At 2,14.22-33;
Sal 15;
1Pt 1,17-21;
Lc 24,13-35
Lectio
Gli Atti degli apostoli sono redatti in modo epico, si tratta dello stesso genere letterario con cui sono stati scritti l’Odissea, l’Iliade e l’Eneide, in cui si esaltano le imprese dell’eroe e del suo popolo.
Negli Atti degli apostoli – scritti tra il 80 e il 120 d. C. – lo scopo è quello di dimostrare come il nuovo popolo di Dio, nato dall’incarnazione, morte e risurrezione del Signore, procede nella storia sotto la guida dello Spirito Santo, che il Risorto ha effuso su di lui e nulla e nessuno potrà fermarne l’espansione sulla terra. Su questa falsariga vanno letti i brani degli Atti, compreso quello proposto dalla liturgia di questa domenica.
Ma il Risorto non è una persona che, dopo la risurrezione, vive alla destra del Padre e non si cura di quello che succede sulla terra. Egli è continuamente in mezzo al suo popolo: la Chiesa.
Il noto brano evangelico è una catechesi sul come s’incontra il Risorto: la domenica, nella comunità riunita per l’ascolto della Parola e lo spezzare del pane. Da questa liturgia scaturisce la testimonianza: evangelizzare con opere e parole, perché il Risorto vive accanto ad ogni cristiano.
Meditatio
Il brano evangelico che sentiremo proclamare nella liturgia eucaristica della prossima domenica è una splendida catechesi che ci guida all’incontro con il Risorto e a comprendere l’essenza del cristianesimo.
L’autore intende impostare la sua catechesi sull’asse spazio/tempo. Inizia con sottolineare che era il primo giorno della settimana. Si tratta della domenica. Giorno inventato dai cristiani, per superare il sabato ebraico. Infatti dopo la resurrezione del Signore la comunità cristiana volta pagina: non ci si atterrà più alla tradizione giudaica, ma s’introdurrà un nuovo cammino in cui Cristo è la via, la verità e la vita.
Ora nel giorno del Signore la comunità si riunisce in assemblea celebrante, per dire – con parole e gesti – grazie al Padre per averle donato il Cristo (= celebrare l’eucaristia). I due discepoli sono il segno di questa assemblea riunita.
Da questo ne scaturisce una prima conseguenza: il cristianesimo è una vita vissuta in comunità. Non esiste cristianesimo personale, anche se alle volte s’incontrano cristiani che affermano di essere credenti in Cristo, ma non nella chiesa (= comunità), anche perché confondono la chiesa (= l’insieme dei battezzati) con la gerarchia della chiesa (= papa, vescovi, preti e diaconi).
Ora se noi riflettiamo, perché Gesù chiamò dodici persone a seguirlo? Perché era amante del numero dodici? Perché non ne ha chiamati 10, oppure cinque, o 15?
Perché il popolo ebraico si esprimeva anche con i numeri. Dodici erano le tribù che costituivano il popolo d’Israele. Allora Gesù, chiamando dodici persone, voleva indicare la sua intenzione a costituire un nuovo popolo di Dio, pronto a compiere la volontà del Padre. Infatti i capi del popolo ebraico compresero subito l’intenzione di Gesù e sappiamo come le cose sono andate a finire.
Ecco perché il cristianesimo è una vita vissuta con la comunità e non ha senso altrimenti, perché così lo ha voluto il suo Signore.
Inoltre l’autore ci indica che il Risorto s’incontra quando l’assemblea è riunita nell’ascolto della parola di Dio e nello spezzare del pane. Si tratta della celebrazione dell’eucaristia.
Allora il credente capisce che non deve più cercare il corpo di Gesù di Nazareth, anche se il crocifisso è la stessa persona che è risorta, ma deve incontrare il Risorto nella celebrazione eucaristica vissuta con i fratelli. Da questo rito ne consegue l’incontro con il Risorto nella veste del povero, dell’ultimo che, dev’essere posto al centro nella comunità cristiana, e dev’essere aiutato a ricuperare la propria dignità tramite l’amore dei cristiani.
Buona domenica
Terza domenica di Pasqua Di p. Giorgio Bontempi c.m.
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