La sinodalità nel carisma vincenziano (seconda parte)

da | Ott 18, 2024 | Famvin 2024, Formazione vincenziana | 0 commenti

Riflessioni sui temi che saranno affrontati nell’incontro della Famiglia Vincenziana a Roma.
Periodicamente vi presenteremo una riflessione su uno dei temi legati all’incontro della Famiglia Vincenziana che si terrà a Roma dal 14 al 17 novembre 2024.

 

Questo studio è la tesi di laurea del programma “Master in Vincenzianesimo” di suor María Isabel Vergara Arnedillo, attuale Visitatrice della Provincia Spagna-Est delle Figlie della Carità. Data la sua lunghezza, la pubblicheremo settimanalmente in quattro puntate.

  • Introduzione: Il testo introduce la sinodalità come modalità proposta da Papa Francesco per la Chiesa, invitandoci a “camminare insieme” in comunione e partecipazione. Riflette su come la sinodalità dovrebbe essere una pratica standard e si interroga sul perché questa forma non sia sempre stata predominante nella Chiesa.
  • Prima parte: La sinodalità nella Chiesa: La sinodalità è presentata come una dimensione essenziale della Chiesa, che implica il camminare insieme nella comunione e la partecipazione attiva di tutti i battezzati. Essa comprende atteggiamenti, dinamiche relazionali e garanzie giuridiche, promuovendo un modello di Chiesa inclusiva che risponde alle sfide contemporanee nell’unità e nella diversità.
  • Seconda parte: La dimensione sinodale nelle prime tre fondazioni vincenziane: San Vincenzo de’ Paoli e Santa Luisa de Marillac, pur non usando il termine “sinodalità”, ne hanno vissuto i principi. Nelle Confraternite della Carità, nella Congregazione della Missione e nella Compagnia delle Figlie della Carità, la comunione, la partecipazione e la missione sono evidenziate come fondamenti organizzativi e spirituali, anticipando la visione del Concilio Vaticano II.
  • Terza e ultima parte, disponibile dal 23 ottobre: Le sfide attuali della Famiglia Vincenziana per vivere in sinodalità: La Famiglia Vincenziana affronta la sfida di vivere in sinodalità, centrando la sua missione sui poveri e promuovendo una partecipazione attiva ed egualitaria. Deve superare le strutture clericali e promuovere spazi di formazione, riflessione e azione condivisa, rispondendo così alla chiamata dello Spirito Santo ad essere una Chiesa di comunione e di vicinanza.

Parte seconda:
La dimensione sinodale nelle prime tre fondazioni vincenziane

Né San Vincenzo né Santa Luisa hanno mai usato la parola “sinodalità”, anche se hanno vissuto, in anticipo, molte delle intuizioni sulla comunione ecclesiale che nel XX secolo, dal CVII in poi, hanno preso vita.

Essi vissero nel momento ecclesiale del Concilio di Trento, che promosse la celebrazione di sinodi diocesani e provinciali il cui scopo, secondo la cultura del tempo, non era quello di incoraggiare la corresponsabilità attiva di tutto il popolo di Dio, ma di trasmettere e attuare norme e regolamenti. La Riforma protestante, che criticava l’autorità ecclesiastica, sottolineava una Chiesa gerarchica come una società perfetta di diseguali, in cui i pastori insegnavano e il resto del popolo di Dio imparava, creando così una grande distanza tra loro.

I Fondatori erano persone del loro tempo, ma sapevano lasciarsi guidare dallo Spirito Santo e così avviarono in quel contesto ecclesiale un nuovo modo di seguire Gesù Cristo che, avendo come bussola i poveri, trovò nuovi modi di donarsi a Lui e di organizzarsi per poterli servire ed evangelizzare.

Prenderemo in esame le tre istituzioni da loro create: le Confraternite della Carità, la Congregazione della Missione e la Compagnia delle Figlie della Carità. Vedremo il loro modo di svolgere la missione e alcune delle loro pratiche concrete di vita, evidenziando come vivevano in queste tre fondazioni le chiavi della Comunione, della Partecipazione e della Missione. Approfondiremo i loro regolamenti, le loro regole e i loro documenti antichi in una prospettiva sinodale e metteremo in luce anche i loro documenti più recenti, per capire come vogliono far vivere queste chiavi oggi.

Le Confraternite della Carità

La prima delle Confraternite della Carità fu fondata da San Vincenzo de’ Paoli nel 1617 a Chatillon. Fu il bisogno di una famiglia povera del villaggio a mettere in moto molti abitanti, commossi dal sermone che il loro parroco, Monsieur Vincent, teneva durante la Messa domenicale.

San Vincenzo intuì che la Carità, per essere tale e durare nel tempo, doveva essere ben organizzata. Per questo motivo riunì tutte queste donne in quello che fu il primo gruppo “vincenziano” della Carità, e questo costituì di per sé un modo di procedere sinodale. Contava su donne semplici, anche se a quel tempo né i laici né le donne partecipavano molto alla vita della Chiesa. Dopo Chatillon, furono molti i luoghi in cui, in seguito a una missione dei missionari, venne istituita la confraternita per prendersi cura dei malati e dei poveri del luogo.

I regolamenti di queste confraternite stabilivano in modo molto ordinato chi ne faceva parte: “donne, vedove e nubili”[1] insieme al parroco e al procuratore. Nel corso del tempo, vi furono anche confraternite composte da uomini e altre miste, anche se prevalevano sempre quelle composte prevalentemente da donne.

Inoltre, la loro missione era ben definita: “Onorare l’amore che Nostro Signore ha per i poveri e assisterli corporalmente e spiritualmente“[2] e in questo modo realizzano la missione della Chiesa: annunciare il Regno di Dio, che è soprattutto per i poveri.

D’altra parte, Vincenzo si preoccupò di rendere molto esplicita la partecipazione e la corresponsabilità di tutti i membri istituendo dei “ministeri” per il buon funzionamento della confraternita: parroco, procuratore, superiore, tesoriere, guardiano, assistenti… tutti servizi temporanei ed eletti per votazione: “Vengono nominati la prima volta dal parroco; poi, ogni sei mesi, a maggioranza”.[3] Ogni carica ha le sue responsabilità: il superiore, tra gli altri, è colui che riceve i poveri, il tesoriere riceve, custodisce e amministra il denaro della confraternita, rendendone conto regolarmente e con totale trasparenza. La guardamuebles consiglia la superiora e, come indica il suo nome, custodisce anche i mobili che saranno poi prestati ai poveri. Le assistenti erano quelle che servivano direttamente i malati, con un rigoroso sistema di turni.

