Poveri, go home!

da | Set 1, 2018 | Formazione vincenziana | 0 commenti

Una delle grandi problematiche del mondo attuale è la migrazione. A volte pensiamo che questo fenomeno avvenga solo nei paesi dell’Europa o negli Stati Uniti. Come stanno vivendo questa situazione i paesi dell’America Latina? Il padre Alejandro Febres, Cm condivide la sua esperienza nella Provincia del Cile.

Una settimana e mezzo fa circa, sono stati espulsi dal Cile 51 colombiani. Tutti, secondo quanto segnalato dai notiziari, avevano precedenti penali, erano legati al narcotraffico e stavano scontando pene. Sono stati riportati al loro paese, col l’impegno di non ritornare mai più nel nostro Paese.

La maggior parte della gente, secondo alcune inchieste, approva queste scelte. Ma sono rimasto con l’amaro in bocca. Non perché, come possono pensare alcuni, proteggo il narcotraffico o la delinquenza, bensì perché credo che attualmente, a partire da quello che la stampa continua a diffondere, senza maggiori fonti reali, stiamo criminalizzando certi gruppi sociali, specialmente gli emigranti.

Ma non qualunque migrante, solo i migranti che sono poveri. Cioè, ci disturbano i migranti poveri, specialmente quelli che sono indigeni, afroamericani, e più ancora se hanno una lingua o una cultura molto differente dalla nostra.

La filosofa spagnola Adela Cortina creò, non più di dieci anni fa, un neologismo, una parola nuova, per definire quello che i cileni stanno vivendo: Aporofobia.

L’aporofobia è l’odio (fobia) dei poveri (aporos). La maggioranza della gente dirà che non è così, che quelli che sono stati espulsi erano delinquenti che venivano a danneggiare i cileni. Dirà che erano parassiti, etc.

Tuttavia, non si dice nulla dei consorzi stranieri che si sono impadroniti dell’acqua, del litio, delle nostre reti di comunicazioni (telefonia il Cile ha la telefonia più cara di tutta l’America latina, strade, mezzi di comunicazione). No, si dice che essi vengono ad investire! Ma l’investimento ha triplicato gli utili che stanno portando fuori del nostro Paese. Ma siccome sono biondi, di occhi azzurri, parlano bene, per noi, che abbiamo avuto sempre un debole per le lingue straniere, specialmente l’inglese, francese, tedesco, yugoslavo etc., essi vengono a migliorare la popolazione.

Mi è capitato di ascoltare, in questi giorni, che le malattie come la tubercolosi, la difterite, la rubiola, sono aumentate e si sono triplicate. Che l’AIDS si è diffusa e si è trasformata in un problema epidemiologico perché gli haitiani l’hanno portata, perché tutti vengono infettati. Nessuno mi ha fatto pervenire prove obiettive, grafici, o studi seri. Ma il Ministero di Salute l’ha reso noto dove? non si sa ancora. L’AIDS è aumentata perché non ci sono politiche serie per l’educazione sessuale chiara, diretta agli adolescenti e ai giovani e non perché siano arrivati più o meno migranti.

I peruviani, li abbiamo lasciati tranquilli perché si sono stanziati nella nostra patria da più di venti anni. Molti di loro hanno trovato la loro nicchia nel settore gastronomico e ciò ha permesso loro di migliorare la condizione di vita. Hanno già figli nel nostro paese, stanno investendo e pagando le tasse, diventando soggetti di diritto. Già si stanno assimilando alla società cilena! La stessa cosa avvenne nel secolo scorso con la comunità palestinese. Ciò fa parte dei processi di sedimentazione sociale che si vivono da sempre.

Ora abbiamo i venezuelani che sono arrivati cercando soprattutto migliori possibilità economiche e i colombiani, che cercano il riconoscimento di rifugiati a causa della violenza istituzionalizzata che esiste in Colombia; gli ecuadoriani, specialmente di origine otabaleños, etnia che si dedica principalmente al commercio ed i nostri buoni haitiani che sono arrivati, in fuga da una realtà di miseria profonda, che tutti conosciamo attraverso i notiziari, cercando di migliorare la loro situazione.

Tuttavia abbiamo continuato a criminalizzare molti di essi: le colombiane e i colombiani, secondo i malpensanti, vengono a prostituirsi e a trafficare con la droga; gli haitiani vivono come animali, non parlano castigliano e vivono quasi della mendicità; gli ecuadoriani si dedicano solo al commercio ambulante e i venezuelani ci rubano il lavoro.

Alcuni comuni stanno penalizzando il lavoro di ambulante perché questi appartengono a reti che compromettono il commercio stabile. La mia domanda è: quelle reti le manipolano gli stranieri o i cileni? perché dobbiamo punire i venditori e non andiamo da quelli che li sostengono? Se i colombiani si prostituiscono o vivono del narcotraffico, perché non presentiamo politiche che mirino a sviluppare le possibilità di inclusione sociale come fecero con noi in Svezia, Norvegia o Finlandia quando emigrammo per chiedere asilo? La stessa cosa con gli haitiani. E se i venezuelani vengono a rubarci il lavoro, sarà che soddisfanno meglio, sono più attenti dei cileni a soddisfare i clienti e a presentarsi con stile.

I poveri ci complicano perché dobbiamo condividere con essi le risorse che spesso si pensa siano solo per i cileni, come avviene coi buoni che lo Stato concede.

Tutto quello che ho segnalato, io l’ho ascoltato da persone, da alcuni cattolici impegnati in Chiesa, che cercano di giustificare la loro fobia per i migranti mascherandola con una presunta carità cristiana: io lo dico per “il bene suo”, “nel suo paese starebbero meglio”, “dobbiamo preoccuparci prima per i nostri poveri”. Ci dimentichiamo che essere cristiani ci porta a proteggere l’orfano, la vedova e lo straniero, e che una delle frasi del vangelo ci dice che “ero forestiero e mi hai accolto”. E per quelli che non sono cristiani, accogliere il migrante ci fa essere uno con l’altro. Riconoscere nell’altro un essere umano.

Non ci lasciamo trasportare da tutto quello che dice la stampa, non crediamo a tutto quello che appare in internet e nei social. I migranti, siano essi poveri o ricchi, non sono migliori né peggiori di noi, sono uguali a noi. La loro formazione professionale, lavorativa, sociale, è simile alla nostra. Non ci danneggiano socialmente, ma, al contrario, la migrazione è sempre una ricchezza per la società. Ci fa essere più tolleranti coi nostri difetti, ci completa nelle nostre differenze. Non continuiamo a coltivare la xenofobia e l’aporofobia. Diamo una possibilità alla differenza culturale.

Autore: Alejandro Fabres, C.M.
Fonte: cmglobal.org

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