La missione ad gentes e la “nuova evangelizzazione” vanno insieme.
Urgenza della missione ad gentes
La crisi finanziaria che sta affliggendo il mondo occidentale e che, di riflesso, si ripercuote anche sul resto del mondo, insieme con la crisi dei valori e con il “disagio” che percorre la Chiesa in questi ultimi tempi, rischia di prendere il sopravvento su ogni altra preoccupazione. Sono molti a chiedersi se c’è ancora un futuro per il mondo e quale esso possa essere e se c’è ancora una ragione alta per vivere e impegnarsi per questo futuro. Il rischio di accontentarsi del piccolo cabotaggio, della gestione del quotidiano senza prospettive di ampio respiro cadendo, quindi, in forme di qualunquismo … non è affatto immaginario.
La stessa cosa va detta della Chiesa. Anche molte comunità cristiane sono incagliate nei loro problemi interni, che non sono, sia chiaro, né semplici né facili, l’indifferenza di tanti cristiani che abbandonano la pratica della vita cristiana, la crisi dei valori tradizionali e, qua e là, anche una crisi di credibilità, la riduzione del numero del clero, dei religiosi/e e il venir meno delle loro opere, ecc. Ad occhi umani, può sembrare che la Chiesa abbia imboccato una strada che conduce al declino e non basta una Giornata mondiale della gioventù a far cambiare quest’impressione.
L’impegno missionario un impegno ineludibile
Per fortuna la Giornata Missionaria mondiale viene a svegliare la Chiesa, non con la paura di un declino, ma col richiamo alla sua missione, che la costringe a distogliere lo sguardo dalla sua situazione interna, per guardare fuori di sé e rendersi conto che la missione che Gesù le ha lasciato da compiere non è ancora conclusa e che, quindi, deve rinnovarsi per svolgerla al meglio. Benedetto XVI nell’annuale Messaggio per quest’occasione, ricorda a tutti l’impegno missionario come un impegno ineludibile. Non dice nulla di nuovo, ma richiama gli assi portanti della missione: la sua origine divina, la sua forza rinnovatrice, l’universalità e l’urgenza della missione, il coinvolgimento di tutti nella missione, la missione come costruzione della comunione nella Chiesa e nel mondo ecc. Facendo suo l’insegnamento di Giovanni Paolo II alla fine del Giubileo del 2000, richiama la necessità di rinnovare la coscienza missionaria, l’impegno cioè di far giungere a tutti l’annunzio del Vangelo «con lo stesso slancio dei cristiani della prima ora» (Novo millennio ineunte, 58). Il papa allude ai discepoli di Emmaus che, dopo aver riconosciuto il Signore nello spezzare il pane, partirono senza indugio per Gerusalemme dove trovarono riuniti gli Undici ai quali annunziarono di aver incontrato il Risorto (cf. Lc 24,33-34), e ci esorta ad essere «vigili e pronti a riconoscere il suo volto e correre dai nostri fratelli a portare il grande annunzio: Abbiamo visto il Signore!» ( Novo millennio ineunte, 59).
Testimoniare il Risorto è «il servizio più prezioso che la Chiesa può rendere all’umanità e a ogni singola persona alla ricerca delle ragioni profonde per vivere in pienezza la propria esistenza» (Messaggio), in questa stagione di generale disorientamento. La missione, mentre risponde alle attese di senso e di speranza del mondo, è per la Chiesa forza di rinnovamento e di ringiovanimento. Spesso nei nostri ambienti ci si chiede che cosa potrà ridare alla Chiesa la freschezza e la voglia di vivere pienamente la sua vita uscendo dai blocchi in cui è andata a incagliarsi. La risposta è sempre quella: la missione. Solo la missione è l’energia interna della Chiesa, la grazia, la vocazione, l’identità più profonda della Chiesa che «esiste per evangelizzare» (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 14). In realtà «la missione rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, le dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola!» (Redemptoris missio, 2). E Giovanni Paolo II continua dicendo che anche la «nuova evangelizzazione» dei popoli cristiani «troverà ispirazione e sostegno nell’impegno per la missione universale» (ibid).
