Roma 19 luglio 1943: dal diario delle Suore di Maria Bambina

da | Lug 21, 2018 | Storia e cronaca | 0 commenti

75 anni fa, durante la Solennità di San Vincenzo de’ Paoli, la mattina, gli Alleati sferrarono un micidiale attacco sulla città di Roma con quasi trecento aerei; pesanti i danni materiali e le perdite umane furono numerose

Roma il bombardamento di San Lorenzo

“Il 19 luglio, festa di San Vincenzo de’ Paoli, si abbatté su Roma un terribile bombardamento che ebbe, inesorabile conseguenza, un numero rilevante di vittime tra morti e feriti e lasciò circa 45.000 persone senza tetto. Verso sera, mentre in lontananza si vedevano bagliori di fiamme sul quartiere San Lorenzo colpito dalle bombe e sull’aeroporto, cominciò ad affluire sotto il colonnato una folla di sinistrati: gente che, ancora sotto l’incubo del terrore, veniva senza sapere perché in Piazza San Pietro, forse nella vaga speranza che almeno là, vicino al Papa, avrebbe trovato un po’ di pace e di conforto”.

Comincia così il diario della suore di Santa Maria Bambina a Roma, un “diario di Guerra” di 5 pagine che apre una finestra sul quel 19 luglio a San Pietro. Le Suore di Carità delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, dette di Maria  Bambina (S.C.C.G.) hanno la loro Casa Provincializia a pochi passi dal colonnato berniniano.

Come racconta Antonello Carvignani su L’Osservatore Romano, le suore furono in prima linea nella assistenza agli sfollati. La cronaca in quelle cinque pagine è stata scritta il 5 aprile 1947 dalla superiora di allora che ha guidato la comunità dal 1938 al 1957, suor Giovannina Venturi.

Un racconto di guerra anche prima di quel 19 luglio:  “Durante il primo triennio di guerra Roma continuò la sua vita normale; tranne pochi allarmi, che permettevano ai cittadini di attendere tranquillamente alle proprie occupazioni, nessun pericolo pareva minacciare la città, ed era penetrata in tutti la convinzione che gli orrori della guerra avrebbero risparmiato la sede del Vicario di Cristo, la culla della civiltà Europea. La casa provincializia delle suore di Carità, prospiciente il Colonnato Berniniano, e protetta dal cupolone di San Pietro, vide svolgersi in quel primo periodo di guerra le sue consuete attività. Ma nell’estate del 1943 la situazione cambiò”.

Prosegue il racconto come riportato da L’Osservatore Romano: “Le suore, saggiamente guidate dalla madre reverenda provinciale, non guardarono a sacrifici; ciascuna aveva la propria incombenza: pulizia delle aule-dormitori, servizio di tavola nel salone trasformato in refettorio; la cucina era divenuto il centro di gravitazione della casa; pranzo e cena per tanta gente era il problema cruciale di ogni giorno. La Provvidenza Divina non venne però mai meno. Dopo il secondo bombardamento del 13 agosto 1943 e la strana situazione verificatasi in gran parte d’Italia in seguito all’armistizio; il numero dei ricoverati all’ombra di Maria Bambina aumentò notevolmente. Alla fine di settembre 120 persone erano stabilite in casa”.

Tra gli sfollati anche i perseguitati, molti ebrei soprattutto. Ecco ancora il racconto della superiora: “si nascondevano tra loro molti ebrei perseguitati dalle leggi razziali tedesche; persone del più alto rango sociale, raccomandate dalla Santa Sede che, con instancabile e ammirevole operosità, cercava con tutti i mezzi di sottrarle alla barbarie cui venivano assoggettati i loro connazionali nei campi di concentramento….Ogni tanto v’era una nuova richiesta; di tanto in tanto una telefonata della Segreteria di Stato di Sua Santità chiamava in Vaticano la madre reverenda provinciale, ed il motivo era sempre lo stesso: un ricercato, una famiglia perseguitata da accogliere, proteggere, aiutare. Ai rappresentanti del Papa non si doveva dare un rifiuto, quando ogni buco della casa fu pieno, si aprì la casetta rustica di Via della Camilluccia e anche lì circa 30 persone trovarono asilo. V’era inoltre un gruppo di uomini rifugiati presso conventi maschili, a cui tutti i giorni si portava, con grande pericolo, il pranzo. Gravi preoccupazioni incombevano però su chi aveva la responsabilità della casa e delle opere; dare rifugio agli ebrei significava esporsi alle pene severissime comminate dalle leggi tedesche e al pericolo di una perquisizione da parte della polizia tedesca o fascista. La casa era stata posta sotto la speciale protezione di san Giuseppe”.

Problemi se ne affrontano molti, e la paura di essere scoperti è una costante, ma l’incoraggiamento arriva sempre dal Vaticano: “Ormai i tedeschi avevano dimostrato di infischiarsene altamente della extra territorialità e del carattere sacro di luoghi e persone e noi da qualche tempo eravamo sotto sorveglianza (…). La madre reverenda provinciale varie volte venne nella determinazione (…) di mettere per lo meno un fermo alle accettazioni. Ma giungeva opportunamente una parola di incoraggiamento dall’alto a far desistere dalla decisione, già presa a malincuore e solo per evitare mali maggiori. Intanto la Santa Sede aveva mandato protezione e difesa della casa un distaccamento di guardie Palatine, che facevano a turno servizio giorno e notte ed avevano il loro quartiere nelle due aule adibite ad asilo”.

Arriva la liberazione: “Nella notte dal 3 al 4 giugno per Sant’Uffizio fu un passaggio ininterrotto di soldati, cannoni, carri armati e mezzi di guerra: l’esercito tedesco si ritirava da Roma senza colpo ferire e poche ore dopo vi entravano le truppe alleate. La città eterna era salva per mezzo del Papa che aveva tentato tutti i mezzi per risparmiare ai suoi figli gli orrori della guerra. Nel pomeriggio dello stesso giorno una fiumana di popolo spinto irresistibilmente dalla riconoscenza si riversò in piazza San Pietro, acclamando al Papa”.

Le suore vedono tutto dalla terrazza che ancora oggi allarga lo sguardo sul colonnato. “Improvvisamente la bianca figura del Pontefice apparve benedicente salutata da un grido immenso di amore e di gratitudine. Il vescovo di Roma parlò ai suoi fedeli della misericordia divina scesa sulla città per l’intercessione della Madonna del Divino Amore, la Madonna dei romani; con accento vibrato e tenerissimo esortò alla riconoscenza verso Dio da mostrarsi con una vita veramente cristiana; infine ripetutamente benedisse e disparve. Il popolo sfollò lentamente, portandosi nel cuore l’eco dolcissima della voce del Padre. Quale non doveva essere la nostra riconoscenza per tante protezioni e grazie ricevute dal Cielo?”.

L’ultima famiglia lascia l’ Istituto il 1° novembre di quell’anno e tutto ritorna normale.

ACI Stampa Angela Ambrogetti

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