SCHEDA DI FORMAZIONE – NOVEMBRE 2017
Profetismo del Carisma Vincenziano alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa
AUTORE: SUOR MARÍA PILAR LÓPEZ, FdC
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San Vincenzo e la solidarietà
“Solidarietà” è una parola che viene molto usata, ma spesso non è intesa nel suo vero significato. Deriva dal latino “solidus”, solido, forte… Si dice che è solidale chi manifesta adesione o appoggio ad una causa, specialmente quando si tratta di situazioni difficili. Ricordiamo che, nel Diritto Civile, quando un gruppo di debitori si impegna “solidalmente” significa che ciascuno di loro diventa responsabile della totalità del debito.
“Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” . E’ su questo testo, semplice e profondo, che si fonda la teologia cristiana quando adotta il termine solidarietà. Il Dio di cui ci parla Gesù Cristo non è un Dio solitario, è un Dio che è comunione di vita e di amore tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La teologia cristiana ha adottato questo termine per la prima volta applicandolo alla comunità di tutti gli uomini, uguali tra loro perché tutti figli di Dio. Così, per la teologia, il concetto di solidarietà non può essere separato da quello di fraternità di tutti gli uomini. Se abbiamo tutti la stessa dignità, a causa della nostra filiazione divina, questa fraternità ci spinge a cercare il bene di tutti. La solidarietà è sempre stata una esigenza della convivenza tra gli uomini; in senso stretto possiamo dire che è un rapporto di giustizia, perché quando viviamo in società tutti abbiamo bisogno di tutti, perché siamo tutti esseri umani, con la stessa dignità e gli stessi diritti. Parliamo di rapporto di giustizia perché i beni della terra sono destinati al bene comune, al bene di tutti e di ciascuno degli uomini.
Abbiamo trattato questo punto in varie occasioni, ma vorrei soffermarmi su un aspetto che è messo in evidenza nella Costituzioni Dogmatica Gaudium et Spes. Dice così:
“… non si deve mai perdere di vista la destinazione universale dei beni. Perciò l’uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri. Del resto a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficiente a sé e alla propria famiglia… Colui che si trova in estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezza altrui….”. (GS 69)
Spero che a nessuno questo testo appaia sovversivo. Ciò che davvero è vergognoso e scandaloso è che la piccola parte di popolazione che controlla il 50% della ricchezza si trovi nel primo mondo: Nord America ed Europa; i paesi con il più alto livello di reddito pro capite sono paesi cristiani. Un altro dato: nella maggior parte dei paesi con il maggior reddito pro capite vi sono le maggiori disuguaglianze sociali all’interno del paese stesso. Non continuerò a citare questo tipo di dati, dopo più di sei anni di missione in Ruanda, per me i dati hanno un volto, un nome e un cognome e non sono più capace di parlare di cifre.
La lettura dell’Enciclica “Sollicitudo Rei Socialis” di Giovanni Palo II, ci fa capire quanto sia profondo il contenuto che il Papa dà al termine “solidarietà”, ci fa scoprire la straordinaria analisi della realtà che egli fa, e renderci conto delle responsabilità che il Papa stesso si assume come capo visibile della nostra Chiesa.
In nessun testo di San Vincenzo troviamo il termine «solidarietà» né potremmo trovarlo, perché è un termine che è apparso nel XIX secolo; ma nei suoi scritti troviamo questo sentimento di compassione verso il fratello che soffre, perché egli lo ha vissuto in modo concreto. Forse l’esempio migliore è il testo più noto a tutti i Vincenziani:“I poveri sono il mio peso e il mio dolore”.
Credo che non si possa pensare ad un’ espressione di solidarietà più grande, soprattutto sapendo, che il nostro fondatore l’ha davvero vissuta fino alle ultime conseguenze.Potremmo continuare a citare testi di San Vincenzo, ma spero che, dal cielo, non gli sembri male che io tenti di riassumere, in una citazione non troppo lunga, ciò che mi sembra essenziale di tutta la sua dottrina e che tanti membri della famiglia Vincenziana, oggi con lui in cielo, hanno cercato di vivere fino alle ultime conseguenze. Ascoltiamo con attenzione:
“Dio ama i poveri e di conseguenza ama chi ama i poveri… Allora, fratelli miei, andiamo ed occupiamoci del servizio dei poveri con un amore sempre nuovo e cerchiamo i più poveri ed abbandonati; riconosciamo davanti a Dio che loro sono i nostri signori e i nostri maestri e che non siamo degni di rendere loro i nostri piccoli servizi”. ( SV XIA, 273)
Ricordo una riunione di giovani religiosi in cui, dopo aver visto il film “Mission”, un novizio gesuita ha esclamato: “Non possiamo essere figli pigmei di padri giganti”. Il tema della solidarietà, è molto presente nelle nostre Costituzioni, sia in quelle provvisorie del 1975 che in quelle attuali. Quando ci spiega nel dettaglio quali poveri siamo chiamate a servire, la Costituzione dice: “Le Figlie della Carità riconoscono, come figli di Dio e come fratelli e sorelle con i quali sono solidali, coloro che soffrono e che sono lesi nella loro dignità, nella loro salute, nei loro diritti” ( C.16c)
Come riferimento è citato il n° 6 della “Populorum Progressio” che, parlando delle aspirazioni degli uomini di oggi, dice:
“Essere affrancati dalla miseria, trovare con più sicurezza la loro sussistenza, la salute, una occupazione stabile; una partecipazione più piena alle responsabilità… mentre un gran numero di essi è condannato a vivere in condizioni che rendono illusorio tale legittimo desiderio”. (PP 6)
Ed ora consideriamo un attimo la grande Enciclica sulla solidarietà:
“Questa (la solidarietà) non è dunque un sentimento superficiale di compassione per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e costante di lottare per il bene comune, cioè per il bene di tutti e ciascuno, affinché tutti siamo veramente responsabili di tutti“. (SRS 38)
Oggi l’etica della solidarietà viene soppiantata dalla falsa apparenza di una “solidarietà come spettacolo”, e i media la stanno facendo diventare un altro articolo di consumo. I conflitti sociali sembrano non esistere, sono solo occasionali disavventure. Si mascherano i problemi politici, sociali ed economici di fondo, provocando reazioni emotive, ma brilla per la sua assenza una minima analisi della realtà e, di conseguenza, la possibilità di una presa di coscienza e di una mobilitazione contro l’ingiustizia.
