Nata a Confort, nel cantone di Gex, regione del Jura in Francia, il 9 settembre 1786, Jeanne-Marie è la maggiore di quattro figlie di una famiglia di piccoli proprietari montani.
Durante i disordini della Rivoluzione francese, la sua casa accoglie e nasconde alcuni sacerdoti perseguitati, tra cui il Vescovo di Annecy. Jeanne-Marie è temprata e irrobustita nella fede in questo clima. La pietà e la carità della madre hanno una grande influenza su di lei.
Mandata a Gex per perfezionare la sua formazione, scopre nell’ospedale il servizio delle Figlie della Carità e il 25 maggio 1802 entra nella loro Compagnia a: Parigi. Ben presto, anche per motivi di salute, viene inviata nella comunità del quartiere Mouffetard, il più povero di Parigi, dove assume il nome di suor Rosalia e dove, nel 1807 , emette i voti. In quel quartiere resterà per 54 anni, fino alla sua morte.
Le Suore della comunità assicurano la visita a domicilio dei malati e delle famiglie povere e accolgono gratuitamente a scuola i bambini poveri. Suor Rosalia insegna a leggere e a scrivere, spiega il catechismo, condivide il servizio dei poveri. Il suo
popolo di diseredati è formato, come lei stessa attesta, da “braccianti c manovali, lavandaie, donne delle pulizie, rammendatrici, sterratori, conciatori di pelli, straccivendoli e raccoglitori di rottami, venditori ambulanti”.
Nel 1815 è nominata Suor Servente (Superiora) della casa. Si dedica in modo particolare all’animazione della comunità, ma, sotto la sua guida intraprendente, i vari servizi si sviluppano: incrementa la scuola, segue da vicino il lavoro degli alunni e delle insegnanti, crea un “laboratorio” professionale per le giovani, si circonda di collaboratori validi e sempre più numerosi. Da ogni parte riceve aiuti che prontamente distribuisce ai poveri. Sfidando la mentalità dell’epoca, nel 1844 apre un asilo-nido per i bambini di età inferiore ai due anni. Dà vita ad un’istituzione per le apprendiste o le giovani professioniste. Verso la fine della vita apre pure un Ricovero per anziani. La sua carità supera i confini del quartiere. Consiglia e aiuta sacerdoti e religiosi in difficoltà, favorisce lo stabilirsi di Congregazioni e Società caritative a Parigi.
Accoglie i giovani studenti della Sorbona che porta a scoprire le condizioni di miseria di tanta gente del quartiere e avvia all’imppegno pratico di carità. È così che nasce la Società di San Vincenzo de Paoli, fondata nel 1833 dal beato Federico Ozanam, Le Prévost, Taillandier, Bailly …
Durante la sommossa del luglio 1830, suor Rosalia non esita a salire sulle barricate per soccorrere i feriti, a qualunque fazione appartengano; con coraggio tiene testa al prefetto della polizia che l’accusa di avere soccorso dei rivolto si. Rischiando la propria vita pur di salvare altre vite, terrà lo stesso atteggiamento durante le lotte sanguinose del 1848.
Con le Sorelle non si risparmia durante le frequenti epidemie
di colera, soprattutto nel 1832 e nel 1849, che, a causa della mancanza di igiene e della miseria, dimostrano una particolare virulenza nel quartiere Mouffetard. Il 27 febbraio 1852 l’Imperatore Napoleone III la decora con la croce della Legione d’Onore. Il 18 marzo 1854 lo stesso Napoleone e l’Imperatrice Eugenia fanno una visita solenne e benefica alle opere di suor Rosalia.
Il grande cumulo di lavoro e di preoccupazioni finiscono per vincere gradualmente una resistenza e una volontà fuori dal comune. Durante gli ultimi due anni di vita, suor Rosalia perde la vista. Muore il 7 febbraio 1856. Tutti la piangono, un’enorme folla partecipa al suo funerale e sulla sua tomba, al cimitero di Montparnasse a Parigi, campeggia la scritta: “Alla buona Madre Rosalia, i suoi amici riconoscenti, i poveri e i ricchi”.
Giovanni Paolo II l’ha proclamata Beata il 9 novembre 2003. La sua memoria si celebra il 7 febbraio.
