«Bossi usa il cattolicesimo come forma di identità etnica. Idea di religione lontana dal Vangelo». Questa è la teoria di Paolo Bertezzolo, autore del saggio “Padroni a Chiesa nostra”.
Unità del Paese, solidarietà, immigrazione e Mezzogiorno, ma anche dialogo interreligioso e rapporto con l’Islam: sono i temi che hanno visto confrontarsi a più riprese e con toni non sempre concilianti il più antico partito italiano oggi sulla scena politica e la millenaria istituzione religiosa. Stiamo parlando della Lega Nord e la Chiesa cattolica italiana, tema dell’ultimo libro del veronese Paolo Bertezzolo. «C’è una battuta», spiega l’autore, «che la Lega fa da sempre: “padroni a casa nostra”. Questa frase, con un gioco di parole, viene trasformata nel titolo del mio libro in Padroni a Chiesa nostra . Una delle tesi centrali del libro è che la Lega sia presente nei Comuni e nelle Provincie come una forza totalizzante che vuole rappresentare tutto il territorio, nella sua globalità e quindi anche nelle sue espressioni religiose. La Lega, nel suo rapporto con la Chiesa, ha un atteggiamento di assorbimento: vuole rappresentare il territorio anche nelle sue espressioni religiose. Casa nostra prevede ci sia anche una Chiesa nostra». Dallo scontro del 1992 con la minaccia di «scisma» pronunziata da Bossi in un suo comizio a Milano e gli attacchi ai cardinali Ruini e Martini, si è passati a un progressivo avvicinamento tra Lega e Chiesa e convergenza sul tema dei «valori non negoziabili».
«Nel rapporto tra Chiesa e Lega esiste una costante inconciliabilità di posizioni su alcune questioni: quelle della solidarietà, dell’accoglienza e dell’attenzione al diverso, e sulla questione dell’unità del Paese su cui la gerarchia cattolica è sempre stata chiarissima nel rifiutare ogni ipotesi di secessione. Abbiamo visto, anche ultimamente in occasione delle celebrazioni per i 150 anni, importanti esponenti della gerarchia cattolica sostenere il valore dell’Unità d’Italia. Inizialmente la Lega era molto critica nei confronti del cattolicesimo. Ci sono state prese di posizione che tutti ci ricordiamo contro i “vescovoni” e contro il Papa polacco. Negli anni 2001-2002 c’è stata una svolta dovuta al fatto che la Lega ha compreso l’importanza della presenza cattolica sul territorio. Era una presenza non eliminabile e con cui occorreva fare i conti. Soprattutto poi, ha scoperto, e questo è un punto decisivo, quanto il cattolicesimo in funzione identitaria fosse fondamentale». Intende dire che il partito di Bossi ha deciso di utilizzare il cattolicesimo fornendone un’interpretazione etnica, identitaria? «Esatto. La Lega, per difendere il carattere etnico che vuole propugnare, si scaglia contro chi lo mette in discussione o lo inquina, quindi soprattutto gli immigrati. Ecco che in chiave identitaria c’è una riscoperta del cattolicesimo che può salvare l’identità del popolo, dell’etnia, del territorio contro quegli invasori, immigrati (soprattutto di fede islamica) che mettono in discussione questa identità. In questo modo la difesa dell’“identità” religiosa può diventare un terreno d’incontro tra la Chiesa e la Lega. Lo si è visto nella vicenda della presenza del crocefisso nelle scuole e nei pubblici uffici. Secondo la Lega, però, bisognerebbe che il cattolicesimo separasse il valore della carità, quindi della solidarietà, da quello dell’identità culturale e dai valori non negoziabili, ossia quelli inerenti al fine vita e al testamento biologico. Io ritengo che questo non sia possibile. Per la Chiesa è impossibile separare la testimonianza e la proclamazione dei valori dalla difesa della solidarietà e dell’accoglienza. Questo non può avvenire perché è contro l’essenza stessa del cristianesimo. Come ha dichiarato monsignor Bettazzi “se io separo la proclamazione dei valori non negoziabili da quella della carità cado fatalmente nell’egoismo”, divento leghista nell’accezione più negativa: cioè di quell’egoismo che si chiude agli altri per difendere se stessi e i propri interessi». In questo senso lei parla di strategia religiosa della Lega e di un ritorno a un rapporto con la Chiesa d’impronta tradizionalista? «Il cattolicesimo che interessa alla Lega è quello anticonciliare, quello della tradizione identitaria. Io nel libro insisto nel sostenere che questi caratteri di pericolosità della posizione della Lega si vedono a Milano. Non è un caso che i due vescovi che si sono succeduti, Martini prima e Tettamanzi poi, siano stati (e Tettamanzi lo sia ancora) bersaglio delle polemiche più dure e più grossolane. Il movimento bossiano li ha attaccati in modo sistematico, ripetuto, violento, radicale, mettendo in discussione per tutti e due gli arcivescovi non solo singole prese di posizione, ma la stessa validità della loro azione pastorale e, addirittura, la legittimità dell’esercizio della loro funzione». Nel comportamento tenuto dalla Lega Nord nei confronti degli arcivescovi di Milano possiamo ritrovare la vera natura di questo partito e del suo rapporto con la Chiesa? «Possiamo vedere il suo vero volto totalizzante. La Lega Nord ha un suo obiettivo: costruire un’identità etnica, distinta e separata dalle altre, attorno a cui definire una “nazione”, un territorio, e dunque, anche uno Stato. La Lega intende dotare questa entità anche di cultura, lingua e religione proprie (il conseguimento dell’indipendenza della Padania è l’obiettivo contenuto nello statuto approvato nel 2002 e ancora in vigore). Il Carroccio mira a un controllo globale del territorio che, dunque, non può non includere la Chiesa, anche se dentro una dimensione secolarizzata. È questo il vero scopo degli attacchi agli arcivescovi. L’obiettivo è, appunto, governare, col territorio, anche la Chiesa. Ma la religione che propone la Lega è molto lontana da quella annunciata dalla Chiesa e dal suo Vangelo».
Fonte: L’Arena, quotidiano di Verona – 8 aprile 2011
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