Quarta domenica di quaresima “in Laetare” Di p. Giorgio Bontempi c.m.

da | Mar 26, 2014 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

1Samuele 16,1.4.6-7.10-13;
Salmo 22;
Efesini 5,8-14;
Giovanni 9,1-41

Nota Storica

Questa domenica, situata nel mezzo del cammino quaresimale, prende il suo nome dalle parole con cui inizia l’antifona d’ingresso: Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Ecc.. (in latino recita: Laetare , Jerusalem: et conventu, omnes, qui diligitis eam), perché reca una nota di santa letizia e di riposante serenità.
La mensa si riveste di color rosa e si profuma di fiori, risuona l’organo, così anche la casula.

Questo uso è molto antico, si praticava a santa Croce in Gerusalemme. Gerusalemme è immagine della Chiesa, che si rallegra per lo stuolo di catecumeni, avviati prossimamente al battesimo. Questo clima gioioso si prolungava dalla liturgia alle feste popolari con chiassose manifestazioni. In quel contesto, la liturgia papale che si teneva a Roma, dopo il secolo X, ha incastonato una cerimonia singolare: la benedizione della Rosa d’oro.
Di questa festa non se ne conoscono e origini, sembra che a Costantinopoli (= Bisanzio), nella III domenica di quaresima si celebrasse una festa in onore del S. Legno della Croce, a cui si tributava un omaggio di fiori. A Roma se ne volle imitare l’esempio, e in questa domenica il Papa si recava nella basilica della santa Croce, tenendo in mano una rosa d’oro, profumata di musco, con la quale intendeva rendere, all’insigne reliquia lo stesso ossequio, che la Maddalena aveva tributato ai piedi del Salvatore nella cena di Betania. Il primo documento che attesta questo uso a Roma, risale al 1049.
L’omaggio in forma di rosa dapprima ebbe forma di un vasetto a calice, poi, man mano fu stilizzato e ridotto a bocciolo di rosa aperto, entro del quale si metteva il prezioso aroma.

Lectio

Nella cultura ebraica donne e bambini non contavano nulla: non avevano diritto di parola e di voto. Questo è la ragione del comportamento di Jesse il Betlemmita, quando presenta i suoi figli a Samuele.
Jesse pone davanti al profeta i figli che erano ritenuti persone, che erano ritenuti guerrieri, che avevano una buona fama. Un padre serio non presenta il piccolo della famiglia, un padre serio deve figurare bene.
La sorpresa di Jesse dev’essere stata grande, soprattutto nel constatare che il Dio dei Padri non seguiva la regola del si è sempre fatto così.
Risuona la parola evangelica gli ultimi saranno primi ed i primi gli ultimi.

La stessa scena l’abbiamo nel brano evangelico del cieco nato.
In Israele – al tempo di Gesù – era convinzione profonda che, i poveri ed i malati fossero tali perché dovevano scontare un peccato da loro commesso o commesso da un familiare. In questo modo era risolto il problema del male: sei malato? Sei povero? Significa che stai scontando un peccato.
I peccatori erano abbandonati al loro destino, specialmente dai farisei, dagli scribi, dai sacerdoti del tempio di Gerusalemme e dai dottori della legge di Mosé.
Gesù ha un notevole coraggio ad avvicinare il cieco, perché era convinzione profonda che toccando un peccatore, o toccando ciò che egli ha toccato, a nostra volta si diventasse peccatori.
Gesù scandalizza i capi del popolo d’Israele, i quali – al tempo opportuno – gli faranno pagare tutto uccidendolo con al morte infame, qual’era ritenuta la crocifissione.
Il cieco è immagine dell’ultimo che diventa il primo. Il cieco è l’immagine della persona che ha compiuto il suo cammino di preparazione al battesimo e, nella grande veglia pasquale, sarà illuminato da Cristo, quando s’immergerà nell’acqua di cui è riempito il fonte battesimale. Infatti nei primi secoli il battesimo era anche denominato illuminazione.
Il battezzato diventava un uomo nuovo: una persona il cui modo di pensare era completamente cambiato, perché il punto di riferimento della sua vita quotidiana era il vangelo.

Infine il cieco è anche figura di ogni cristiano che ammette i propri limiti ed errori e chiede, ogni giorno, di essere illuminato dallo Spirito santo, per servire in modo sempre migliore la Chiesa.

Meditatio

Il coraggio di Samuele e di Cristo ci ricordano come noi cristiani dobbiamo comportarci. Nella vita le persone non si classificano secondo la fama che si sono create. È il Signore che ci indica chi sono coloro che veramente valgono, chi sono coloro sui quali Egli ha posto il suo sguardo per essere luce nella chiesa.
Se Samuele si fosse comportato come tutti avrebbe scelto la solita persona: quella più in vista. Come spesso accade. Così il solito prescelto avrebbe portato avanti l’opera per porre in risalto la sua figura e non per la gloria di Dio.
Alle volte noi ci chiediamo perché nelle nostre comunità, nei gruppi ecclesiali, nelle parrocchie le cose non funzionano. Ma abbiamo scelto le persone giuste? Spesso la risposta è che si propongono i soliti e allora….e allora le realtà ecclesiali si debbono portare avanti lo stesso? Chi l’ha detto! È meglio che ci sia meno quantità e più qualità. Cosa serve nella chiesa un gruppo caritativo dove la logica è quella dell’omertà, della mala amministrazione del denaro dei poveri, che servono soltanto come strumenti per esercitare un potere e non per servire il Signore?

Il povero, come il cieco nato, va posto al centro della comunità. Il signore non si è servito del cieco per manifestare la sua gloria.
Egli, guarendo il cieco, ha voluto dimostrare che Dio è Padre di tutti e che desidera che ci si prenda cura di coloro che sono poveri, malati disastrati e questa cura è come se fosse fatta a Lui. Per questo il cristiano deve rischiare anche la sua vita, quando vede che all’interno dei gruppi ecclesiali si fa strada la logica degli scribi e dei farisei: la logica di potere.
Il cristiano deve attorniarsi di persone valide, di testimoni che, come il cieco guarito, non hanno paura di farsi espellere dalla sinagoga, cioè di rimetterci la faccia per testimoniare l’amore del Padre verso gli ultimi. Ed è proprio in difesa degli ultimi che, come Cristo, il cristiano deve essere in grado di rischiare, per far in modo che cessi, qual’ora si sia infiltrata nei nostri gruppi ecclesiali, la logica del potere, dell’apparenza, della mancanza di lealtà; logica che usa le persone e non le promuove a validi collaboratori, ma li tiene come cani al guinzaglio, specialmente se trattasi di persone che hanno fallito nella vita e si trovano nelle nostre strutture, perché non hanno altre alternative.
Infine, per essere luce e sale, per essere illuminati è necessario avere la vera umiltà, quella del cieco: Signore che io veda! Che io veda qual è la tua volontà. Questo ci permetterà di servire per il vangelo e non di conservare le strutture. Servire per il vangelo significa chiederci, ogni giorno: che cosa possiamo fare di più, come evangelizzare i fratelli: i poveri, gli adolescenti, i giovani, ecc…. significa scegliere la via stretta dell’audacia e non la via larga della conservazione, che porta alla morte.
Auguriamoci di essere persone che vedano e non persone cieche che, per la loro presunzione, pensano di vedere!

Scusate per l’eccessiva lunghezza di questa lectio e di questa meditatio.

Buona domenica.

Tags:

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

VinFlix

VFO