Non è semplice descrivere un’esperienza tanto intensa come l’aver partecipato ad una Missione Popolare. Nel Seminario Interno non poteva mancare questo lavoro apostolico e certamente per noi italiani, come ho già avuto modo di dire in passato, il fatto di vedere un’altra realtà pastorale è stata occasione per una riflessione più ampia.
Ad onor di cronaca è importante rilevare che in effetti i problemi e le difficoltà di tipo “religioso” di questa zona (la missione si è svolta nella provincia di Murcia, a Puente Tocinos) sono molto simili a quelli di casa nostra; è quindi opportuno sottolineare che le difficoltà maggiori noi seminaristi le abbiamo vissute più sul come la missione è stata organizzata e si è sviluppata.
Il lavoro della visita casa per casa è ciò che ci ha impegnato nelle prime due settimane. Camminando e camminando per le strade ed i “carril” di questo sobborgo abbiamo potuto vedere al lavoro missionari, più esperti di noi “novellini”, ai quali siamo stati affiancati, soprattutto per avere un appoggio nel diverso idioma e nel saper affrontare i moltissimi “no grazie, non mi interessa” ricevuti!
Tutto questo non scandalizza… è nella norma; soprattutto in una missione tanto complessa come questa: quasi 20.000 abitanti di un “quartiere dormitorio” della grande e vicina città, una sola parrocchia con un solo sacerdote. Si è trattato soprattutto di vedere per quanto possibile faccia a faccia il maggior numero di persone possibili, in modo che il programma delle attività di questo “tempo forte” che è la missione non fosse solo un anonimo foglietto infilato nella buca delle lettere ma un volto ed un sorriso di qualcuno che uscendo dalla parrocchia potesse avvicinare per quanto possibile la Chiesa a chi per vari motivi è lontano. Non è facile di questi tempi trovare chi accoglie volentieri degli sconosciuti, seppur con la buona intenzione di non essere molesti; le nostre case sono spesso vuote perché si lavora tutto il giorno o perché desideriamo lasciare fuori le cose che non ci piacciono o per tanti altri motivi che forse non sappiamo… Il significato nel fare visite cercando di arrivare a tutte le famiglie risiede anche e soprattutto nel fatto che è occasione di conoscenza di situazioni particolarmente difficili che la parrocchia è bene sappia, difficoltà materiali e spirituali tanto come pastorali.
Il limite che personalmente ho riscontrato è che in un luogo così grande è quasi impossibile arrivare a tutti… la gente lavora e in casa il più delle volte non si incontra nessuno e con tante strade da percorrere è difficile ritornare in un momento diverso della giornata dove il campanello è suonato inutilmente. Per fortuna, almeno dal punto di vista umano, spesso si è rincuorati dal sorriso di qualcuno che ti accoglie in casa molto generosamente o nel riscontare qualche effettivo caso di necessità che meritava di essere “scoperto”. In me rimane comunque la strana sensazione che ad aprire la porta per accoglierti nella stragrande maggioranza dei casi è chi già frequenta la parrocchia e in un certo senso ti aspettava. Nulla di male, anzi… Ma arrivare ai poveri “veri” non è facile… Si potrebbe cadere facilmente nel credere che sia dunque “tempo perso”. La risposta per molti di noi seminaristi no è semplice, ammettiamolo. Se la missione significa vivere un tempo di particolare animazione di una chiesa particolare non cade invano il lavoro svolto. E’ opportuno ed importante sottolineare che noi abbiamo svolto solo una minima parte del lavoro missionario: non abbiamo partecipato al periodo della preparazione, né concluderemo la missione perché Teruel e il proseguimento delle nostre attività ci attendono.
La nostra visione è dunque parziale perché essendo la nostra prima esperienza abbiamo dei limiti nel poterla giudicare nella sua pienezza. Possiamo però dire di aver vissuto con grande intensità e con buon animo ciò che ci è stato chiesto di fare. In questo anno così intenso queste tre settimane lasceranno un segno importante, l’aver toccato con mano e cuore tutto l’entusiasmo e tutta la fatica che si possono vivere quando lavoriamo per il Signore, per il suo Regno. E se è vero, come detto, che è importante lasciar sedimentare l’esperienza per riprenderla in mano con calma, magari nelle nostre rispettive provincie per aprirsi al confronto, dal mio punto di vista una prima valutazione è che preferisco aver vissuto un’esperienza complessa che porterà frutto piuttosto che un facile entusiasmo che poi si incaglia alle prime difficoltà vere.
E’ l’inizio del nostro lavoro apostolico… Ora possiamo incamminarci a concludere questo anno con negli occhi qualcosa di concreto, che ci animi sempre più a “seguire Cristo, evangelizzatore dei poveri”.
Lorenzo D.
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