XXVII domenica del Tempo Ordinario B

da | Ott 4, 2012 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

XXVII domenica del Tempo Ordinario B

Di p. Giorgio Bontempi c.m.

Genesi 2,18 – 24

Salmo 127

Ebrei 2,9 – 11

Marco 10,2 – 16

 

 

Lectio

Il vangelo di Marco intende superare la logica su cui poggia il matrimonio ebraico: l’uomo è padrone della donna. Infatti, all’interno del popolo d’Israele le donne ed i bambini non erano considerati persone.

Il vangelo richiama il brano della Genesi, scelto come prima lettura di questa domenica, per supportare la tesi che, Dio ha creato l’uomo in versione maschile ed in versione femminile. Per questo i due si completano e, nel matrimonio giungono a formare una sola persona (= una sola carne), che non ha riferimento al rapporto sessuale, bensì al cuore: un cuore solo. È il formare un cuore solo che da senso al rapporto sessuale. Ecco perché la comunità cristiana sostiene che non ha senso il rapporto sessuale fuori dal matrimonio.

Il vangelo sottintende il matrimonio come sposarsi nel Signore, dove – per amore l’uno diviene servo dell’altro – e, insieme la coppia cerca la volontà del Padre all’interno della comunità cristiana.

 

 

Meditatio

L’argomento proposto alla nostra meditazione questa domenica è più che mai attuale: matrimonio, divorzio; da qui il problema dell’ammissione alla comunione di divorziati risposati, coppie di fatto ecc….

Credo che il problema debba essere posto sul significato del sposarsi nel Signore. La pastorale attuale come vive tutto questo?

 

Purtroppo dobbiamo constatare che il cammino fatto è poco e che siamo ancora lontani da avere coppie sposate nel Signore.

Questa domenica – nel proporvi la meditatio – sarò più lungo, ma penso che, dato l’argomento, ne valga la pena.

 

Nelle prime comunità cristiane il matrimonio avveniva in famiglia, davanti al padre (il pater familia), soltanto i preti dovevano esprimere il consenso matrimoniale dinnanzi al vescovo (= in faciae ecclesiae). Questo perché si comprendeva che gli sposi erano i ministri del matrimonio ed erano loro che esprimevano, davanti al Dio Padre, il loro consenso. Si era consapevoli che il matrimonio fosse una vocazione, ma questo concetto è andato smarrendosi lungo secoli: diremmo dalle invasioni barbariche in poi, specialmente al tempo di Carlo Magno che impedì il proseguimento della Tradizione, impedendo che i libri liturgici, continuassero ad essere tradotti nelle varie lingue usate dai popoli di cui era composto il sacro romano impero).

Così – fino al Vaticano II – il matrimonio era concepito come il rimedio alla concupiscenza; un modo per reinsaldare il potere tra le famiglie nobili; tra le famiglie borghesi era un sistema per arricchirsi, per cui le famiglie combinavano i matrimoni. Naturalmente c’erano anche coloro che si sposavano per amore, ma questi rappresentavano una minoranza. Senza dimenticare che il fine del matrimonio era la procreazione: povere donne, che ogni due anni dovevano rimanere incinta, perché i parroci dicevano che dovevano essere sempre disponibile, altrimenti il marito sarebbe andato a cercare compagnia, da altre donne e , di questo adulterio, sarebbero colpevoli le mogli che si rifiutavano di concedersi al marito. Però i parroci ordinavano che durante l’amplesso la donna non doveva partecipare, ma restare come un cadavere e sempre coperta……

Si comprende dove sia nato il detto: il matrimonio è la tomba dell’amore! Anche perché l’amore era il grande sconosciuto nella vita quotidiana di molti sposi. Inoltre dobbiamo ricordare che non si conosceva, questo senza colpa di nessuno, l’enorme diversità tra la psicologia maschile e quella femminile.

Se guardiamo la crisi attuale della famiglia alla luce di quanto ho scritto sopra si possono capire molte cose. Quale rimedio?

Non è semplice indicare rimedi, però potremmo immaginare cercare qualche pista.

 

Come punto di partenza riprendiamo il concetto che il matrimonio è una vocazione. Una vocazione ha la necessità di essere verificata. Allora immaginiamo che in ogni diocesi, o zona pastorale all’interno della diocesi, ci sia un gruppo di coppie di sposi che, dopo un cammino congruo, abbiano ricevuto il mandato dal vescovo di formare i fidanzati che chiedono di sposarsi nel Signore.

Quando una coppia di fidanzati intende sposarsi in chiesa, si reca dal gruppo formatore diocesano o della propria zona pastorale e chiede di essere iscritto al cammino di verifica della propria vocazione. Un cammino che non ha nulla a che vedere con i corsi per fidanzati, che durano qualche mese e dove si accede, sapendo che non è in discussione la celebrazione del matrimonio…..che poi in molti casi si sfascia!

 

Il cammino di verifica vocazionale può durare qualche anno. In questo periodo si può vedere lo stato della persona: quale impegno porta avanti nella chiesa locale, si verificano seriamente i motivi che spingono una coppia a chiedere di sposarsi nel Signore ecc..

Si insegna a vivere il matrimonio cristiano che è servire l’altro per amore, s’introduce a comprendere la psicologia maschie e femminile, che tra loro sono diversissime: quanti mariti o fidanzati sanno che una donna si sente amata se è ascoltata?

Il saper comprendersi, porta anche a compiere il rapporto sessuale come segno di vera unità tra due persone, senza che una delle due si senta usata.

Nel matrimonio è necessaria la manutenzione ordinaria, che significa condividere quello che è successo durante la giornata, la tenerezza, la delicatezza.

 

Qualcuno dirà: ma se c’è bisogno di tutto questo non si sposerà in chiesa più nessuno? Siamo onesti: che cosa se ne fa la comunità cristiana di molti matrimoni, che poi risultano nulli, perché si tratta di gente che non vuole sposarsi nel Signore, ma intende allestire una bella cerimonia, con belle foto? Di gente che, quando si tratta di firmare, sotto giuramento, i documenti, afferma che è d’accordo sulla indissolubilità, sui figli e poi, una volta sposati vive tutto il contrario ma, siccome hanno giurato il falso davanti a Dio, anche se hanno imbrogliato tutti, Dio non l’hanno imbrogliato e per Lui questi tali sono usciti di chiesa come sono entrati, cioè senza essere sposi nel Signore. Potranno essere sposi davanti allo Stato, ma questa è un’altra cosa. Quanti sono i matrimoni religiosi che in realtà non sono celebrati? Tanti.

 

Allora è meglio che si sposino in chiesa in pochi, ma da quei pochi un parroco può contare per costruire la comunità cristiana.

 

Buona domenica.

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