Messaggio
• Con grande capacità Su or Rosalia ha saputo mettere la sua vivacità naturale, la sua volitività, il suo innato spirito di leader, a servizio del Signore e dei suoi poveri. Erano caratteristiche che, dati i tempi, potevano portarla anche ad essere una rivoluzionaria. Di fatto la è diventata, ma … nella carità, realizzando il motto della Compagnia delle Figlie della Carità: “La carità di Gesù crocifisso ci sollecita”. Dal Signore Gesù ha imparato a rispondere alla rivoluzione che odia e distrugge con la rivoluzione che ama e si immola per i fratelli. Al prefetto di Parigi che le in giunge di non soccorrere più i ribelli risponde: “Non posso prometterlo, signore; una Figlia di S. Vincenzo non può mancare alla carità”. Ai rivoltosi che ricercano per ucciderlo un ufficiale rifugiatosi nella casa delle suore, suor Rosalia grida: “Qui non si uccide, qui si ama soltanto”.
A ciascuno è data una grazia particolare, ognuno riceve da Dio dei talenti che è chiamato a scoprire e a mettere a servizio della carità di Cristo.
• La sua passione era accogliere e servire i poveri per amore di Gesù Cristo. Per loro lasciava spazio alla sua inventiva. Li andava a scovare. Non respingeva mai nessuno, a qualunque schieramento appartenesse, a qualsiasi ora si presentasse. Per loro mai parole e atteggiamenti aspri. Aveva un grande rispetto per la dignità di ciascuno. Per tutti era davvero una “mamma”.
I poveri erano il peso e il dolore di Vincenzo de Paoli; i poveri erano i figli prediletti della buona mamma Rosalia; verso i poveri devono dirigersi le attenzioni di tutti i membri della famiglia vincenziana.
• Si prendeva cura delle Sorelle della Comunità, In loro, come nei poveri, vedeva Gesù Cristo e le amava di un amore tenero e forte insieme. Si preoccupava di formare allo spirito della Compagnia e al servizio le giovani suore che le venivano affidate, scegliendo con cura le famiglie e i malati presso cui mandarle. Il suo esempio le stimolava a donarsi sempre più radicalmente. Ma la stessa attenzione aveva per le Dame della carità e per i giovani universitari che venivano da lei iniziati all’incontro con i poveri. Amava ripetere alle Figlie della Carità: “la Figlia della Carità è come un paracarro sul quale tutti quelli che sono stanchi hanno il diritto di deporre i loro fardelli”,
Motivare e formare al servizio di Gesù Cristo nei poveri dovrebbe essere la nostra comune preoccupazione e cura .
• Non pretendeva e non voleva essere altro che Figlia delle Caritàà. Questo era l’unico titolo a cui suor Rosalia teneva e con cu i si presentava a tutti: quello che le permetteva di intimare: “Qui non si uccide!”; quello che le faceva rispondere a chi voi va arrestarla: “Vede? lo sono una Figlia della Carità. Non posso venir meno alla promessa fatta a Dio: devo servire chiunque c si trova nel bisogno”,
Suor Rosalia ci lancia così un forte richiamo ad essere fedeli alla nostra identità, a coltivare il senso di appartenenza alle nostre realtà.
• Aveva una grande capacità di collaborare e suscitare collaborazione. Forma e indirizza le Sorelle della Comunità. Segue il cammino delle Dame della Carità e ne valorizza l’aiuto ai poveri. Dà grandi lezioni di vita evangelica ai giovani che iniziano le Conferenze di San Vincenzo e ne orienta l’apostolato.
Mobilita le energie e le risorse dei ricchi per il servizio dei poveri. Amava dire: “Bisogna sempre avere una mano aperta perdonare, e l’altra aperta a ricevere”.
Non si possono affrontare le sfide del mondo di oggi in dispersione. La collaborazione più ampia possibile è garanzia di efficacia.
• Viveva continuamene e intimamente unita con Dio. Lasciava trasparire da tutto il suo essere la presenza di Dio e a questa presenza cercava di rimettersi tra una visita e l’altra ai poveri. Sapeva pregare in Chiesa e sapeva pregare per strada. Si è lasciata prendere da Dio, ha risposto alla sua chiamata e Lui l’ha resa carità.
È una legge costante della vita cristiana: si dà se si è, ma si è soltanto se si vive profondamente e costantemente radicati in Dio. “Suor Rosalia ha saputo vivere nel suo tempo il Carisma di San Vincenzo e di Santa Luisa. La sua testimonianza, che ora porta il sigillo della Santità ufficialmente riconosciuta, costituisce uno stimolo a reinterpretarlo e a viverlo oggi, prendendo il largo per una nuova fantasia della carità”.
(Da P. ALBERTO VERNASCHI C.M., Un patrimonio di famiglia. Santi e Beati della Famiglia Vincenziana, Cantagalli, Siena, 2007, pagg. 116 – 121).
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