La comunione tra i membri della confraternita esisteva e il regolamento esplicitava come favorirla: “Si ameranno come persone che Nostro Signore ha unito e legato con il suo amore, si visiteranno e consoleranno a vicenda nelle loro afflizioni e malattie, assisteranno in corporazione alla sepoltura di coloro che muoiono, riceveranno la comunione per la loro intenzione e faranno cantare una messa funebre per ciascuno di loro; Faranno lo stesso per il parroco e il procuratore, quando moriranno; assisteranno anche corporalmente alla sepoltura dei poveri malati che hanno assistito, ordinando una messa per il riposo delle loro anime. Tutto questo senza alcun obbligo di peccato mortale o veniale“[4]

Inoltre, fin dall’inizio, furono istituite “assemblee” per trattare “questioni riguardanti il bene dei poveri e il mantenimento di detta confraternita“[5], nonché il suo progresso spirituale e il bene della comunità. Il regolamento stabiliva l’ordine di svolgimento di queste assemblee, che “consisteranno prima di tutto nel cantare le litanie di Nostro Signore Gesù Cristo o quelle della Vergine e poi nel recitare le preghiere che seguono. Quindi il parroco o il suo vicario farà una breve esortazione in vista del progresso spirituale di tutta la Compagnia e della conservazione e prosperità della confraternita; proporrà poi ciò che si deve fare per il bene dei poveri ammalati, prendendo le risoluzioni a maggioranza, che raccoglierà a questo scopo cominciando da quella ricevuta per ultima nella confraternita dei Servi della Carità…”[6].

Nel 1629 San Vincenzo associò alle Confraternite Louise de Marillac, un’altra donna laica, vedova, che voleva vivere la sua fede e renderla concreta aiutando i poveri.  Le scrisse: “Il padre de Gondy mi ha ordinato di venire a Montmirail per vederti in carrozza. Se è così, dovremo partire mercoledì prossimo in carrozza da Chalons, e avremo il piacere di vederci a Montmirail” [7]. La donna ci pensò su e accettò la proposta del suo direttore, che la nominò visitatrice degli istituti di beneficenza e da quel momento iniziò a visitare quelli vicini a Parigi e quelli lontani. Lo scopo delle sue visite era quello di incoraggiare i membri della confraternita nel loro lavoro, di formarli, di aiutarli a correggere ciò che si era allontanato dal loro scopo. Dopo ogni visita, redige un “rapporto” che invia a Monsieur Vincent spiegando lo stato della confraternita.

Come si vede, questa prima fondazione della San Vincenzo si basava sugli aspetti chiave della sinodalità: Missione, Comunione e Partecipazione.

Questa fondazione fu l’inizio di un nuovo modo di essere Chiesa nel XVII secolo. Così si esprime Mezzadri: “Di fronte all’individualismo del Rinascimento, che si celava nell’umanesimo, l’accento sulla comunità solidale; di fronte alla concezione della parrocchia come luogo di culto e di amministrazione, la sua rilevanza come centro della carità; di fronte alla tendenza a emarginare i poveri, la volontà di condivisione; di fronte a una Chiesa abbagliata dalla sua influenza e dal suo potere, la Chiesa della carità; di fronte al disprezzo per i poveri, la Chiesa della carità”; contro una Chiesa abbagliata dalla sua influenza e dal suo potere, la Chiesa della carità; contro la sottovalutazione della donna, la sua valorizzazione nella società e nella Chiesa; contro la trascuratezza dei poveri e l’elemosina occasionale, la vicinanza ad essi e la carità organizzata“.

Col tempo, quelle che erano le Confraternite della Carità sono diventate l’attuale Associazione Internazionale della Carità. I suoi Statuti e i suoi documenti d’identità riflettono chiaramente questi stessi aspetti, aggiornati alla realtà odierna sia a livello ecclesiale che sociale.

Se sinodalità significa “camminare insieme”, l’A.I.C. ha un motto molto sinodale: “Contro la povertà, agire insieme”, un motto che riflette quello che è stato il suo modo di essere e di fare dall’intuizione di San Vincenzo a oggi.

Nel loro “Documento d’Identità”, esse espongono il significato della loro azione: impegno verso i poveri a partire da un senso di fraternità, seguendo Cristo nello stile di Vincenzo de’ Paoli.[9] Esse definiscono inoltre chiaramente la loro missione[10]: Seguire l’esempio di San Vincenzo e gli insegnamenti della Chiesa:

  • Combattere tutte le forme di povertà ed esclusione, attraverso iniziative e progetti di trasformazione.
  • Lavorare con i nostri fratelli e sorelle che vivono in povertà, incoraggiando la scoperta dei punti di forza di ciascuno, sostenendo l’istruzione e consentendo una vita dignitosa.
  • Denunciare le ingiustizie, esercitare pressioni sulle strutture da parte della società civile e sui responsabili delle decisioni, con l’obiettivo di sradicare le cause della povertà.

Lo stesso documento menziona anche la “partecipazione” delle persone destinatarie della sua azione: “La partecipazione dei gruppi target è un elemento essenziale per lo sviluppo dei progetti promozionali e si ottiene valorizzando i punti di forza delle persone e la loro capacità di rispondere da sole alle sfide che le riguardano e quindi di sognare e agire insieme per cambiare la situazione di povertà, con un atteggiamento di “facilitatore“”[11].

San Vincenzo diceva: “Si ameranno come sorelle che professano di onorare Nostro Signore con lo stesso spirito“[12]. Così dice il Documento d’Identità[13]quando esprime l’importanza del gruppo e del vivere in comunione: “Il gruppo, comunità di fede, di comunione, di convivenza, di amicizia“[14], il tutto per unire le forze attorno al progetto comune: i poveri, la loro cura e l’evangelizzazione.

La Congregazione della Missione 

La Chiesa sinodale è la Chiesa che ascolta ciò che lo Spirito Santo vuole da lei e per lei. San Vincenzo nel suo tempo è stato un uomo di ascolto, a poco a poco nella sua vita ha permesso allo Spirito Santo di parlargli attraverso gli eventi, soprattutto quelli che gli hanno fatto sentire il grido dei poveri.

