“Benediciamo sempre il Signore, e serviamolo sempre fervorosamente e allegramente. Il fervore alimenterà l’allegria e l’allegria conserverà il fervore, e gioverà allo stesso tempo alla salute materiale. Oh, l’allegria è un gran rimedio” (Suor Nicolodi)
Giuseppina Nicoli nacque a Casatisma (Pavia), in una famiglia molto religiosa, il 16 novembre 1863. Crebbe in un ambiente sereno anche se, purtroppo, la morte le portò via alcuni fratelli in tenera età. La giovane studiò a Voghera e a Pavia, conseguendo con ottimi voti il diploma di maestra e coltivando nel cuore il desiderio di dedicarsi all’istruzione dei poveri. Attratta dal carisma vincenziano, divenne una Figlia della Carità. Giunse a Torino, nella casa centrale di S. Salvario, il 24 settembre 1883. Qualche mese dopo fece la vestizione a Parigi, in Rue du Bac, dove la Madonna, cinquant’anni prima, era apparsa a s. Caterina Labouré. Aveva solo ventuno anni quando fu inviata in Sardegna che, al tempo, rientrava nella medesima provincia religiosa. Per giungere sull’isola occorrevano tre giorni di viaggio. Il suo primo incarico fu quello di insegnare al Conservatorio della Provvidenza di Cagliari. Emise i voti semplici cinque anni dopo, nella notte di Natale del 1888. Nel crocifisso che quel giorno le fu donato, mise un pezzo di carta su cui scrisse un pensiero ritrovato poi dopo la morte. Rivolgendosi al Signore promise “di volervi sempre fedelmente servire, praticando la povertà, la castità, l’obbedienza e servendo per amor vostro i poveri”. Aveva trenta anni quando le diagnosticarono la tubercolosi, malattia che minò silenziosamente la sua salute per il resto della vita, senza però mai frenare la voglia continua di lavorare per il Signore. Quando in città scoppiò il colera, suor Giuseppina fu addetta alle cucine economiche ma, passata l’emergenza, diede inizio alla missione che avrebbe contraddistinto la sua vita: istruire i giovani, diffondendo la conoscenza del Vangelo. Cominciò con gli studenti e gli operai che chiamò “Luigini” (protetti da S. Luigi). La comunità di Sassari, nel 1899, necessitava di una superiora (detta suor servente) e la scelta cadde su suor Nicoli. Qui conobbe il vincenziano, servo di Dio, Giovanni Battista Manzella. L’apostolato di suor Giuseppina fu straordinario: introdusse le suore nel carcere femminile, istituì il primo gruppo giovanile di volontariato, favorì le scuole di catechismo, anche serali o domenicali, che raggiunsero gli ottocento iscritti. Tanto terreno fertile fu lasciato nel 1910, quando tornò nella capitale sabauda, a S. Salvario, con il compito di coordinare come economa provinciale un centinaio di comunità locali e alcune migliaia di suore. Passò poi, all’altrettanto gravoso compito di “maestra” delle circa sessanta novizie. Nonostante gli ottimi risultati, il clima freddo di Torino era poco adatto alle sua salute e fu rimandata in Sardegna. I vari cambiamenti le costarono non poco, ma come leggiamo nei suoi scritti “La vera obbedienza si riconosce per quella semplicità che non cerca i motivi del comando, quella generosità che non fa distinzione tra un comando importante e un desiderio, quell’umiltà che non ha riguardo se non per Dio, quell’allegria che rallegra Dio stesso, quella perseveranza senza cui si è virtuosi solo a metà… Il Crocifisso! Ecco il più bel trattato dell’obbedienza”.
