Marco Toriello, 45 anni, tossicodipendente e gravemente ammalato, si è
tolto la vita venerdì scorso, impiccandosi nella sua cella nel carcere
di Salerno. Con la sua morte, sale così a 69 il numero di reclusi che
si sono uccisi in carcere nel corso del 2009. “Viene così eguagliato
il triste “record” del 2001. Il numero più alto di detenuti suicidi
nella storia della Repubblica”, denuncia l’Osservatorio permanente
sulle morti in carcere.
L’anno nero delle carceri italiane si avvia così verso una drammatica
conclusione. “I morti – denuncia l’Osservatorio – sarebbero molti meno
se nel carcere non fossero rinchiuse decine di migliaia di persone che
provengono da realtà di emarginazione sociale”. Il 30% dei detenuti è
tossicodipendente, il 10% ha una malattia mentale, il 5% è
sieropositivo, il 60% ha una qualche forma di epatite. “Negli anni
Sessanta i suicidi in carcere erano tre volte meno frequenti di oggi –
prosegue il rapporto dell’Osservatorio – i tentativi di togliersi la
vita addirittura 15 volte meno frequenti”. E non certamente perché
all’epoca i detenuti vivessero meglio.
Nel corso del 2009 la popolazione carceraria è aumentata di 8mila
unità, passando dai 58mila reclusi del 31 dicembre 2008 ai circa
66mila che, verosimilmente, trascorreranno la prossima notte di San
Silvestro in cella. Gli spazi però restano gli stessi, con il
risultato che, in molte celle, si dorme a rotazione oppure estraendo
alla bisogna una brandina pieghevole. Trentaquattro dei 204 istituti
penitenziari italiani ospitano più del doppio delle persone previste,
mentre 171 carceri sono “fuori legge” dal momento che accolgono più
persone di quante la capienza regolamentare consenta.
Ma l’aumento della popolazione detenuta (più 18mila unità dal 31
dicembre 2007 a oggi, ndr) non è dato tanto dall’aumento degli
arresti, sostanzialmente invariati, “quanto dalla diminuzione delle
uscite”, spiega Francesco Morelli, del centro studi Ristretti
Orizzonti del “Due Palazzi” di Padova. Leggi come la Cirielli, ad
esempio, impediscono di accedere alle misure alternative. “Prima
dell’indulto c’erano 60mila detenuti e 50mila condannati in misura
alternativa. Oggi sono solo 12mila le persone che stanno scontando la
pena in misura alternativa”.
Complessivamente, i ristretti sono 65.774, oltre 22.500 in più
rispetto alla soglia regolamentare (circa 43 mila) e di poco superiore
a quella tollerabile, di 64mila unità. “Tutto ciò – osserva Donato
Capece, segretario del Sappe, sindacato autonomo di polizia
penitenziaria – si riassume con la parola “sovraffollamento”.
Per noi si tratta di condizioni di lavoro e di vita impossibili da
sostenere”. Senza contare che, su oltre 65mila detenuti, quasi il 50%
(30.818 persone) è in attesa di giudizio. “All’inizio si diceva che
era un dato determinato dall’indulto – ha commentato Francesco
Cascini, magistrato e responsabile del servizio ispettivo del Dap -.
Oggi i detenuti in attesa di giudizio sono 7mila in più rispetto a
quelli che si trovavano in questa situazione prima del 2006. Ed è un
fenomeno in aumento. Siamo di gran lunga il Paese europeo che ha il
più alto numero di detenuti in attesa di giudizio”. Una situazione
resa ancora più grave dalla diminuzione delle risorse economiche: dai
13mila euro all’anno spesi nel 2007 per ogni detenuto per vitto,
assistenza sanitaria e attività trattamentale (escluso il costo del
personale), si è passati ai 6.383 del 2009. Diminuisce così anche la
possibilità di lavorare all’interno delle carceri, come “scopini” o
“porta-vitto”, e di mettere da parte qualche soldo per acquistare le
sigarette e persino generi di prima necessità. Al carcere della Dozza,
a Bologna, i detenuti hanno chiesto in regalo penne, buste e
francobolli, per poter scrivere a casa per le feste.
Ilaria Sesana
Fonte: Avvenire
0 commenti