Ci stiamo anche abituando alla “solidarietà come campagna“, o come risposta immediata ad una situazione di massima urgenza, senza interrogarci sulle cause strutturali che ne sono all’origine. Se un terremoto causa dolore e morte in Messico, lo si considera una disgrazia di cui hanno sofferto i poveri, ma non ci si domanda perché un terremoto della stessa intensità produce effetti diversi a Los Angeles e in Messico. L’aiuto umanitario è simile ad un pronto soccorso, che può essere sempre meglio attrezzato ma che continua ad essere estremamente limitato, perché tenta di alleviare le conseguenze delle catastrofi, ma non ne mette in discussione le cause.
Abbiamo già detto che, ai tempi di San Vincenzo, non si usava la parola “solidarietà”, Egli parlava di “bene comune”, ma con la sua vita ci ha mostrato la “solidarietà come incontro“, questo significa:
- non rimanere indifferenti quando si incontra il mondo del dolore e dell’ingiustizia
- avere la capacità sufficiente per pensare e vivere in un altro modo
- Vivere la solidarietà come incontro portò Vincenzo de’ Paoli a conoscere e amare i poveri attraverso una profonda partecipazione alla loro vita ed una generosità vissuta come vera fraternità: questo portò alla fondazione delle “Carità”, della Congregazione della Missione, delle Figlie della Carità e delle tante congregazioni religiose e associazioni laiche che in seguito hanno seguito il suo spirito.
- Vivere la solidarietà come incontro ci obbliga anche a chiederci che modello di società desideriamo e a comportarci di conseguenza, il che presuppone un cambiamento dei nostri valori per adattarli allo stile di vita con il quale Vincenzo de’ Paoli ha seguito Gesù.
Con la nostra vita dobbiamo poter dire:
- Che è possibile che l’essere sostituisca l’avere come valore fondamentale della nostra società. Che abbiamo bisogno di molto meno per soddisfare i nostri bisogni fondamentali.
- Che la qualità delle nostre relazioni ci dà una felicità molto più grande di tutti i beni che potremmo possedere.
Lo dice chiaramente Il documento “Religiosi e promozione umana” pubblicato nel 1978 dalla “Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari”:
“La testimonianza dei religiosi per la promozione della giustizia nel mondo comporta, soprattutto per loro, una revisione costante delle proprie opzioni di vita, dell’uso dei beni, dello stile delle loro relazioni. Perché chi ha il coraggio di parlare di giustizia agli uomini deve prima di tutto essere giusto davanti a loro”. (SRS 38)
E, in una forma più sintetica leggiamo nel Documento “La vita consacrata”: “La missione peculiare della vita consacrata nella Chiesa e nel mondo è testimoniare Cristo con la vita, con le opere, con la parola”.
Vivere con questa coerenza e impegnarsi nella difesa dei poveri provoca una continua tensione tra l’annuncio e la denuncia. La nostra denuncia deve essere diretta non solo contro le violazioni dei valori etici da parte dei poteri pubblici, ma anche verso la revisione critica delle nostre azioni, quando queste si limitano solo alla parte più visibile dell’esclusione: provvedere alla sopravvivenza fisica.
Come in molte altre cose, San Vincenzo ci indica il cammino e ci mostra come fare in modo che i poveri siano i veri protagonisti della loro promozione.
Proposta dell’ AIC per la riflessione:
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Definite che cosa significa per voi il termine “solidarietà”.
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Che cosa vi interpella maggiormente nel paragrafo della Costituzione Dogmatica “Gaudium et Spes” citato nella prima pagina e in che cosa potrebbe sembrarvi sovversivo?
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Che cosa era la solidarietà per San Vincenzo?
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Condividete il vostro modo di vivere la solidarietà con le persone che il vostro gruppo accompagna.
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