Contro l’emergenza carceri… ecco avanza il cemento

da | Mar 1, 2010 | Carcere | 0 commenti

di Paolo Casicci e Marco Romani
Venerdì di Repubblica, 19 febbraio 2010

Sovraffollamento? Il governo vuole costruire nuovi penitenziari. Uno spreco miliardario che si potrebbe evitare. Usando meglio le strutture che ci sono già, o depenalizzando i reati minori. Ma su questo fronte Alfano non ci sente.

In carcere i conti non tornano. Come si possono far stare 66.000 detenuti in 44.000 posti disponibili? La matematica non fornisce soluzioni, la pratica sì: ammassandoli su letti a castello dentro la stessa cella. Violando così le norme nazionali ed europee sugli standard dei metri quadri a disposizione per ogni carcerato. Ma il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, oltre a fornire i dati delle presenze e della capienza regolamentare (44.066 posti) degli istituti, dà anche la soglia di “tollerabilità” del sistema: 66.563 posti. Basterà quindi che la popolazione carceraria aumenti di 500 detenuti e dall’emergenza si passerà al disastro umanitario. Considerando che negli ultimi anni il saldo fra ingressi e uscite è di 800 persone al mese in più, già a marzo la situazione sarà ingestibile.

Al ministro della Giustizia Angelino Alfano è tutto fin troppo chiara e dopo aver presentato un primo Piano straordinario delle carceri nel gennaio 2009, un mese fa si è presentato alla Camera con un nuovo Piano, approvato poi dal Consiglio dei ministri. Ma neanche stavolta i conti tornano. Nel Piano del 2009, firmato dal Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria e capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, si parla di un incremento (fra ristrutturazioni, aperture di nuovi reparti e costruzione di interi istituti) di 17.129 posti detentivi per un costo complessivo di un miliardo 590 milioni. A solo un anno di distanza, insomma, Alfano ha detto a Montecitorio di voler portare la capienza a 80 mila unità, ma ha messo sul piatto solo 600 milioni. Come è stato possibile ridurre di un miliardo di euro la spesa in soli dodici mesi?

“O i conti erano sbagliati prima” dice Luigi Manconi, presidente dell’associazione A buon diritto e direttore della rivista on-line www.innocentievasioni.net, “o sono sbagliati ora”. Un sospetto Manconi ce l’ha. E gli viene dal fatto che Alfano alla Camera non ha detto quanti nuovi posti letto vuole aumentare, ma solo che entro il 2012 nelle carceri italiane potranno entrare fino a 80 mila detenuti. “Questo potrebbe voler dire che il ministro calcola i posti detentivi, attuali e futuri, già al limite della tollerabilità. Così l’incremento sarebbe di sole sette o ottomila unità”.

Ma quanto costa costruire un posto letto in prigione? Secondo l’associazione Antigone più di 57 mila euro. E la somma aumenta vertiginosamente se si dà il via ai lavori di un istituto intero e non soltanto a nuovi padiglioni. “Senza ruberie o corruzione e con una gara d’appalto che punta al massimo ribasso” dice il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella “per costruire un istituto di pena da 200 posti oggi ci vogliono almeno 15 milioni: 75 mila euro a posto letto. Senza considerare i costi per gli espropri delle aree”.

Alfano, che ha fretta, per accelerare ha chiesto lo stato d’emergenza per l’edilizia carceraria. Che in parole povere significa dare al commissario straordinario la facoltà di decidere, senza gara d’appalto, a chi affidare i lavori, secondo un modello sperimentato all’Aquila, con Ionta investito degli stessi poteri di Guido Bertolaso.

“Prima di capire se ci sono o no i soldi per le nuove carceri” dice però la radicale Rita Bernardini, che, dopo uno sciopero della fame, è riuscita a far votare dalla Camera alcuni punti della sua mozione per il miglioramento della vita dei detenuti e la riduzione dei tempi della carcerazione preventiva, “il ministro dovrebbe dirci perché istituti pronti da tempo, come quello di Rieti, Matera o Barcellona Pozzo di Gotto, non sono mai stati aperti per mancanza di organici”.

Ma gli agenti mancano davvero? “L’Italia” spiega Alfonso Sabella, capo dell’ispettorato del Dap fino al 2001, quando l’allora numero uno del Dipartimento Giovanni Tinebra soppresse l’ufficio, “è il Paese con il miglior rapporto fra detenuti e polizia penitenziaria. A fronte di 65 mila detenuti possiamo contare su oltre 42 mila poliziotti penitenziari, a differenza di Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna, che su circa 75 mila detenuti dispongono al massimo di 25 mila agenti”.

