Quarta domenica di Pasqua Di p. Giorgio Bontempi c.m.

da | Mag 11, 2014 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

Atti 2,14.36-41;
Salmo 22;
1Pietro 2,20-25;
Giovanni 10,1-10


Lectio

Il paradigma che il brano del vangelo di Giovanni ci propone è quello tra la figura del pastore e quella del brigante e del Ladro.
Il pastore serve il brigante o il ladro si serve.

La seconda lettura pone in evidenza l’autorità come servizio. Prendendo spunto dal Cristo sofferente: il servo di Javhè.

È proprio questo Cristo che annuncia la prima comunità cristiana. Infatti nella prima lettura si narra la predicazione del vangelo compiuta dagli apostoli verso Israele e verso gli ebrei, provenienti da altri popoli, che in quel momento erano a Gerusalemme.

Meditatio

Il problema dell’autorità come servizio e della autorità come potere c’è sempre stato e sempre ci sarà, almeno fino a quando l’umanità non cesserà la propria vita terrena, per iniziare quella in paradiso, dove ogni limite, ogni difetto sarà tolto grazie all’amore del Padre.

Il problema dell’autorità ogni tanto riemerge nelle riflessioni all’interno delle comunità cristiane, a causa proprio dei limiti inerenti alla natura umana.

Alla base dell’autorevolezza c’è il servizio, che è la vera autorità. Invece alla base del potere c’è la perdita dell’autorevolezza.

Queste cose le conosciamo bene, ma rivisitarle è sempre utile. Prendiamo a modello la vita di Cristo e l’inno della lettera ai Filippesi: Cristo non disdegnò la natura umana (…) umiliò se stesso fino alla morte di croce (…).

Egli non volle condividere la vita dei grandi, dei ricchi, di coloro che siedono ai primi posti…!

L’autorevolezza di Cristo è consistita proprio nel servire, nell’attorniarsi di persone umili (pastori, pescatori…), ma non per servirsi di loro, per apparire come benefattore, su i giornali o sulle riviste, egli si mise in cammino con loro e fra loro.
Difese i poveri dalle angherie dei farisei e degli scribi che, usando la Legge di Mosè, volevano imporre la loro autorità e mostrarsi ossequenti verso il potere di Roma.
In poche parole cercavano di servirsi dei poveri a loro vantaggio.

Essere pastore è invece servire con amore, difendere con decisione, educare i poveri all’ordine, al rispetto degli orari, di quello che si offre loro, delle leggi dello Stato ecc..

Invece servirsi dei poveri è creare ambienti senza legge, dove i poveri possono venire a qualunque ora e ottenere (e qui i furbetti tra loro creano anche i rachet in cui si sfruttano i meno furbi).

Servirsi dei poveri è creare ambienti in cui alcuni poveri hanno preso piede e sono diventati a loro volta volontari e, dato la loro situazione di fragilità, diventano con gli altri poveri dei piccoli tiranni, che cercano di guadagnare da ogni servizio reso. Inoltre, queste persone sono – come direbbe sant’Ambrogio – dei cani al guinzaglio di chi ha autorità, non autorevolezza, pronti a strisciare a comando. In questo caso coloro che “comandano” in questi luoghi sono i ladri ed i briganti di cui parla il vangelo, perché si servono dei poveri per accrescere il loro prestigio e per risolvere alcune loro frustrazioni familiari o personali.

Niente a che vedere con il modello di pastore che ci propone la seconda lettura parlando di Cristo.

Buona domenica

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