Così fu alla fondazione della Congregazione della Missione. Vincenzo ascoltò il moribondo di Folleville e in lui tutti i poveri della campagna che erano condannati dall’ignoranza della fede, causata tra l’altro dalla scarsa preparazione del clero e dalla sua mancanza di dedizione alla gente della campagna. D’altra parte, ascoltò anche una laica, Marguerite de Silly, che, resasi conto di ciò, gli disse: “Oh, Monsieur Vincent, quante anime si perdono, quale rimedio possiamo trovare?[15] Dio gli parlò attraverso queste grida e Vincenzo seppe uscire da se stesso e andare incontro a questa realtà.

Il “camminare insieme” della sinodalità fu qualcosa che San Vincenzo sperimentò fin dal momento in cui intraprese il cammino verso la fondazione della Missione. Iniziò il suo lavoro missionario nelle terre dei Gondi e nel 1618 predicò tre missioni: quelle di Villepreux, Joigny e Montmirail, tutte nei domini della famiglia Gondi. In tutte fu accompagnato da alcuni ecclesiastici, i cui nomi JM Román riporta nella sua biografia del santo[16]: “Jean Coqueret, dottore in teologia del Collegio di Navarra; Berger e Gontiére, consiglieri ecclesiastici del Parlamento di Parigi“. Altri seguirono e, con il passare del tempo, giunse il momento della fondazione della Congregazione della Missione.

Fu sempre Madame de Gondi, insieme al marito Philippe Emmanuel de Gondi, a spingere Monsieur Vincent a fondare la nuova comunità, che poco dopo coinvolse altri sacerdoti per iniziare quest’opera: Antoine Portail, François de Coudray e Jean de la Salle, come riportato nell'”Atto di associazione dei primi missionari”[17]. Nacque così la Congregazione della Missione.

La sua missione è definita molto chiaramente nelle Regole Comuni: “Pertanto, la Congregazione della Missione ha come scopo: 1º tendere alla propria perfezione, sforzandosi di imitare le virtù che questo Sovrano Maestro si è degnato di insegnarci con le sue parole e il suo esempio. 2º Evangelizzare i poveri, specialmente quelli delle campagne. 3º Aiutare gli ecclesiastici a raggiungere le conoscenze e le virtù necessarie al loro stato“.[18] Allo stesso modo, le attuali Costituzioni lo riprendono: “La Congregazione della Missione ha come scopo di seguire Cristo evangelizzatore dei poveri. Questo fine si raggiunge quando i suoi membri e le sue comunità, fedeli a San Vincenzo, 

  1. si sforzano con tutte le loro forze di rivestirsi dello spirito di Cristo stesso (RC I, 3), per acquisire la perfezione corrispondente alla loro vocazione (RC XII, 13);
  2. si dedicano all’evangelizzazione dei poveri, soprattutto dei più abbandonati;
  3. aiutare il clero e i laici nella loro formazione e condurli a una più piena partecipazione all’evangelizzazione dei poveri“.[19]

Come si vede, la “missione” comporta la “partecipazione” alla Congregazione della Missione e non potrebbe essere altrimenti: i missionari sono nella Chiesa per “rivestirsi di Gesù Cristo“[20] e per continuare la missione che ha ricevuto dal Padre. “La loro particolarità è quella di dedicarsi, come Gesù Cristo, ai poveri. Perciò la nostra vocazione è una continuazione della sua…”[21] San Vincenzo diceva e in questo senso, guardando a Gesù che non solo chiamò i dodici, ma in un altro momento inviò “altri settantadue discepoli“[22] per evangelizzare e associò alla sua vita “donne che lo aiutavano con i loro beni“.[23] la Congregazione della Missione cerca di coinvolgere, impegnare e formare tutti, sacerdoti, fratelli, seminaristi e laici, nella ricerca di modi per rispondere al disegno di Dio; uniti e in comunione per lavorare alla costruzione del Regno di Dio, sapendo che questo regno è soprattutto per i poveri.

Un chiaro esempio di partecipazione è rappresentato dalle “Missioni”, un progetto fondamentale nella creazione della Congregazione della Missione.

Nelle missioni, i missionari contavano sul vescovo prima di iniziare e poi sul parroco locale e sui sacerdoti che lo accompagnavano in parrocchia. Per loro era importante accogliere e sostenere il lavoro dei missionari durante la missione ed era molto importante formarli per assicurare la continuità della missione una volta terminata in assenza dei missionari. I frutti della missione dipendono in larga misura dalla continuità successiva. Lo stesso vale per gli insegnanti della zona.

D’altra parte, contavano anche su persone del villaggio, per lo più donne, che volevano fondare la Confraternita della Carità per assistere le persone della parrocchia che avevano necessità fisiche e/o spirituali. In questo modo, la missione acquisì il duplice aspetto di evangelizzazione come salvezza spirituale e materiale dei poveri.

Le Missioni sono nate dal riconoscimento che nella Chiesa “camminiamo tutti insieme”, uscendo, ognuno con la propria funzione, cercando di rendere presente in ogni luogo il regno iniziato da Gesù Cristo, un regno che mette al centro i poveri.

Sulla “comunione” tra i membri della Congregazione, le Regole guardano ancora una volta all’esempio di Gesù Cristo: “Quando Cristo nostro Salvatore ebbe riunito i suoi Apostoli e discepoli in comunità, diede loro alcune regole per vivere bene; per esempio. Che si amassero l’un l’altro; che si lavassero i piedi l’un l’altro; che, in caso di lite tra loro, si riconciliassero al più presto; che camminassero sempre a due a due; e infine, che colui che voleva essere il più grande tra loro si facesse il più piccolo di tutti, e così via.[24] E propongono, tra gli altri, questi mezzi:

  • avranno tutti il massimo rispetto l’uno per l’altro, anche se come buoni amici dovranno sempre vivere insieme….[25]
  • In queste conversazioni reciproche, come in altre che talvolta potremo legittimamente avere, cercheremo di parlare principalmente di quegli argomenti che possono maggiormente muoverci ad amare la nostra vocazione e a desiderare la nostra perfezione, incoraggiandoci a vicenda a questo scopo….[26]

Le attuali Costituzioni della Congregazione della Missione danno un’importanza fondamentale alla vita comunitaria, essenziale per la vita e la missione del missionario: “Come la Chiesa e nella Chiesa, la Congregazione scopre nella Trinità il principio supremo della sua azione e della sua vita. 

