Premio “Carlo Castelli” per la solidarietà – 3ª edizione 2010
SARÒ LIBERO
Speranze e timori del dopo carcere
Il tema prescelto per la terza edizione 2010 del Premio “Carlo Castelli” per la solidarietà riguarda l’uscita dal carcere al termine della pena. Un momento tanto atteso quanto temuto, quello del rientro nella società civile, specialmente quando sono trascorsi molti anni e si sa di dover affrontare comunque un impatto col mondo di fuori, che nel frattempo è assai cambiato, nell’aspetto, negli stili di vita, nell’organizzazione sociale. Forse non ci sono più quei legami affettivi che davano tanto sostegno, qualche persona cara è mancata, la famiglia se c’era, ora può non esserci più, anch’essa dissoltasi sotto il peso insostenibile dell’abbandono: mogli che si separano, figli che non ne vogliono più sapere… E poi, che fine avranno fatto gli amici, le persone conosciute, tutta quella rete di relazioni che un tempo costituiva il tuo mondo?
Dopo averlo a lungo sognato questo fine pena, man mano che si avvicina, mette un’ansia incredibile, può diventare un incubo. Spesso non c’è un posto dove andare a vivere, non c’è di che sostentarsi, si deve cercare alloggio in comunità oppure affidarsi alla sorte, o peggio, cedere alle offerte di qualcuno che ti rimette nel “giro”…
La difficoltà di trovare un qualsiasi lavoro, non avere una qualifica professionale, scontrarsi con i pregiudizi e l’esclusione, sono condizioni pesantissime che si fanno sentire, anche quando c’è ancora una famiglia alle spalle, ma che a sua volta è duramente provata.
Può andar meglio se il carcere è servito per conseguire un diploma o una qualche specializzazione, se si sono sperimentati percorsi premiali esterni, lavoro in semilibertà o in affidamento, se si è imparato un mestiere e si può continuare a lavorare magari in una cooperativa sociale o in un’azienda che collabora col carcere.
La libertà sarà a portata di mano, una volta spalancato il portone del carcere, ma io sarò veramente libero? Sarò diventato in questi anni un uomo diverso, capace di affrontare la vita accettandone le regole, pronto a faticare per restare onesto? Avrò compreso che non è sufficiente l’aver espiato la pena inflitta per essere libero dai miei errori?
“Sarò libero”, il tema di questa edizione, implica tutto questo. Non essersi liberati completamente dai propri limiti può significare smarrirsi e vagare, fino ad incontrare nuovamente il carcere come un triste rifugio. L’aiuto può certamente venire da tutti gli operatori del carcere, quelli istituzionali, quelli volontari, dagli insegnanti, dalle istituzioni pubbliche, dalle associazioni, ma se non c’è la consapevolezza e la determinazione di voler cambiare tutto risulta inutile. Il piangersi addosso non aiuta, anzi rallenta quella presa di coscienza che sola può capovolgere la prospettiva di vita.
Questa sorta di liberazione interiore è possibile anche per coloro il cui fine pena è mai, ovvero per gli ergastolani. C’è anche per loro la possibilità del lavoro all’esterno, la speranza di ottenere la “condizionale”, anche se non la completa libertà perché la loro pena non si estingue mai. Sembra questo un controsenso del nostro ordinamento penitenziario, soprattutto se confrontato con l’enunciazione dell’art. 27 della Costituzione. Sentirsi liberi può quindi non coincidere con lo stato di libertà fisica e giuridica, ma è la vera condizione cui nessuno dovrebbe rinunciare.
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