“Come si mangia un elefante? Un morso alla volta” – Riflessione sulle virtù Vincenziane

da | Mag 22, 2023 | Formazione vincenziana | 0 commenti

Introduzione

Alla domanda “come si mangia un elefante?” un saggio rispose “un morso alla volta”. In qualche modo, la risposta del saggio riflette l’idea per cui Vincenzo insistette così tanto sulle virtù da acquisire in vista delle scelte di vita che abbiamo fatto (la santità di vita) e la missione da compiere in onore e dignità dei chiamati.

Se ci pensiamo bene ed abbiamo il coraggio e la saggezza di rivedere tutto il cammino della nostra vita, dei nostri comportamenti e le nostre decisioni, capiamo da subito che non abbiamo rispettato tante decisioni e tanti buoni propositi sin dal giorno degli esercizi fatti prima della nostra consacrazione, ordinazione …. inclusi quelli che prendiamo dopo ogni esercizi spirituali annuali o mensili. Come mai? A mio parere ci manca la disciplina personale. Non siamo assidui e ci manca la continuità nella disciplina personale che è molto importante. Il mondo d’oggi sembra ossessionato dal fitness! Eppure, anche nel fitness la cosa importante, dicono gli esperti, è la disciplina. La continuità negli esercizi da fare, nel nutrimento e nello stile di vita quotidiano. La disciplina dunque. Le virtù cristiane e vincenziane sono importanti a disciplinarci cristianamente. Lo scopo ultimo delle virtù cristiane e vincenziane è “l’imitatio Christi” e nulla altro.

San Paolo ce lo dice nella sua lettera ai Filippesi 2,5-8: “abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini…”. Il tema dell’imitazione di Cristo conduce al cuore di Gesù, un cuore da imitare e seguire: “imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Se vogliamo seguire le orme di Gesù, allora dobbiamo avere gli stessi sentimenti, lo stesso obiettivo di vita, la stessa passione per Dio e per il suo Regno. Le virtù cristiane e vincenziane ci aiutano ad addomesticare l’elefante che è in noi (l’orgoglio e la vanità; lo spirito mondano ecc.) e sottometterci alla Signoria di Cristo nella nostra vita e nel nostro ministero. Non è importante che ministero facciamo, ma piuttosto come lo facciamo. Chi mangia l’arancia porta l’odore dell’arancia, chi prende il caffè ha l’odore del caffè, chi si addestra continuamente con le virtù porta l’odore della grazia, Cristo Gesù. La riflessione sulle virtù è importante proprio per questo motivo, perché più riflettiamo su di esse più portiamo l’odore della grazia santificante. Ora passiamo alla riflessione di ciascuna virtù. Iniziamo con la madre ossia la sorgente di tutte le virtù, al dire di Vincenzo: l’umiltà. “Sta qui la base della perfezione evangelica e il cardine di tutta la vita spirituale. Chi avrà questa virtù otterrà facilmente tutte le altre; ma chi non l’avrà sarà privo anche di quelle che sembra avere”.

L’umiltà

L’umiltà è l’antitesi dell’orgoglio: nel pensiero di SV la virtù dell’umiltà è il fondamento di tutte le virtù: se manca questa crollano tutte le altre. Non ci illudiamo, disse, “se non abbiamo l’umiltà, non abbiamo nulla”. Per Cristo e per noi cristiani, l’umiltà vuol dire una disposizione interiore come quella di Cristo. Questa disposizione interiore è in netta contradizione con l’orgoglio, l’autosufficienza, la vanità. È la virtù che dà una coscienza di ciò che si è davanti a Dio: creature fragile, deboli, inconsistenti (a volte anche contradittorie). Ch’è umile, è anche amabile. Nella scrittura abbiamo una testimonianza di una persona umile: Mosè. “Mosè era una persona umile, la più umile che c’era sulla terra” (Nm 12,1-13). Generalmente, indipendentemente dalla professione di fede, l’umanità non ama gli orgogliosi e vanitosi, ma gli umili. L’umiltà non è solo un atteggiamento, anche quello, ma l’umiltà è innanzi tutto un modo di essere dell’uomo e di rapportarsi nei confronti di Dio alla luce della sua verità e del suo amore. L’umiltà non è quindi autolesionismo, non è senso di inferiorità, né tanto meno incapacità o infantilismo, ma è piuttosto un riporre la propria vita su Dio abbandonandosi fiduciosamente in Lui come hanno fatto Mosè, Maria e Gesù, per farne qualche nome. L’umiltà, così concepita, unisce le persone, mentre l’orgoglio, l’autosufficienza e la vanità dividono.