  1. Riuniti in comunità per proclamare l’amore del Padre per gli uomini, lo esprimiamo nella nostra vita.
  2. Seguiamo Cristo che chiama a raccolta gli apostoli e i discepoli e conduce con loro una vita fraterna per evangelizzare i poveri.
  3. Sotto il soffio dello Spirito Santo costruiamo l’unità tra di noi mentre svolgiamo la missione, per testimoniare Cristo Salvatore.”[27]

La Compagnia delle Figlie della Carità 

La Compagnia è nata in modo semplice e inaspettato. Così si espresse San Vincenzo in più di un’occasione: “Chi avrebbe pensato che ci sarebbero state le Figlie della Carità… Non ci ho pensato io… Ci ha pensato Dio per voi“[28]. E così fu, Dio rese possibile una serie di eventi per prendersi cura dei suoi prediletti, i poveri, che portarono alla fondazione di questa comunità, ma soprattutto Dio fece incontrare persone diverse che iniziarono a “camminare insieme” per rispondere alla povertà del loro tempo e questo alla sequela di Cristo, evangelizzatore e servitore dei poveri.

Le prime due fondazioni vincenziane erano già operative. San Vincenzo, il loro fondatore, coordinava l’azione dei loro membri e in entrambi i casi era assistito dalla signorina Le Gras.

All’inizio San Vincenzo pensava che le Confraternite sarebbero state fondate solo nei villaggi, ma secondo il suo primo biografo Abelly, non fu così: “La prima intenzione di P. Vincenzo era quella di creare un’associazione di carità. Ma alcune signore che possedevano terreni in luoghi dove erano state fatte missioni e fondate Confraternite di Carità, vedendo i grandi frutti prodotti dall’assistenza corporale e spirituale dei poveri ammalati, pensarono che a Parigi si rispondeva agli stessi bisogni… Questo fatto suggerì loro l’idea che la fondazione di una tale Confraternita sarebbe stata molto utile e persino necessaria per le parrocchie di Parigi. Ne parlarono ai parroci e ne parlarono a Monsieur Vincent, che fu così costretto a fare questa fondazione nelle parrocchie con grande benedizione“.[29]

La prima Confraternita di Parigi fu fondata nel 1630 e a poco a poco ne sorsero altre “e, per così dire, in quasi tutte le parrocchie della città e dei sobborghi di Parigi“[30]. Santa Luisa redigeva i regolamenti per ogni parrocchia.

Ben presto sorsero delle difficoltà, com’era prevedibile, soprattutto nel tentativo di trasferire un modello di confraternita rurale in città. Tuttavia, ciò che più preoccupava San Vincenzo lo espresse nella conferenza alle suore a proposito di Marguerite Nasseau: “A quel tempo, le Dame di Carità di San Salvatore, essendo di alta posizione, cercavano una giovane donna che fosse disposta a portare la poutine ai malati“[31].  Per lui il contatto personale con i poveri era fondamentale quando andava a portare loro il soccorso di cui avevano bisogno. La possibilità che altre persone facessero questo rischiava di essere la fine della Carità, e lo fece presente a Santa Luisa: “Se ora togliete a ciascuna delle Carità la cura di preparare il cibo, non potrete mai più farle entrare in questo campo; e preparare il cibo altrove, se qualcuno lo fa per carità per il momento, può durare solo per qualche tempo; e se lo fate preparare per denaro, vi costerà molto; poi, tra un po’ di tempo, le signore della Carità diranno di andare a portare la pentola ai malati da quella persona che l’ha preparata; e in questo modo, la vostra Carità andrà in rovina.”[32]. 32] Questo è ciò che portò all’inizio della Compagnia delle Figlie della Carità.

Come abbiamo detto sopra, è stato l’incontro di persone diverse in momenti diversi che ha portato alla fondazione della Società. Finora abbiamo parlato di San Vincenzo, di Santa Luisa, delle Dame della Carità, dei parroci delle parrocchie di Parigi…. ma un’altra giovane laica, Marguerite Nasseau di Suresnes, è fondamentale per la Società. Quando Marguerite venne a sapere che a Parigi c’era una confraternita che si occupava dei poveri malati, vi si recò con il desiderio di lavorarci. I Fondatori parlavano sempre di lei come “la prima Figlia della Carità“.[33] , anche se morì prima che la Società nascesse. Il suo esempio di vita attirò molte altre giovani donne che seguirono le sue orme. Fu nel 1633 che San Vincenzo e Santa Luisa decisero di riunire in comunità il gruppo di giovani ragazze che erano arrivate per iniziare un nuovo stile di vita interamente dedicato a Gesù Cristo per servirlo al servizio dei poveri.

La definizione della vocazione della Figlia della Carità è stata il risultato di Santa Luisa, San Vincenzo, Marguerite Nasseau e dei primi membri del gruppo, tutti mossi dallo Spirito, che hanno capito che essere cristiani è andare per il mondo facendo quello che ha fatto Gesù: servire ed evangelizzare i poveri. Tutti loro, mossi dallo Spirito, hanno capito che essere cristiani è andare per il mondo facendo ciò che Gesù ha fatto: servire ed evangelizzare i poveri.

Ma la concretezza di questo modo di consacrarsi a Dio si realizzò sulla base dell’esperienza che stavano vivendo. Le prime Regole comuni della Società sono state composte a partire dall’intuizione e dalla spiegazione dei Fondatori, ma anche dall’ascolto reciproco, dalle sfumature, dalle conferme o dalle approvazioni che le prime Figlie della Carità, sulla base della loro esperienza, stavano condividendo. Non è forse questo camminare nella sinodalità?

Per affermarlo, ci basiamo sulle “Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli alle Figlie della Carità”. Di per sé, le Conferenze erano uno spazio di partecipazione. San Vincenzo le presiedeva, accompagnato da Padre Portail o da un altro sacerdote della Missione che, in sua assenza, lo sostituiva.

