Trentesima domenica del Tempo Ordinario C Di p. Giorgio Bontempi c.m.

da | Ott 22, 2016 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

Siracide 35,15-17.20-22;
Salmo 33;
2Timoteo 4,6-8.16-18;
Luca 18,9-14

Lectio

In un contesto in cui, in Israele, era forte la convinzione: «tu sei ricco, sei in salute: questo è il segno che Dio è con te». Naturalmente, la povertà e la malattia era sinonimo di uno stato di peccato che doveva essere riparato con la sofferenza fisica o morale, l’autore del libro del Siracide contesta questa tesi, affermando che il povero è prezioso dinnanzi a Dio, per questo colui che causa a questi sofferenza dovrà risponderne di fronte al tribunale dell’Altissimo.
Purtroppo la concezione che abbiamo espresso all’inizio di questa lectio si era consolidata e, al tempo di Gesù di Nazareth, era una convinzione profonda, specialmente nelle classi abbienti del popolo ebraico: scribi, farisei, sacerdoti del tempio di Gerusalemme e dottori della legge di Mosè.
Inoltre era convinzione comune che fosse l’osservanza dei precetti della legge di Mosè a garantire la benevolenza di Dio. Questa era un premio per l’osservanza dei precetti, per cui una persona si salvava per mezzo del suo impegno, non per l’amore gratuito di Dio.
In questo contesto dev’essere inserito il brano evangelico.
Il pubblicano (= esattore delle tasse, per conto dei Romani), collaborazionista degli occupanti, odiati perché erano pagani ed oppressori, era ritenuto un ladro. Infatti i pubblicani si arricchivano mediante il taglieggiamento – protetto da Roma – che operavano sulla riscossione dei tributi. Infatti, se dovevano far pagare € 100, ne chiedevano almeno € 120, di cui: € 100 li consegnavano ai Romani e € 20 li intascavano.

Ora, il pubblicano riconosce il suo peccato e chiede il perdono di Dio.
Il fariseo (= il puro) non solo giudica pesantemente e negativamente il pubblicano ma, di fronte a Dio esalta il suo impegno nell’osservanza dei precetti della legge di Mosè.

Meditatio

In una sana logica razionale il ragionamento del fariseo non fa una piega: si è impegnato e quindi ha diritto al premio. Premio che Dio gli deve consegnare! È la logica del do ut des (= io ti do, perché tu mi dia).
In questo ragionamento manca un punto fondamentale, che è il motore della vita umana: l’amore gratuito!
Infatti, quando una persona non ha l’amore gratuito è quella più povera di tutte, perché non ha una persona che gli vuole bene, non per quello che possiede o per quello che egli può dare, ma perché è lui, non ostante i suoi limiti ed i suoi difetti.

L’autore del brano evangelico non approva l’atteggiamento del fariseo, perché non ha compreso che Dio è amore gratuito, perché egli è Padre. Questo è il fulcro della predicazione di Gesù.
Il fariseo non riconosce la paternità di Dio, ma si pone al centro del quadro: è lui che ha il merito di essersi impegnato; è lui la persona intelligente che ha compreso quali siano le regole del gioco; è lui il migliore.
Nella figura del pubblicano, l’autore del brano evangelico intende insegnare alla sua comunità cristiana che tutti possono ascoltare e mettere in pratica la parola di Dio. Tale ascolto ci pone di fronte al fatto che si comprende, come sia lo Spirito Santo a compiere tutto il bene che esiste ogni giorno nel mondo. Noi siamo soltanto esecutori ai suoi ordini: servi inutili, nel senso che al mio posto potrebbe esserci un’altra persona. Per questo io debbo solo ringraziare, quando lo Spirito Santo si serve di me, per operare i suoi prodigi.
Allora, quando si opera si ringrazia il Signore e, quando questi non ci chiama ad operare – come direbbe il mio fondatore, san Vincenzo de’ Paoli, si onora il non fare di Nostro Signore (= i trent’anni di vita comune che Gesù ha vissuto a Nazareth in falegnameria con Giuseppe), che non sono meno importanti dei tre anni di predicazione, perché ci fanno comprendere due cose: la preziosità della vita delle persone qualsiasi che Gesù ha voluto condividere e che è proprio nel silenzio del quotidiano che il Signore si manifesta: nel comprendere questo consiste la vera l’umiltà.
Chi si esalta, invece, è povero perché non ha compreso in che cosa consiste la vera umiltà. Ha problemi d’identità, perché per lui è fondamentale, apparire, sedere ai primi posti, parlare a seconda dell’opportunità ecc…per questo sarà umiliato.
Inoltre è un povero perché, al fondo di questo comportamento si nasconde la disgrazia di non aver incontrato il Risorto, per cui la vita è una corsa a raggiungere il potere.
Preghiamo il Signore perché ci conceda, nel suo amore di Padre a vivere la vera umiltà,  che è chiarezza, coraggio, difesa degli ultimi ecc…
Buona domenica.

Prima lettura
Sir 35,15-17.20-22

Dal libro del Siràcide
Il Signore è giudice
e per lui non c’è preferenza di persone.
Non è parziale a danno del povero
e ascolta la preghiera dell’oppresso.
Non trascura la supplica dell’orfano,
né la vedova, quando si sfoga nel lamento.
Chi la soccorre è accolto con benevolenza,
la sua preghiera arriva fino alle nubi.
La preghiera del povero attraversa le nubi
né si quieta finché non sia arrivata;
non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto
e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l’equità.

Salmo responsoriale
Sal 33

R.: Il povero grida e il Signore lo ascolta.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.

Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.

Seconda lettura
2Tm 4,6-8.16-18

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo
Figlio mio, io sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che io lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione.
Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga conto. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.
Il Signore mi libererà da ogni male e mi porterà in salvo nei cieli, nel suo regno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Vangelo
Lc 18,9-14

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

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