successo della transizione democratica».

 

Nata in un momento di apertura politica alla fine degli anni Ottanta, l’associazione fu infatti la prima a porre la grande questione della cittadinanza femminile in stretta relazione con la democrazia e la separazione tra religione e vita civile. Se da una parte l’urgenza delle attiviste era smascherare la strumentalizzazione delle donne operata dal regime, che puntava a dare una falsa immagine di modernità per ottenere il favore dell’Occidente, dall’altra l’azione dell’Atfd si assestò da subito sul doppio binario di impegno sul campo e pressione politica.

 

Al centro, questioni scottanti come la violenza e gli abusi sessuali in una società fortemente patriarcale, ma anche le discriminazioni sull’eredità o la specifica dimensione femminile della povertà: un tema destinato a diventare di forte attualità con le rivolte per il pane, all’origine della “rivoluzione dei gelsomini”. Tra i frutti concreti dell’impegno di questi anni, un posto speciale è occupato dal Centro di ascolto che dal ’93 offre assistenza medica, psicologica e legale alle vittime di violenza, e a cui si sono aggiunte nel tempo le campagne di denuncia, oltre ai rapporti di indagine destinati a partiti politici e organizzazioni internazionali. Cruciale la vittoria ottenuta sul fronte della penalizzazione delle molestie sessuali nelle scuole e nei luoghi di lavoro: una campagna iniziata nel 2000 ha portato, quattro anni dopo, all’inserimento di questo reato nel codice penale tunisino.

 

Se la correlazione tra modello culturale dominante e persistenza di alcune discriminazioni è una realtà con cui le attiviste dell’Atfd si sono scontrate sempre più, non sorprende la loro più recente iniziativa: un’Università femminista in cui formare i giovani, ragazze e ragazzi, a un modello di cittadinanza fondato sull’uguaglianza dei diritti, come base per il cambiamento democratico a più ampio raggio. Un modello che, proprio nel momento in cui i tunisini sperimentano inedite libertà e prospettive di partecipazione, subisce paradossalmente nuove minacce. Basti pensare alle recenti prese di posizione di movimenti islamisti radicali che, per bocca stessa delle proprie militanti, hanno invocato il ritorno al califfato quale «esempio brillante per i diritti e il ruolo politico delle donne».

 

Peccato che definiscano la democrazia «una forma di blasfemia»… Per l’Associazione delle donne democratiche, questi segnali preoccupanti sono tuttavia controbilanciati dal fermento che, dopo la rivoluzione, ha determinato un boom dell’associazionismo e della mobilitazione sociale e politica di base. La ricchezza della società civile tunisina sarà la chiave per superare la prova del cambiamento. Donne in prima fila.

 

Fonte: www.avvenire.it – 15 giugno 2012 – Chiara Zappa

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