Santa famiglia di Gesù Maria e Giuseppe Di p. Giorgio Bontempi c.m.

da | Dic 27, 2013 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

Siracide 3,3-7.14-17;
Salmo 127;
Colossesi 3,12-21;
Matteo 2,13-15.19-23

Lectio

Matteo, secondo il suo stile redazionale – come ho già fatto notare in precedenza – vuol dimostrare che Gesù è il messia di cui hanno parlato gli antichi profeti; è colui che ricalca i passi dei patriarchi; è colui che è gradito al Dio dei padri: abramo, Isacco e Giacobbe.
Ogni azione compiuta in questo brano evangelico è il compimento di una profezia, anche l’andare in Egitto: infatti, se leggiamo attentamente, ci rimanda al libro dell’Esodo, quando Israele si reca in Egitto e poi, dopo tanti anni, vi esce per tornare alla terra promessa.
L’andare in Egitto di Gesù è dare compimento alla storia della salvezza attuatasi nell’Antico Testamento.
È come dire: il senso della Legge di Mosè lo troviamo nel vangelo.
Quindi non dobbiamo leggere la fuga in Egitto come un fatto storico, bensì come pensiero teologico.

Le due letture trattano della famiglia: quella descritta nell’Antico Testamento e quella descritta nel’Nuovo Testamento, che risente della cultura greco – romana. Oggi diremmo che tutti e due possono essere definiti modelli di famiglie patriarcali, in cui il padre è capo, ma nella lettera ai Colossesi si esplicita come i rapporti all’interno della famiglia e anche l’autorità siano improntati alla logica del vangelo: servizio per amore gratuito.

Meditatio

In questa Meditatio, desidero centrare il tema sulle due letture, piuttosto che sul vangelo, perché trattano, più esplicitamente il tema della famiglia. Inoltre è da sottolineare che sulla sacra famiglia non sappiamo nulla e questo è la prova che ha vissuto come tutte le altre famiglie di Nazareth, altrimenti ci sarebbe qualche testimonianza scritta da parte di san Paolo, che è l’autore biblico che ha scritto una certa cronaca della vita delle comunità cristiane che vissero alcuni anni dopo la risurrezione del Signore.

Non ostante che il modello familiare presentato sia quello dell’Antico Testamento e quello greco – romano, noi possiamo vedere la logica del vangelo, almeno in quello proposto da Colossesi. Infatti si nota come il concetto di autorità sia nel servizio. L’essere sottomesso nel Signore, significa cercare il bene dell’altro. I coniugi si sottomettono l’un l’altro nel Signore, per far felice, l’altro: ecco perché la famiglia è chiamata piccola chiesa.
La coppia – sposata nel Signore – cerca di compiere la sua volontà. Questa ricerca della volontà di Dio, che è la cosa più importante che un cristiano deve attuare giornalmente, nella coppia, tale ricerca, viene fatta insieme, perché l’amore al coniuge, non è amore sottratto a Dio, perché è la coppia che pone Dio al primo posto, è come coppia che vive il vangelo e serve la chiesa: questo è il senso di sposarsi nel Signore!

Da qui si comprende che un uomo ed una donna sono chiamati a sposarsi nel Signore: il matrimonio cristiano è una vocazione.
Di conseguenza è necessario il discernimento: la coppia in questione compia un cammino di discernimento – di qualche anno – in cui, con l’aiuto di altre coppie che hanno ricevuto il mandato dal vescovo diocesano di accompagnare il discernimento vocazionale dei fidanzati, giunga alla certezza di essere, o meno, chiamata dal Signore a sposarsi nel suo nome ed a formare una piccola chiesa.
Penso che, con questo metodo, si eliminerebbero, quasi definitivamente, i casi di matrimoni religiosi che si sfasciano e si contribuirebbe seriamente ad estirpare la mentalità corrente, per cui la recezione dei sacramenti è un diritto e non un punto di arrivo di un cammino compiuto con la comunità parrocchiale o diocesana.

Buona domenica

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