Ci sono vittime che fanno sì che alla violenza non segua altra violenza.
A cura della redazione di Ristretti Orizzonti – Mattino di Padova, rubrica “Lettere dal carcere”, 11 gennaio 2010
Il rischio di incentivare la rabbia per una giustizia negata
Io ritengo che a volte l’incontro tra Abele e Caino faccia sì che Abele senta in qualche modo di difendere Caino. Per me molte volte non è stato facile aprirmi, raccontarmi cosi come ho fatto in carcere a Padova, ma riuscire a farlo è qualcosa che ha lasciato un segno nei detenuti presenti, e sicuramente ha lasciato un segno anche in me.
Io venendo qui non ho voluto preparare un discorso, ma voglio invece raccontarvi un episodio che mi è capitato di recente, quando sono stata invitata a partecipare ad una trasmissione pomeridiana, dove venivano mostrati dei filmati di casi dolorosissimi, di padri a cui erano state uccise le figlie, o anche stuprate e poi assassinate. Tra gli altri un caso in cui un padre era andato in un altro Paese, che non dava l’estradizione, praticamente a rapire il reo per portarlo nel Paese dove poteva essere condannato, insomma in tutta la trasmissione si finiva per inneggiare alla giustizia fai da te.
Tra i presenti c’era un papà, io me lo ricordo quell’episodio e mi colpì molto, era precedente all’uccisione di mio marito, era una coppia recentemente sposata che percorreva l’autostrada in macchina, dei ragazzi dal cavalcavia fecero un gesto scellerato per puro divertimento, gettarono dei sassi su quella macchina e questa povera ragazza mori. In quella trasmissione c’era il padre. Io alla fine della trasmissione ho detto: esprimo una preoccupazione, perché noi rappresentando questi casi dolorosissimi di padri che non hanno avuto giustizia, inneggiando alla giustizia fai da te, dando una pessima immagine della nostra magistratura, togliendo fiducia nelle istituzioni, temo che noi non stiamo rendendo un servizio al Paese, ma stiamo piuttosto incentivando questa rabbia per una giustizia negata.
Il mio fu l’ultimo intervento, quindi non ci furono repliche perché la trasmissione finiva lì. Ho ricevuto diverse telefonate di persone che mi hanno detto “Meno male che c’eri tu che hai un po’ riequilibrato una trasmissione, che era veramente disgregante per una società che deve comunque trovare delle regole di convivenza civile”. Ma due giorni fa scopro che c’era una lettera aperta rivolta a me dal padre di questa ragazza, una lettera molto addolorata in cui mi diceva: in fondo noi siamo entrambi stati colpiti da azioni delittuose e mi ha molto addolorato il fatto che lei abbia giudicato male quella trasmissione, che per me era l’unico strumento per gridare la mia rabbia per una giustizia negata.
Per me questa situazione è molto complicata, nel senso che non posso non sentirmi vicina a quel padre, non posso non sentire profondamente quel dolore. Io per fortuna non ho mai provato rabbia, ma credo che chi la prova, questa rabbia per una giustizia negata, viva un malessere difficilmente raccontabile. Però non mi sento nemmeno di scrivere una lettera pubblica a questa persona, io cercherò il suo indirizzo e scriverò una lettera privata, quello che voglio però è dire a quel padre quanto io capisco i suoi sentimenti, ma quanto sia importante anche che, insieme al dolore, molte vittime sentano anche il senso di responsabilità di tenere invece il tessuto sociale coeso, di far sì che poi alla violenza non segua altra violenza, all’odio non segua altro odio. Ecco, forse raccontare a quel padre esperienze come quelle di oggi in questo carcere mi aiuterà, avere dentro di me esperienze come quella del mio incontro con i detenuti di Padova mi aiuterà, e chissà che insieme noi non si riesca a portarlo qui un giorno
Olga D’Antona
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