La pandemia di Covid-19 ci ha fatto apprezzare le professioni socialmente indispensabili, anche se i lavoratori che le svolgono raramente sono pagati in maniera corretta e degna. Tra coloro che hanno compiuto uno sforzo encomiabile ci sono, oltre agli operatori sanitari, persone che lavorano nelle pulizie, nei servizi igienici, nei trasporti, nella produzione alimentare e nei prodotti essenziali, tra molti altri, che meritano un riconoscimento sociale – e una remunerazione adeguata – che spesso non ricevono. Ai salari precari e alle condizioni di lavoro non sicure o malsane, si aggiungono spesso la mancanza di stabilità del lavoro o situazioni non dignitose (come la scarsità o la mancanza di diritti, orari di lavoro interminabili in situazioni di estrema difficoltà, ecc.)
Tutto ciò mi ha fatto venire in mente la complessa e poco tutelata realtà degli operai delle industrie della metà dell’Ottocento, ai tempi di Antonio Federico Ozanam, che vivevano in condizioni pietose e venivano mal pagati.
Nel 1848, un gruppo di cittadini di Lione presentò la candidatura di Frederic Ozanam a deputato all’Assemblea nazionale francese alle elezioni del 23 aprile. Otto giorni prima, Ozanam aveva inviato una “Circolare agli elettori del dipartimento del Rodano”, presentando il suo programma elettorale, sostenendo la democrazia, una tassazione finalmente non iniqua per le fasce più deboli della popolazione, e – citiamo le sue parole:
I diritti del lavoro: il lavoro del contadino, dell’artigiano, del commerciante; le associazioni dei lavoratori; le opere di pubblica utilità di iniziativa statale che possono offrire sollievo ai lavoratori che non hanno né lavoro né risorse. Farò del mio meglio per chiedere misure di giustizia e di sicurezza sociale per alleviare le sofferenze della popolazione.
Federico non fu eletto, ma continuò, fino alla fine della sua vita, a difendere i diritti dei lavoratori.
Federico ci mostra, con le sue parole e il suo agire, il modo di umanizzare e valorizzare i rapporti di lavoro, e di denunciare le situazioni ingiuste che ci circondano. Oggi, alcuni dei punti del suo “programma” (associazionismo, previdenza sociale, diritto all’aiuto per i disoccupati…), sono una realtà -da migliorare, senza dubbio- in alcuni Paesi del mondo, ma non in tutti. C’è ancora molto da fare in questo senso, anche nei Paesi che si definiscono “sviluppati”. Altri punti devono ancora essere migliorati; molti lavoratori, anche quando lavorano, vivono in condizioni di precarietà, come accadeva in Francia a metà del XIX secolo: lavori instabili, salari bassi, situazioni di miseria per tutti coloro che, anche se hanno un lavoro, non guadagnano abbastanza per coprire le necessità della vita quali l’alloggio, il cibo…
Possiamo, come Famiglia Vincenziana, fare qualcosa a riguardo? Certo che possiamo.
Come Federico, la Famiglia Vincenziana deve impegnarsi a che tutte le persone, soprattutto le più svantaggiate, possano avere accesso a una vita dignitosa, anche nel lavoro. Dobbiamo alzare la voce e agire per realizzare significativi cambiamenti, per garantire che coloro che subiscono questo tipo di ingiustizia possano avere una vita dignitosa, in modo che possano essere protagonisti della propria storia e non vivere sotto il giogo delle situazioni ingiuste che ci siamo abituati a normalizzare socialmente. Abbiamo due strumenti potenti: la collaborazione tra i tanti membri della Famiglia Vincenziana, e un carisma che ci spinge a lavorare per la dignità di tutte le persone, soprattutto di quelle che soffrono di più, sull’esempio di Saint Vincent de Paul e di tutti i suoi figli spirituali.
Javier F. Chento
@javierchento
JavierChento
0 commenti