Sedicesima domenica del Tempo Ordinario B
Di p. Giorgio Bontempi c.m.
Geremia 23, 1- 6
Salmo 22
Efesini 2, 13 – 18
Marco 6,30 – 34
Lectio
Il profeta Geremia, compie ciò che gl’impone il suo mandato, cioè accusa coloro che governano Israele, di non compiere il loro dovere di servizio alla comunità, ma di fare i loro interessi, specialmente a danno dei poveri. Il profeta denomina le autorità del tempo come persone malvagie. Egli si fa portavoce di Dio che annuncia la loro destituzione, erigendosi lui, Dio, come vero pastore d’Israele, che ama le sue pecore. Sarà proprio in virtù di quest’amore che Dio invierà un germoglio giusto, cioè un pastore che amerà il popolo. Si può vedere in questa figura Gesù.
Il vangelo, infatti, staglia la vigura di Gesù come vero pastore, che si prende cura del gregge, sia materialmente che spiritualmente e insegna ai suoi discepoli a fare altrettanto.
Infatti Gesù annuncia il vero volto di Dio: Dio è Padre e si prende cura amorevolmente dei suoi figli, per questo non si deve aver paura di Dio. La tradizione ebraica, in cui non si poteva vedere il volto di Dio, senza morire, è soppiantata da quella cristiana, in cui ogni persona, in particolar modo il cristiano, può porsi dinnanzi a Dio e dialogare con lui, sentendosi amato come figlio. (cfr. 2 lettura).
Meditatio
Sant’Agostino diceva: con voi sono cristiano, per voi sono vescovo.
Da questa frase traspare la certezza del grande santo di essere realmente a servizio della comunità cristiana come vescovo.
Ma, che cosa s’intende per essere a servizio? È bene chiarire le idee su questo punto, perché del termine servizio, nella Chiesa, ci riempiamo la bocca spesso e volentieri, ma senza comprenderne la reale portata.
Essere a servizio (vescovo, prete, diacono, catechista, altri operatori pastorali), significa, prima di tutto saper dialogare. Cioè saper ascoltare e accogliere le altrui proposte. Troppo spesso, nella comunità cristiana, esistono coloro che vogliono – ad ogni costo – imporre le loro idee e quindi temono il confronto dialettico.
Non cercano di formare collaboratori validi, che sappiano dove si trovano gli strumenti e poi che li sappiano usare. Un capo degno di questo nome, è colui che sa attorniarsi di collaboratori e che li forma a diventare autonomi, fino al punto che, se lui mancasse, tutto procederebbe come al solito. Questo pastore ha formato la comunità, creando collaboratori che lo coadiuvino, capaci di sostituirlo, anche in situazioni difficili. Questo è edificare la chiesa. Formare cristiani adulti.
Buona domenica
0 commenti