L’umiltà gioisce della Signoria di Dio: L’umiltà è la virtù che ci fa sentire Dio come l’unico Signore della nostra vita, togliendoci, quindi, da un atteggiamento di autosufficienza che è una forma di idolatria. La persona umile, infatti, non ha pretese, non si fida del proprio giudizio, ma si appoggia su Dio e riconosce di aver ricevuto da Dio tutto: tutto quel che è e che ha. San Paolo ci ricorda a proposito: “Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto; e se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto” (1 Cor 4,7). Gli orgogliosi sono i più bugiardi di tutti, disse un autore, perché si vantano di cose che non gli appartengono: la bellezza, l’intelligenza, le capacità varie… delle quali si gloriano e si vantano ma che non hanno comprato. Per questo sono bugiardi. Le persone umili invece ammettono d’aver ricevuto tutto da Dio e dicono: “siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,7ss). Non è per falsa umiltà che dicono d’essere servi inutili, ma ammettono d’essere peccatori, e se sono riusciti a fare qualcosa, è stato Dio che lo ha fatto per tramite loro. L’umile riconosce la presenza operante di Dio nella sua vita. Era questa l’umiltà di Maria di Nazareth. La persona umile, come Maria, accetta di essere svuotata, o meglio, come diceva SV: “svuotatevi di voi stessi e Dio riempirà di sé”. Lo svuotamento è la condizione per fare posto a Dio, attirando e attivando “una quantità smisurata di grazia e di grazie”. L’umiltà non è lo spazio del vuoto, ma è lo spazio di Dio che ci libera da noi stessi e ci apre all’unione con Lui. La persona umile è una persona gioiosa ed è stimata dagli altri.

L’umiltà riconosce la dignità dell’uomo: la virtù dell’umiltà evangelica, soprattutto per chi vive una vita comunitaria, aiuta ad evitare due eccessi: da una parte una esaltazione idolatrica degli altri e dall’altra, una svalutazione o disistima degli altri. La virtù dell’umiltà evangelica si orienta a un servizio libero e liberante di carità verso gli altri, senza ipocrisia, falsità e nella verità. L’umiltà evangelica si fonda su due pilastri: la verità e la carità. Se è basata e praticata in questo modo si esprime come modo di libertà, nel massimo rispetto altrui, senza esaltare qualcuno e senza screditare o svalutare qualcun altro. Inoltre, l’umile non è solo rispettoso della dignità degli altri, ma ha anche il timor di Dio e il senso della sua misericordia. Misericordia verso se stesso e verso gli altri espressa e vissuta nell’equilibrio. Il rispetto di sé stessi e degli altri richiede una vera umiltà come espressione di equilibrio e di maturità umana. L’umiltà, ci aiuta a moderare il nostro orgoglio, la nostra vanità e la nostra presunzione: “non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera di voi una giusta valutazione…, non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi” come dice Paolo (Rm 12). Chi riconosce i doni di Dio presenti in lui, non ne fa occasione di vanto, ma riferisce tutto quanto c’è di buono in noi a Lui e a Lui solo. L’umiltà ha, sotto questo aspetto, la funzione di moderare l’orgoglio, sia come eccessiva stima di sé, sia anche come dipendenza dalla stima degli altri. E, inoltre, la capacità di accogliere anche la diversità presente nell’altro riconoscendo la sua dignità, anche nel peccato e nell’errore che disturbano le relazioni umane. La persona umile accetta e supera anche le umiliazioni e le offese che riceve e riesce a superarle senza vendetta di nessun tipo.

L’umiltà è una virtù che rende gioiosi nella vita e fruttuosi nel ministero: concludo questa breve ed incompleta riflessione citando il grande Sant’Agostino, “l’orgoglio ha trasformato un angelo in diavolo, e l’umiltà ha innalzato delle persone semplici in angeli”. È vero perché il diavolo è un angelo decaduto dal suo trono mentre Maria ed altri personaggi biblici sono delle persone come noi, ma che hanno accettato la Signoria di Dio nella loro vita ed hanno collaborato con le grazie ricevute al punto di dire: per me vivere è Cristo e morire è un guadagno (Fil. 1,21). Questa umiltà non solo ci rende sereni e contenti nella vita nonostante tutte le difficoltà e contrarietà di questo mondo, ma anche e soprattutto ci rende efficaci nel ministero proprio perché la gente ama le persone umili e miti.

P. Zeracristos Yosief, C.M.
Fonte: https://cmglobal.org/

Tags:

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

VinFlix

VFO