Come dice Mezzadri “È importante tenere presente tutto questo per comprendere il peculiare genere letterario delle conferenze. Esse contengono le parole di San Vincenzo, ma non sono esclusivamente opera sua. Sono opera congiunta della comunità, del fondatore, della fondatrice, dei vari redattori e del coro delle altre suore. Sebbene cerchi di nascondersi, Santa Luisa si rivela nella qualità delle sue risposte. Nei suoi interventi si percepisce una sovrana padronanza dell’argomento. Vive la sua spiritualità e riesce a tradurla in concetti profondi e chiari“.[34]

Sembra che per la scelta del tema “San Vincenzo si sia ispirato alle circostanze, ai bisogni della Società, ai suggerimenti di Luisa de Marillac“.[35]. Il metodo seguito era semplice: si inviava una nota alle diverse case di Parigi e dintorni indicando il tema, i punti della conferenza, il giorno e l’ora.

Quando arrivò il momento, San Vincenzo invocò la presenza dello Spirito Santo e la riunione ebbe inizio. Non si trattava di un monologo da parte di Monsieur Vincent, ma le suore facevano domande, osservazioni, si umiliavano per i loro difetti. Spesso si trattava di impressionanti manifestazioni collettive di buona volontà, che il santo provocava con le sue domande.[36]

Il 26 aprile 1643, San Vincenzo inaugurò un nuovo metodo. Disse alle suore: “Nelle conferenze precedenti ho notato che avevate bisogno di aiuto per trovare i motivi, le ragioni delle cose che vi venivano proposte. Per questo ho pensato che fosse opportuno cambiare il metodo, per darvi una maggiore facilità di comprensione delle cose che vi vengono insegnate, e questo sarà molto utile per la vostra preghiera. Vi parlerò per mezzo di domande, come si fa nel catechismo“.[37] Alcune delle prime suore sapevano leggere e quindi scrivevano le loro riflessioni per condividerle, ma molte di loro erano analfabete (nella Francia di allora l’analfabetismo femminile era dell’86%) e non sapevano come esprimersi. Questo metodo inaugurato dal Fondatore facilitava il dialogo, poiché egli spiegava l’argomento e poi poneva direttamente le domande: “Allora, sorella… e tu, sorella, cosa ne pensi?[38]. Non fu un interrogatorio difficile da sopportare e le suore si espressero con semplicità e spontaneità.  Il Santo approvava, si congratulava con le sorelle e ne rimaneva edificato, come si espresse in un’occasione: “Sia benedetto Dio, sorelle mie! Prendete nota, è molto necessario che lavoriate molto attentamente sul tema che vi viene dato per le conferenze, per trarne il meglio. L’ultima a cui ho partecipato mi ha dato grande consolazione. Ognuna esponeva con ingenuità i suoi pensieri e mi sembrava che fossero come scintille che accendevano un grande fuoco, che fossero una candela che illuminava le altre. Figlie mie, quanto vi sarà utile questo, se lo farete bene!”.[39]

Oggi si conservano 120 conferenze di San Vincenzo alle suore, e questo è stato possibile anche grazie al lavoro comune di Santa Luisa e di alcune suore, come ad esempio Suor Hellot. Durante la conferenza, Louise e queste sorelle, che sapevano scrivere, prendevano appunti. Alla fine della conferenza si affrettavano a riprodurli il più fedelmente possibile. Raccoglievano anche gli appunti scritti di coloro che erano stati interrogati da San Vincenzo, e lui stesso dava loro i loro schemi. Una volta riprodotta la conferenza, a volte la consegnavano a Monsieur Vincent perché apportasse le correzioni necessarie. Ecco come si esprimeva in una delle sue lettere: “Ecco il riassunto della conferenza alle nostre care suore; è stato fatto dalla brava suor Hellot. Ne ho letto una parte e confesso di aver pianto un po’ in due o tre passaggi. Se non tornate presto, rimandatecelo quando l’avrete letto“.[40]

Le Conferenze dimostrano questo senso sinodale che avevano i nostri fondatori. Esse contengono le parole di San Vincenzo, ma, come abbiamo già detto, non sono esclusivamente opera sua. Esse sono scritte congiuntamente dalla comunità, dal fondatore, dalla fondatrice, dai vari redattori e dal coro delle altre suore, e dalla determinazione del tema alla redazione finale, è un lavoro condiviso che oggi costituisce uno dei più grandi tesori spirituali delle Figlie della Carità.

Attraverso la lettura delle Conferenze possiamo vedere come la Compagnia sia cresciuta a poco a poco e con la partecipazione di tutti. In esse possiamo anche trovare chiaramente la missione delle Figlie della Carità e il senso di comunione di cui hanno voluto vivere fin dall’inizio.

Oggi, “la Compagnia desidera proseguire con dinamismo e speranza il suo impegno a vivere la sinodalità, in connessione con il processo sinodale avviato nella Chiesa. È un invito ad ascoltare meglio, a dialogare per discernere insieme, e questo a tutti i livelli“.[41].

Attualmente le Figlie della Carità hanno la loro missione ben definita nel capitolo II delle loro Costituzioni intitolato “Vita e missione della Compagnia”[42]. La Costituzione 7 recita: “Le Figlie della Carità, nella fedeltà al loro battesimo e in risposta alla chiamata di Dio, si dedicano interamente e comunitariamente al servizio di Cristo nei poveri, loro fratelli e sorelle, in spirito evangelico di umiltà, semplicità e carità“.

I Fondatori hanno sempre visto la vita comunitaria come un supporto insostituibile per la missione. Oggi, come in passato, le suore vogliono vivere in comunità in fraternità e comunione, “la comunità diventa così una comunione in cui ognuna dà e riceve, mettendo al servizio di tutte ciò che è e ciò che ha” [43] e “vuole riprodurre l’immagine della Santissima Trinità, secondo l’espressione dei Fondatori che desideravano che le Suore fossero come un solo cuore e lavorassero nello stesso spirito“[44].

Essi intendono la partecipazione come una “condivisione, che va dalle condizioni materiali di vita agli impegni spirituali e apostolici. Attraverso il dialogo si condividono le esperienze, si attenuano le differenze, si preparano le decisioni” [45].[45].