Nell’isola le cose erano completamente cambiate, sia nella comunità che nell’amministrazione civica. Da Sassari fu mandata all’Asilo della Marina di Cagliari (agosto 1914). Si era all’inizio della Grande Guerra e nei locali dell’Asilo si allestì un ospedale per i feriti. Superata l’emergenza suor Nicoli diede vita ad una serie eccezionale di opere: fondò le Damine di Carità che riparavano e cucivano abiti per i poveri, curavano l’assistenza domiciliare del quartiere e la colonia estiva per i bambini rachitici. Diresse le Figlie di Maria tra cui nacquero numerose vocazioni religiose, fece conoscere in città l’opera della Propagazione della Fede e della Santa Infanzia, aprì il Circolo di S. Teresa, primo nucleo della futura Azione Cattolica femminile cittadina. Fondò i Giuseppini (protetti da S. Giuseppe), ragazzi che provenivano da quelle famiglie borghesi che per pregiudizio impedivano ai figli di frequentare il catechismo con i poveri. Si preoccupò delle giovani che dalle campagne andavano a servizio dei signori della città, le “Zitine“, (protette da s. Zita); riunì per ritiri spirituali migliaia di operai che lavoravano alla Fabbrica dei Tabacchi. Si interessò delle giovani della borghesia, che chiamò Dorotee (protette da S. Dorotea), tra le quali alcune divennero ottime maestre. Un’attenzione tutta particolare fu rivolta ai ragazzi di strada, spesso orfani, che presso il porto e il mercato sbarcavano il lunario facendo i facchini. Ne accolse a centinaia senza allontanarli dal loro ambiente, li istruì, preparandoli ad un lavoro dignitoso. Erano conosciuti come i “marianelli”, i monelli di Maria. Quest’opera tanto benemerita le procurò però non poche difficoltà e incomprensioni, anche in seno alla sua comunità. In quegli anni fu anche coinvolta in una controversia riguardante le competenze e la proprietà dell’Asilo. Con l’avvento del Fascismo, mal volentieri si vedeva la gestione delle suore. Fu proprio grazie a lei che tutto si risolse.
Gli scritti della Beata sono preziosi per comprenderne la spiritualità. Leggiamo: “Noi ci chiamiamo Figlie della Carità, il che significa che noi deriviamo dal cuore di Dio. Bisogna dimostrarlo con le opere…”. “Noi dobbiamo essere gli Angeli Custodi dei Poveri, e quindi ogni qualvolta essi si indirizzano a noi, dobbiamo accoglierli con bontà e nulla risparmiare per soccorrerli”. “Noi apparteniamo a Dio… Per questo, se non indirizziamo a Dio i nostri pensieri, i nostri affetti, le nostre azioni, noi rubiamo ciò che gli appartiene”. “La Figlia della Carità non si applica che a consultare i movimenti del cuore del suo Sposo per regolare i suoi”. “Non diciamo: sono sempre la stessa! Noi navighiamo contro la corrente di un fiume. Se non riusciamo ad andare avanti, non diciamo: non faccio niente. Se non facessi niente sarei trasportata via dalla corrente. Se sono sempre qui è perché lotto contro la corrente, mi sostengo, avanzo, mi arricchisco di meriti”. “Signore, nulla io sono davanti a Te! Quando si scende nel proprio nulla, si trova la luce e la Grazia. Se ne esce trasformate… La vera vita spirituale è questo vuoto che l’anima fa in sé con una totale abnegazione: vuoto che è riempito da Dio”.
Si contraddistinse sempre per una santa allegria: “Benediciamo sempre il Signore, e serviamolo sempre fervorosamente e allegramente. Il fervore alimenterà l’allegria e l’allegria conserverà il fervore, e gioverà allo stesso tempo alla salute materiale. Oh, l’allegria è un gran rimedio”. “La carità ci fa volare, giubilando. Serviamo il Signore allegramente confidando in Lui”.
Fu grande la sua devozione mariana: “Fa quello che puoi con gioia e tranquillità, ed il resto prega la Madonna che lo faccia Lei stessa. Oh, fanne l’esperienza e mi saprai dire quanto giova affidarsi alla Madonna Santissima. Di qualunque matassa, per quanto intricata, si trova facilmente il bandolo allorché ci si mette le mani”. Suor Giuseppina fu guida per molte sue consorelle.
Aveva poco più di sessant’anni quando una broncopolmonite la costrinse a letto. Soffrì, intensificando la sua unione con Dio, senza perdere il buon umore. Anni prima aveva scritto ad una confidente: “Le croci sono sempre preziosi doni di Dio. Tu mi dici che sei un carro rotto… Anch’io sono un carro rotto, ma tu vedessi come sono contenta!”. Un uomo che l’aveva a lungo osteggiata, inginocchiato al suo capezzale di morte, tra le lacrime, chiese perdono ottenendo da suor Giuseppina un sorriso di paradiso. Spirò alle 9 del mattino del 31 dicembre 1924. I funerali manifestarono in modo commovente l’affetto dell’intera città.
Dichiarata beata a Cagliari il 3 febbraio 2008, le sue spoglie sono venerate presso la cappella dell’asilo della Marina.
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