Giovani e volontariato: da ribellione a opportunità

da | Apr 4, 2011 | Opinioni a confronto, Politiche sociali, Progetti in collaborazione, Storia e cronaca, Volontariato | 0 commenti

di Michele Barghini

BRUXELLES. E’ uscito il mese scorso il rapporto “La mobilità dei giovani volontari in Europa”, commissionato dal Comitato delle Regioni dell’Unione Europea per tentare una valutazione su di un fenomeno non molto studiato. Considerata anche la qualifica del 2011 come Anno Europeo del Volontariato, il Comitato ha cercato di ottenere un resoconto complessivo che rendesse ragione da più punti di vista delle azioni di volontariato transfrontaliero attualmente disponibili nell’Unione. I risultati, tuttavia, non si sono dimostrati tra i più incoraggianti. Il volontariato transfrontaliero infatti non gode di splendida salute.

I dati rilevati dai realizzatori del rapporto mostrano che il tipico volontario è donna, tra i 22 e i 26 anni, con un elevato grado di istruzione e proveniente da un ceto tendenzialmente benestante; questi dati la dicono lunga su quali sono i problemi maggiormente riscontrati dai giovani nell’intraprendere una esperienza di volontariato all’estero. Segnatamente si tratta di difficoltà economiche: le cifre pur minime richieste per dedicarsi ad un periodo di servizio all’estero sono inaffrontabili,  mentre in molti casi di persone che non lavorano la permanenza all’estero fa perdere i contributi di disoccupazione.

Ci sono inoltre ostacoli culturali: molte famiglie vedono l’esperienza come una perdita di tempo, sottratto al lavoro e/o allo studio, mentre nei paesi dell’Est il concetto di volontariato riporta alla mente più l’idea di lavoro forzato che quella di altruismo. Problemi amministrativi sono invece l’assenza di uno statuto giuridico condiviso e i problemi conseguenti per ottenere permessi di soggiorno, il tentativo di alcuni Stati di far passare il contributo minimo dei volontari come stipendio, quindi tassandolo, la mancanza totale di una forma di riconoscimento delle competenze acquisite.

Tutto questo è spesso causa, o effetto, di una cattiva gestione dei programmi, con le organizzazioni che, lamentano i volontari, talora non preparano abbastanza all’esperienza (ad esempio, non fornendo corsi adeguati di lingua locale), non forniscono informazioni adeguate prima della partenza, non svolgono opera di tutoraggio in misura sufficiente. Molti volontari accusano poi una generale scarsità di informazioni diffuse sulle possibilità di volontariato in Europa; oppure non trovano, al momento dell’arrivo in loco, la possibilità di interagire con le comunità locali.

Tutto ciò costituisce un’occasione perduta, a detta dello studio, perché dalle interviste risulta come il volontariato transfrontaliero sia una opportunità altamente formativa; imparare a gestirsi da soli, conoscere una lingua ed una cultura diverse, lavorare in gruppo, gestire un progetto, allacciare legami duraturi all’estero, sono tutte acquisizioni sul campo che hanno un riscontro anche presso la comunità ospitante, la quale si arricchisce in parallelo.

Ed è sempre più evidente dai sondaggi che questo genere di esperienze, un tempo di “ribellione” e rottura nei confronti di un sistema, o di disinteressato altruismo, oggi sono viste come opportunità di carriera e formazione personale. Da qui la moda del volontariato estero à la carte, in luoghi attentamente selezioni, e per periodi brevi o brevissimi; una sorta di turismo-buonismo politicamente corretto che qualche autore ha valutato con crescente freddezza.

Alle nuove generazioni, tuttavia, il giudizio talora severo dell’accademia pare importare ben poco.

Fonte: www.volontariatoggi.info

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