Missione condivisa fin dall’inizio

Abbiamo visto come la sinodalità sia stata vissuta nei tre fondamenti stabiliti dai nostri Fondatori. Ora vedremo un altro aspetto che è stato vissuto fin dall’inizio, quello della “missione condivisa”.

Il numero 32 della Lumen Gentium dice: “non tutti (i fedeli) sono sulla stessa strada, ma tutti sono chiamati alla santità e hanno raggiunto la stessa fede attraverso la giustizia di Dio… c’è un’autentica uguaglianza tra tutti nella dignità e nell’azione comune a tutti i fedeli per costruire il Corpo di Cristo“. Questo senso di uguaglianza, dignità e azione comune a tutti, laici, sacerdoti e consacrati, fu molto chiaro a San Vincenzo fin dall’inizio. Per lui l’importante era prendersi cura dei poveri e per questo contava su tutti coloro che si univano alle sue iniziative o si associavano ad altri che appartenevano ad altre congregazioni o entità ecclesiali per lo stesso scopo. Possiamo dire in questo senso che il carisma vincenziano è nato in modo sinodale, in una missione condivisa.  A titolo esemplificativo, esamineremo due esempi concreti di attenzione ai poveri che hanno avuto luogo all’epoca dei fondatori: l’attenzione ai malati dell’Hotel Dieu e l’azione al servizio delle vittime delle guerre. Vedremo brevemente come erano organizzati questi due servizi con i diversi contributi:

Assistenza ai malati all’Hotel Dieu

Nel 1634, le Confraternite erano già presenti a Parigi in alcune parrocchie, così come le Figlie della Carità.

Fu in quell’anno che Madame Goussault, una dama di carità che visitava i malati dell’Hôtel Dieu, vide lo stato calamitoso in cui si trovavano ed ebbe l’idea di creare una Confraternita di carità dedicata espressamente alla cura di questo ospedale, e si rivolse a San Vincenzo per promuovere e dirigere l’impresa.

La situazione di questo ospedale era deplorevole. Ogni giorno riceveva tra i 50 e i 100 poveri e, secondo Abelly, curava tra le venti e le venticinquemila persone all’anno.[46]

L’assistenza spirituale era di competenza del capitolo della vicina cattedrale, a cui ogni anno venivano affidati due dei suoi membri. Anche la Compagnia del Santissimo Sacramento partecipava, inviando ogni giorno dal 1632 un sacerdote e un laico per l’assistenza spirituale, e anche la comunità delle monache agostiniane partecipava all’ospedale.

Secondo Azcárate,[47] nel 1634, “Genoveva Fayette, Madame Goussault, che era stata membro attivo della Confraternita della Carità della sua parrocchia e che da tempo visitava l’Hôtel-Dieu e ne lamentava lo stato, si avvicinò a San Vincenzo per suggerire la fondazione di un altro tipo di Confraternita che avrebbe reso la carità presente tra i poveri. Vincenzo, però, non volle interferire in ciò che era di competenza dei canonici di Notre Dame, per cui rifiutò la proposta. La tenace signora continuò nel suo intento e si recò da Jean-François de Gondy, arcivescovo di Parigi, per esporgli il suo piano. Lasciatemi fare”, rispose il prelato, “vedrò Monsieur Vincent e, se necessario, gli ordinerò di istituire la confraternita di cui mi parlate”. Seguendo il suo solito approccio, San Vincenzo vide in questa decisione dell’arcivescovo l’espressione della volontà di Dio e si mise al lavoro”.

Dopo due riunioni con alcune signore e altre che avevano portato con sé, fu costituita questa Confraternita con San Vincenzo come direttore perpetuo e Madame Goussault come presidente. Furono eletti anche un assistente e un tesoriere. Gli amministratori dell’Hotel, sapendo che il vescovo era favorevole a quest’opera, autorizzarono le signore a visitare i malati. Collaborarono anche finanziariamente per coprire tutte le spese derivanti da questo servizio.

Tra i membri di questa Confraternita c’erano regine, principesse, dame dell’alta società parigina, tra cui quattro fondatrici di congregazioni. Le cariche erano temporanee e la loro elezione avveniva durante un’assemblea.

Ogni giorno visitavano i malati a gruppi di quattro e, dopo aver pregato, si presentavano alle suore dell’ospedale e si offrivano di servirle insieme a loro.

Fin dall’inizio, essi contarono sulla collaborazione delle Figlie della Carità per l’assistenza diretta ai malati; lo stesso San Vincenzo aveva scritto a Santa Luisa che “avremo bisogno di voi e delle vostre figlie“[48]. Esse iniziarono presto a prestare servizio nell’Ospedale andando e venendo.[49]. Già nel dicembre 1636 si stabilirono in una casa affittata dalle Dame di Carità accanto all’Hôtel Dieu: “Dio vi benedica, Mademoiselleper essere andata a mettere le vostre figlie al servizio dell’Hôtel Dieu e per tutto ciò che ne è seguito“[50]. Così scriveva Saint Vincent a Saint Louise.

A partire dal 1636, fu istituito il gruppo dei quattordici, composto esclusivamente da signore vedove o sposate. Con la missione di preparare i malati alla confessione generale, ognuna di queste signore doveva dedicare alcune ore un giorno alla settimana ai malati (tra le due e le cinque del pomeriggio). Andavano in coppia, si preparavano spiritualmente (Messa e comunione al mattino e visita alla cappella dell’ospedale al loro arrivo) e una delle suore agostiniane indicava loro quali erano i più malati. Dopo la visita, tornavano nella cappella per ringraziare. Per le confessioni erano assistiti dai sacerdoti della Missione e da altri.

Il “Regolamento della Compagnia delle Dame dell’Ospedale di Parigi”.[51] descrive bene lo scopo di questa confraternita, i suoi membri, le funzioni di ciascuno e il suo funzionamento in generale. Si trattava di una pratica concreta di missione condivisa in stile sinodale al servizio corporale e spirituale dei poveri malati di Parigi.

Azione al servizio delle vittime di guerra

La Guerra dei Trent’anni fece precipitare la Francia in una spirale di disastri che portò per molto tempo e per molti innocenti fame, povertà, umiliazione, morte…

Tra il 1636 e il 1643, uno dei principali teatri di guerra fu il Ducato di Lorena. Tra il 1635 e il 1643, fino a 150.000 soldati di diversi eserciti si accamparono in questo territorio di frontiera in cerca di sostentamento e commisero gli oltraggi più atroci. Le chiese furono profanate, i raccolti furono requisiti e interi villaggi bruciati. Pestilenza e carestia dilagavano.