La Chiesa del nostro tempo «non può mai chiudersi in se stessa» (Messaggio), perché essa rinnegherebbe la sua vocazione cattolica. Essa è e deve restare ovunque, qui come negli altri continenti, aperta al mondo che la circonda. Là dove arriva il Vangelo, la Chiesa si radica nella cultura e nell’ambiente umano locale, diventa Chiesa locale, ma mai deve perdere la sua vocazione cattolica. Se essa si radica in un luogo, è “per andare oltre … In adesione alla parola di Cristo e sotto l’influsso della sua grazia e della sua carità, [la Chiesa] si fa pienamente e attualmente presente a tutti gli uomini e a tutti i popoli per condurli alla fede in Cristo» (Messaggio) e non solo, ma anche per contribuire alla promozione della vita umana “in senso pieno” perché, ricorda Benedetto XVI citando Paolo VI «non è accettabile che nell’evangelizzazione si trascurino i temi riguardanti la promozione umana, la giustizia, la liberazione da ogni forma di oppressione … e non sarebbe in sintonia con il comportamento di Gesù, il quale “percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e infermità” (Mt 9,35)»” (Messaggio).
La missione non è vicina alla conclusione
Infine il papa rassicura tutti che la missione non è vicina alla conclusione, come a volte molto superficialmente si afferma. La missione non ha perso la sua urgenza, anzi, essa «è ancora ben lontana dal suo compimento … è ancora agli inizi» (Redemptoris missio, 1). Non possiamo quindi rimanere tranquilli al pensiero che, dopo duemila anni, ci sono ancora popoli che non conoscono Cristo e non hanno ancora ascoltato il suo messaggio di salvezza. Ma c’è anche un’altra ragione che rende urgente la missione e che il papa richiama in occasione della Giornata missionaria mondiale: egli constata che si sta allargando «la schiera di coloro che, pur avendo ricevuto l’annuncio del Vangelo, lo hanno dimenticato e abbandonato, non si riconoscono più nella Chiesa». Molti ambienti, anche in società tradizionalmente cristiane, sono diventati indifferenti alla fede. Benedetto XVI è preoccupato di questa nuova realtà tanto che ha deciso di convocare un Sinodo dei vescovi per affrontare il tema della “nuova evangelizzazione”. È urgente trovare nuovi metodi, nuove motivazioni, nuove forze per ricuperare questi fratelli e sorelle che hanno abbandonato la vita cristiana. Si tratta di un fenomeno, legato al cambiamento culturale che viene dalla globalizzazione, dalla cultura del post-moderno e dal conseguente relativismo e consolida una mentalità e un modo di vivere “come se Dio non esistesse”, che ricerca il benessere, il guadagno facile, la carriera e il successo come scopo della vita, anche a scapito dei valori morali.
Missione ad gentes e “nuova evangelizzazione” vanno insieme. Non si può promuovere l’una senza l’altra, perché si condizionano reciprocamente (Redemptoris missio 34). Per questo la Giornata missionaria di quest’anno si presenta con un’urgenza del tutto particolare che deve ridare slancio alla Chiesa e alle comunità, in modo speciale, a quelle di vita consacrata. I religiosi/e non si possono limitare a entrare nella missione per promuovere il futuro della propria congregazione, anche se non è un compito da escludere. Bisognerà dare alla vita consacrata il respiro largo della missione universale e alimentare in noi quella “fede vissuta e illuminata” (Benedetto XVI) che infonda nuova forza alla sua testimonianza in modo che la presenza dei religiosi/e nel mondo divenga forza d’irradiazione della Parola e mostri a tutti come è bello e pieno di senso vivere la novità del Vangelo. Questa è la forza della missione.
(Fonte: Editoriale in “Testimoni”, Numero 17 del 2011 pag. 1)
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