Domenica dopo la Trinità SS. Corpo e Sangue di Cristo C Solennità, di p. Giorgio Bontempi c.m.

da | Mag 31, 2013 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

Genesi 14,18 – 20
Dal Salmo 109
1 Corinzi 11,23 – 26
Luca 9,11b – 17

Storia della solennità odierna.

L’origine di questa solennità, che è celebrata – dove è ancora di precetto – il giovedì dopo la domenica della SS. Trinità, è da considerarsi in rapporto con il possente risveglio della devozione eucaristica che dal XII secolo in poi si sviluppò, accentuando particolarmente la presenza reale di Cristo nel sacramento e quindi la sua adorazione. Però furono le visioni di Giuliana di Cornillon, monaca agostiniana di Liegi, ad avere un influsso decisivo nell’introduzione della festività, che per la prima volta si celebrò nella diocesi di Liegi nel 1247. Urbano IV, già arcidiacono di Liegi e confessore di Giuliana, la prescrisse per tutta la Chiesa nel 1264.
La festività, che ebbe nei primi secoli di esistenza diverse denominazioni, nel Messale Romano del 1570 fu chiamata del SS. Corpo del Signore (Corpus Domini). Nell’attuale ordinamento liturgico è «Solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo». La nuova denominazione esprime meglio la visione integrale del sacramento e vuol includere anche la tematica della soppressa festività del Preziosissimo Sangue di Gesù (1° luglio).

Meditazione mistagogica sulla celebrazione eucaristica.

Nel paragrafo precedente abbiamo sottolineato come la solennità del SS. Corpo e Sangue di Cristo […] è da considerarsi in rapporto con il possente risveglio della devozione eucaristica che dal XII secolo in poi si sviluppò, accentuando particolarmente la presenza reale di Cristo nel sacramento e quindi la sua adorazione.

Qual’e fu la ragione profonda di tutto questo?
Dobbiamo sapere che la liturgia cristiana fin dalle sue origini fu celebrata nella lingua volgare, cioè nella lingua delle persone che costituivano le assemblee celebranti. Questo uso si protrasse fino a al momento in cui Carlo Magno divenne imperatore del sacro romano impero. Questi, avendone l’autorità, con l’intento di compattare sempre di più il nuovo impero, decise che la lingua ufficiale di questo fosse il latino. Ora, in quel periodo storico, si stavano affermando i diversi dialetti che si imponevano come lingue nazionali. Anche i libri liturgici che, sino ad allora erano redatti in latino, perché il popolo parlava latino, stavano progressivamente orientandosi verso traduzioni nelle nuove lingue: era infatti inconcepibile una liturgia celebrata con un linguaggio incomprensibile per l’assemblea, che era il soggetto celebrante!

Purtroppo dopo il divieto, da parte dell’imperatore, di continuare il processo di traduzione e anche di inculturazione dei testi liturgici, avvenne la cristallizzazione della liturgia e, di conseguenza la sua clericalizzazione: il popolo di Dio era stato escluso dalla celebrazione, divenendo muto spettatore.
Questo portò alla centralizzazione, all’interno della Messa, della presenza reale di Cristo nell’ostia e nel vino. Coloro che sono nati negli anni ’40 e ’50, ricordano la Messa detta dal prete, in latino, con voce sommessa, a cui la gente assisteva passivamente o dicendo il rosario o altre devozioni.
Oltre a essere diventato muto spettatore il popolo di Dio non si comunicava più all’interno della Messa: la comunione era il cibo dei prefetti.
San Vincenzo preparava santa Luisa a ricevere la comunione, sempre al di fuori della Messa, con tre giorni di preparazione ed altrettanti di ringraziamento.
Ecco: l’Eucaristia non si mangiava più, allora si iniziò ad adorala; ricordate le comunioni spirituali di quando eravamo bambini? (“Signore, se non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore”).
Queste sono le ragioni della costituzione della devozione per l’eucaristia giunta fino a noi.

Quanto ho scritto non ha intenzione di costiuire un giudizio negativo sulla religiosità dei nostri padri, non si deve giudicare la storia, quando non si è presenti ai fatti. Ma questo serve per comprenderne le ragioni e per capire l’urgenza che c’era nella Chiesa di una Riforma Liturgica, che ci desse l’opportunità di ritornare alle origini del cristianesimo.

Ora, se noi studiamo i testi delle origini: il Nuovo Testamento e le Apologie di Giustino (150 d.C).

Notiamo che:

1. La lingua con cui si celebrava era quella di coloro che costituivano l’assemblea.

2. Il soggetto celebrante era il popolo di Dio, costituito in assemblea

3. Da questa assemblea scaturivano i vari ministeri (servizi) per attuare la celebrazione: il presidente; i lettori; gli animatori del canto; coloro che servono alla mensa ecc..;

4. Questo perché in latino celebrare significa : riunirsi insieme per festeggiare…

5. Che cosa festeggia il popolo di Dio riunito nel giorno del Signore? Festeggia la presenza di un Vivente, che è in mezzo a loro. Il Vivente è presente: nell’assemblea celebrante, nella parola proclamata (rappresentata dal segno del Lezionario e dell’Evangeliario); nel pane e nel vino che, durante la preghiera eucaristica – mediante la richiesta che colui che presiede presenterà al Padre a nome della Chiesa riunita in assemblea – lo Spirito santo tramuterà in Cristo risorto.
Il Vivente è la prova che la vita non è tolta ma trasformata, perché Cristo è risorto ed è presente in ogni persona che il cristiano incontra ogni giorno, specialmente nei poveri e negli ultimi. Quindi quello che conta nella vita è andare in Paradiso!! Questo ha ripercussioni enormi sulla vita sociale ed ecclesiale. Infatti, se celebrare l’eucaristia significa vivere ciò che si è celebrato e queste sono le conseguenze, un cristiano non può essere razzista o appoggiare programmi razzisti, non può non vedere i poveri e non può lasciarli ai soprusi di coloro che gli sfruttano…..
Celebrare l’eucaristia diventa una cosa veramente seria. Altro che il soddisfacimento del precetto del buon cristiano abituato a obbedire agli ordini – come il soldato tedesco – e a vivere come le tre scimmiette: io non vedo, non sento e non parlo….!!

Questo schema di celebrazione, che è quello attuato dalla Riforma Liturgica scaturita dal Concilio Vaticano II, è lo stesso che ritroviamo nella celebrazione eucaristica narrata da Giustino nelle sue Apologie! Ora le Apologie risalgono al 150 d.C. Questo significa che la Messa antica non è quella celebrata con il Messale del Concilio di Trento, come affermano i Lefebriani e tutti i loro simpatizzanti che, fino a ieri trionfavano, ma è quella della Riforma liturgica, perché risale al 150 d.C.
La nostra è la Messa antica!!!!

Attenzione a non farsi imbrogliare. Lo Spirito santo, dopo l’elezione di papa Francesco, sta riportando la liturgia sulla strada della Riforma liturgica, nella sua semplicità e, nello stesso tempo, nella sua solennità.

Buona festa.

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