Secondo Román[52] la prima notizia della desolazione della Lorena fu ricevuta da Vincenzo dai Missionari della casa di Toul, fondata nel 1635. Senza aspettare ordini, si erano messi al servizio delle vittime. Trasformarono una parte della loro casa in un ospedale, ospitando circa 40-60 malati. In una stanza in periferia, si occupavano di altri 100-150 malati.

Dopo aver cercato invano di convincere Richelieu a fermare la guerra, San Vincenzo si mise al lavoro per cercare di aiutare il più possibile. Ben presto si rese conto di aver bisogno di denaro che non aveva e organizzò quanto segue:

  • Raccolta di fondi: le Dame di Carità si fecero carico di raccogliere somme ingenti di tasca propria e dalle alte autorità a cui si rivolgevano, ad esempio il re. Vincent stimava che fossero necessarie 2.500 sterline al mese e il lavoro delle Dame rese possibile la raccolta di queste somme.
  • La distribuzione dei soccorsi fu opera dei Missionari.A quelli di stanza a Toul, Vincenzo aggiunse dodici dei suoi migliori sacerdoti e chierici, accompagnati da Fratelli esperti in chirurgia e medicina. Questi furono dislocati a coppie in sette punti strategici ed egli nominò un “visitatore” per supervisionare il loro lavoro. L’aiuto di base consisteva in cibo, pane e zuppa, ma soprattutto in medicine e vestiti. Migliaia di persone venivano ogni giorno a raccogliere gli aiuti.

La fame moltiplicò il numero dei malati. Molti di loro furono accolti dai Missionari nelle loro residenze di Toul e Nancy. In altre località, come Barle-Duc e la stessa Nancy, venivano accolti all’ospedale, al quale i Missionari inviavano vestiti, medicine e cibo. Anche coloro che rimanevano a casa non venivano trascurati.

Si occuparono anche dei poveri vergognosi, delle giovani donne a rischio di stupro e delle monache di clausura. Queste ultime erano rimaste senza soldi a causa della mancanza di elemosine, ma San Vincenzo si interessò molto ad aiutarle inviando loro assistenza finanziaria e di altro tipo.

I missionari fornivano anche un aiuto spirituale. Dedicavano lunghe ore alla predicazione, alla catechesi e all’amministrazione dei sacramenti, predicando anche alcune missioni.

  • Il servizio di propaganda: i rapporti sui bisogni soccorsi e sugli aiuti distribuiti arrivavano puntualmente a San Lazzaro. Vincenzo aveva incaricato i Missionari di chiedere la ricevuta delle elemosine che davano. Ricevette anche lettere di ringraziamento e di riconoscimento per il lavoro dei Padri. Anche se non gli piaceva tutto questo, decise di approfittarne per fare una raccolta più consistente. Ogni mese leggeva alle signore di Parigi il bilancio degli aiuti distribuiti, incoraggiandole così a perseverare nei loro sforzi. Inviò in vari luoghi le lettere più impressionanti per suscitare la compassione dei ricchi con il racconto di tante miserie e per consolare i benefattori con gli effetti delle loro elemosine. Le lettere passarono di mano in mano, moltiplicando le donazioni.
  • Il servizio di collegamento: Questo servizio era svolto da frère Matthew Regnard, soprannominato “la volpe” per la sua grande astuzia. San Vincenzo gli chiese di trasportare denaro da Parigi alle zone di guerra. Nei suoi cinquantaquattro viaggi dovette superare molti pericoli, ma con audacia li superò tutti. Riuscì a trasportare come indica Roman[53] fino a un milione e mezzo di sterline, che resero possibile il soccorso di tante persone colpite dalla guerra.

La guerra diede origine anche a molti esuli. A La Chapelle, alle porte di Parigi e non lontano da San Lazzaro, fu allestito un campo profughi. Vincenzo fece predicare ai suoi sacerdoti e a quelli delle Conferenze del Martedì tre missioni: nel 1639, nel 1641 e nel 1642.

Negli anni dal 1650 al 1659 la guerra continuò in Piccardia e in Champagne. Anche lì Monsieur Vincent organizzò i soccorsi come aveva fatto in Lorena. Le Dame di Carità continuarono a dare il loro contributo finanziario e Vincent replicò l’informazione su ciò che stava accadendo, questa volta pubblicando opuscoli informativi che raggiunsero ogni angolo di Parigi e fecero ciò che dovevano fare, raccogliere fondi. Inviò i Missionari in queste regioni per distribuire aiuti materiali e spirituali, e furono assistiti dalle Figlie della Carità, da altri volontari e da persone pagate per farlo.[54]

Organizzarono anche aiuti per i malati e i feriti, e in questo ebbero anche l’aiuto delle Figlie della Carità. Iniziarono anche un’altra opera, insolita per l’epoca: l’assistenza sanitaria negli ospedali militari. Su richiesta della Regina, si occuparono di quelli di Châlons, Sainte Menehould, Sedan, La Fère, Stenay e, dopo la battaglia delle Dune, Calais.

L’azione organizzata a favore delle vittime della guerra ci fa capire il genio organizzativo di San Vincenzo e come abbia saputo coinvolgere e far partecipare persone di ogni genere e condizione, tutte con lo stesso obiettivo: aiutare le vittime sia materialmente che spiritualmente. È un esempio di come nella Chiesa sia possibile camminare insieme, in una missione condivisa, ciascuno a partire dalla propria vocazione, ma mettendo a disposizione di tutti ciò che è e ciò che ha. Questo rende possibile il Regno tra i poveri.

Suor Mª Isabel Vergara Arnedillo, F.C.

Note:

[1] SVP X, 569

[2] Ibidem

[3] SVP X, 569

[4] SVP X, 573

[5] SVP X, 580

[6] Ibidem

[7] SVP I, 72

[8] Luigi MEZZADRI: “San Vincenzo de’ Paoli. Il santo della carità”. Editoriale CEME. Salamanca. 2012. 70-71

[9] DOCUMENTO DI IDENTITÀ A.I.C. 2017. P. 8 e 9

[10] Ibidem, p. 17 e 18.