E dove sono i nostri agenti? “Da un monitoraggio effettuato nella seconda metà del 2001” dice Sabella “è emerso che quelli effettivamente impiegati nella sicurezza dei detenuti non superavano i 23 mila”. E gli altri? Buona parte in malattia: “È quotidianamente assente dal servizio il 40 per cento del personale, a fronte del 31 per cento delle altre forze di Polizia. Un’altra causa della mancanza di personale è la sconsiderata politica dei distacchi. Una volta a Napoli a fronte di circa 250 agenti distaccati da altri carceri ce n’erano 250 distaccati in altri istituti”.

Una soluzione per impiegare meglio il personale, e migliorare a un tempo le condizioni di vita nelle carceri, secondo Sabella ci sarebbe: adottare il regime “aperto” per i detenuti di bassa e media sicurezza, rinunciando cioè agli agenti nelle sezioni, e sostituendo i tanti posti di servizio ai cancelli intermedi con una ronda di quattro-cinque uomini e con qualche sentinella sul muro di cinta, come avviene negli Usa e in altri Paesi europei. Così si impiegherebbe la metà del personale oggi necessario e i detenuti vivrebbero in condizioni più umane.

“Credo” dice Sabella “che ci sia una precisa volontà di mantenere i poliziotti penitenziari, che molti considerano buoni solo ad aprire e chiudere cancelli, come personale di serie B. Si dovrebbero invece motivare gli agenti trasformandoli in una moderna Polizia della Giustizia”.

Un altro modo per liberare personale l’aveva escogitato sempre Sabella, ma il suo progetto è rimasto chiuso in un cassetto del Dap, insieme con i verbali delle ispezioni con le quali il magistrato aveva fatto notare, da Ancona a Trapani, come non mancassero in ogni istituto gli spazi chiusi senza un valido motivo e che avrebbero potuto ospitare detenuti in più, e in condizioni umane, rispetto a quelli effettivamente reclusi.

Si trattava di una convenzione tra il ministero della Giustizia e Poste Italiane per aprire dei Postamat negli istituti penitenziari. La convenzione avrebbe consentito ai carcerati di disporre sempre e comunque del loro denaro, ai loro familiari di versare le somme da qualunque ufficio postale, all’Erario di non pagare gli interessi legali sulle somme. “Quando ho sottoposto il piano, e le Poste erano molto interessate, ai vertici dell’Amministrazione, mi sono sentito rispondere che, se attuato, due o tre mila agenti sarebbero dovuti tornare all’interno del carcere e lasciare i loro comodi uffici Conti correnti e sopravvitto”.

Insomma, le alternative al nuovo cemento ci sarebbero. E servirebbero anche a scongiurare il rischio di un nuovo scandalo “carceri d’oro”, come quello scoppiato alla fine degli anni Ottanta, quando l’ex ministro dei Lavori pubblici, Franco Nicolazzi del Psdi, e il direttore generale dello stesso ministero, Gabriele Di Palma, furono accusati, e condannati in secondo grado (nel 1994), per aver ricevuto due miliardi e mezzo di lire di tangenti per i lavori di ristrutturazione di alcuni istituti penitenziari.

Ma ogni soluzione sul tema del sovraffollamento si chiude pensando che ogni anno la popolazione carceraria aumenta di circa diecimila persone. Analizzando la composizione dei detenuti, come ha fatto Antigone nel Rapporto sulle carceri del giugno 2009, si scopre che il 52,2 per cento è in custodia cautelare perché, come accade agli immigrati, non ha un indirizzo stabile. Fra chi invece è stato già condannato in via definitiva, il 32,4 per cento ha un residuo di pena inferiore a un anno e quindi potrebbero accedere ai domiciliari, ma la decisione è discrezionale e i giudici difficilmente la concedono.

Gli stranieri in carcere sono oltre 23.500 e circa il dieci per cento è dentro per non aver ottemperato all’obbligo di espulsione e non sono ancora disponibili i numeri sugli arresti di immigrati dopo l’approvazione del reato di clandestinità. Secondo stime ufficiose, degli oltre 21 mila detenuti per violazione della legge sulla droga sarebbero circa l’80 per cento i consumatori arrestati per detenzione di quantità modeste di stupefacenti e solo un 20 per cento ì trafficanti e i grandi spacciatori. “Con la mozione approvata a gennaio” dice Bernardini “il governo si è impegnato a ridurre i tempi della custodia cautelare. Ma se non si rimette mano alla legge sulle droghe e al reato di clandestinità l’emergenza carceri non si risolverà neanche con un miracolo”. Per Alfano, però, è forse più facile costruire nuove celle che far capire alla Lega che la sicurezza non aumenta sbattendo tutti in galera.

Fonte: Ristretti Orizzonti

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