[11] Ibidem, p. 30.

[12] SL PENSIERI, E. 18 Regolamento della carità, 686

[13] DOCUMENTO DI IDENTITÀ A.I.C. 2017. P. 13

[14] Ibidem

[15] ROMANO JM, San Vincenzo de’ Paoli, Biografia, 118

[16] Ibidem, 119

[17] SVP X, 243

[18] NORME COMUNI DELLA CONGREGAZIONE DELLA MISSIONE, Capitolo I, 1.

[19] COSTITUZIONI DELLA CONGREGAZIONE DELLA MISSIONE, 1.

[20] SVP XI-3, 236

[21] SVP XI-3, 387

[22] Lc 10, 1

[23] Lc 8, 2-3

[24] REGOLE COMUNI DELLA CONGREGAZIONE DELLA MISSIONE, cap. VIII, 1.

[25] Ibidem, cap. VIII, 1

[26] Ibidem, cap. VIII,8

[27] COSTITUZIONI DELLA CONGREGAZIONE DELLA MISSIONE, cap. II, 2.

[28] SVP IX-1, 120

[29] L. ABELLY: “Vita del Venerabile Servo di Dio Vincenzo de’ Paoli, Fondatore e primo Superiore Generale della Congregazione della Missione”. CEME. Salamanca, 1994. P. 443

[30] Ibidem, 118

[31] SVP, IX-1, 542

[32] SVP I, 140-141

[33] SVP IX-1, 90

[34] L. MEZZADRI “Conferenze di San Vincenzo alle suore” su https://vincentians.com/es/las-conferencias-de-san-vicente-a-las-hermanas/ (20 aprile 2023)

[35] SAINT VINCENT DE PAUL, Conferenze spirituali alle Figlie della Carità. 12 (CEME, Salamanca, 1983)

[36] SAINT VINCENT DE PAUL, Conferenze spirituali alle Figlie della Carità. 12 (CEME, Salamanca, 1983), 12

[37] SVP IX-1, 104

[38] ibidem

[39] SVP IX-1, 225

[40] SVP II, 358

[41] D.I.A. pag. 10

[42] COSTITUZIONI DELLE FIGLIE DELLA CARITÀ, capitolo II.

[43] Ibidem 32 b

[44] Ibidem 32 a

[45] Ibid 34

[46] ABELLY: op. cit. p. 140.

[47] S. AZCÁRATE “Il sangue blu della carità” in “Vincenzo de’ Paoli, un grande innovatore”. Salamanca 2012, 355-405

[48] SVP I, 276.

[49] SVP I, 331

[50] SVP I, 392

[51] SVP X, 962

[52] J.M. ROMÁN. San Vincenzo de’ Paoli. Biografia, pp. 516-532 e 577-597.

[53] J.M. ROMÁN. San Vincenzo de’ Paoli. Biografia, pp. 516-532 e 577-597.

[54] J.M. ROMÁN. San Vincenzo de’ Paoli. Biografia, pp. 516-532 e 577-597.

 

Foglio di lavoro del capitolo 2

Riassunto del capitolo:

Questo capitolo esplora la dimensione sinodale nelle prime tre fondazioni vincenziane: le Confraternite della Carità, la Congregazione della Missione e la Compagnia delle Figlie della Carità. Sebbene né San Vincenzo de’ Paoli né Santa Luisa de Marillac abbiano usato il termine “sinodalità”, hanno vissuto una forma di comunione e partecipazione che ha prefigurato molte delle idee del Concilio Vaticano II sulla Chiesa.

  1. Confraternite della Carità: fondate nel 1617, queste confraternite furono create per organizzare l’assistenza ai poveri e ai malati. La loro struttura incoraggiava la partecipazione delle donne laiche, che si facevano carico dell’assistenza diretta ai bisognosi.
  2. Congregazione della Missione: questa congregazione è nata dalla preoccupazione di San Vincenzo per l’evangelizzazione dei poveri delle campagne. La missione si basava sulla partecipazione attiva di clero e laici, con particolare attenzione alla formazione e all’aiuto spirituale.
  3. Figlie della Carità: fondata nel 1633, questa comunità permetteva alle donne di consacrarsi a Dio attraverso il servizio ai poveri. La sinodalità si rifletteva nella partecipazione delle suore alla vita comunitaria e al processo decisionale, sotto la guida di San Vincenzo e Santa Luisa.

Lo studio sottolinea che queste tre istituzioni sono esempi di un “camminare insieme” che pone i poveri al centro della missione.

Riflessione per i seguaci del carisma vincenziano:

L’approccio sinodale delle prime fondazioni vincenziane rimane attuale per i seguaci del carisma di San Vincenzo de’ Paoli nel mondo di oggi. La sinodalità invita a un ascolto attento e a una corresponsabilità condivisa tra tutti i membri della Chiesa, indipendentemente dal loro stato di vita o dalla loro posizione sociale.

Oggi, laici e consacrati possono applicare questo modello di missione condivisa nelle loro opere di carità. Il lavoro con i più bisognosi, sia attraverso progetti di assistenza sociale che iniziative educative, deve essere collaborativo, integrando le capacità di ciascuno per servire meglio i poveri. Inoltre, in un mondo sempre più frammentato, la sinodalità può essere una forma di unità e di promozione di una Chiesa che è una vera comunità, dove ogni membro è ascoltato e valorizzato.

Il coinvolgimento delle donne nella vita della Chiesa, come fece San Vincenzo, rimane fondamentale. Così come la partecipazione attiva dei laici alla missione evangelizzatrice della Chiesa è imperativa per portare il messaggio di Cristo ai margini della società.

Domande per la riflessione di gruppo:

  1. Come possiamo applicare il concetto di sinodalità nelle nostre comunità e opere vincenziane oggi?
  2. Come possiamo promuovere la partecipazione attiva dei laici, soprattutto delle donne, alla missione della Chiesa?
  3. Quali sfide dobbiamo affrontare nel tentativo di costruire una “Chiesa in movimento” che metta al centro i poveri?
  4. Quali lezioni dall’esempio di San Vincenzo e Santa Luisa possiamo applicare nella nostra vita per vivere una vera missione condivisa?
  5. Come possiamo, come seguaci del carisma vincenziano, contribuire a una Chiesa più inclusiva e corresponsabile?

 


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