marchiossvpPresentato a Roma il 22 ottobre dalla Caritas e Fondazione Zancan, il rapporto 2009 su povertà ed esclusione sociale esprime criticità e carenze, ma anche proposte per uscirne fuori.

E’ dal 1997 che Caritas Italiana e Fondazione Emanuela Zancan pubblicano il rapporto sulla povertà ed esclusione sociale in Italia, uno spaccato del nostro Paese visto dalla parte dei poveri. Basterebbe scorrere i titoli dei rapporti finora pubblicati, per avere un quadro dell’evoluzione della povertà stessa: da “I bisogni dimenticati” a “Gli ultimi della fila”, da “Cittadini invisibili” a “Vuoti a perdere”. Quello di quest’anno, presentato a Roma lo scorso 22 ottobre, s’intitola “Famiglie in salita” (ed. il Mulino) e mette a fuoco i nuovi fenomeni di difficoltà economica che coinvolgono l’Italia, a partire dagli sviluppi della crisi economico-finanziaria che colpisce in maniera particolare proprio la famiglia.
La prima parte del Rapporto analizza i contesti regionali e locali e le relative risposte
alla povertà. Dall’analisi emerge con chiarezza lo squilibrio tra Nord e Sud Italia in termini di spesa e di interventi per l’assistenza sociale e, quindi, per la povertà. Basti pensare infatti che nel 2005 (ultimo anno a disposizione quando è stato compilato il Rapporto) i comuni italiani hanno speso 5,7 miliardi di euro per l’assistenza sociale, cioè 98 euro per ogni abitante. Di questa spesa, il 7,4% (cioè 423 milioni di euro) è stato destinato a contrastare la povertà, in pratica 7,22 euro per ogni abitante. Se però si guardano i dati a livello regionale, quei 7,22 euro per abitante possono diventare, in certe zone del paese, 1,91 euro (come in Abruzzo) oppure 21,75 euro (è il caso di Bolzano), cioè 11 volte di più.
In tutte le regioni centro-settentrionali la povertà ha un’incidenza sempre inferiore al dato nazionale, mentre per le regioni meridionali accade l’esatto contrario: la povertà del Sud Italia è di 4-5 volte maggiore rispetto a quella del Nord. Inoltre, se in regioni come il Veneto, la Toscana, il Friuli Venezia Giulia l’incidenza della povertà relativa negli anni 2002-2007 ha segnato una significativa decrescita (rispettivamente -15%, -32% e -33%), diverso è per la Sicilia e la Sardegna dove i valori sono aumentati rispettivamente del +30% e +34%. Perché questa differenza? Perché di fatto il federalismo è già in atto nel nostro paese e assegna un ruolo fondamentale a Regioni e Comuni anche in materia di contrasto alla povertà.
In realtà, il “modello” italiano di povertà presenta un divario unico in Europa.
Ma non è l’unica anomalia: i dati ci dicono che si spende di più per contrastare la povertà nelle regioni dove ci sono meno poveri. Ad esempio, la regione che sostiene la spesa pro-capite più alta è il Trentino-Alto Adige, proprio dove l’indice della povertà è inferiore alla media nazionale, mentre Campania, Calabria e
Basilicata presentano un indice di povertà elevato, ma la loro spesa pro-capite è al di sotto della media nazionale.

Un’altra caratteristica tipicamente italiana della lotta alla povertà è quella per cui si tende a dare soldi piuttosto che fornire servizi durevoli nel tempo, piccoli benefici economici, quasi sempre una tantum, che non risolvono alla radice il problema povertà. Questo porta gli enti pubblici a investire cifre molto alte per dare una piccola risposta a molti. A fronte dei 192 milioni di euro spesi per la socialcard, l’abolizione dell’Ici e il bonus elettrico, solo 91 mila famiglie, su un milione, non sono più povere in senso assoluto. Ne emerge insomma un’Italia che non sa affrontare la povertà come si dovrebbe, se siUn’altra caratteristica tipicamente italiana della lotta alla povertà è quella per cui si tende a dare soldi piuttosto che fornire servizi durevoli nel tempo, piccoli benefici economici, quasi sempre una tantum, che non risolvono alla radice il problema povertà. Questo porta gli enti pubblici a investire cifre molto alte per dare una piccola risposta a molti. A fronte dei 192 milioni di euro spesi per la social card, l’abolizione dell’Ici e il bonus elettrico, solo 91 mila famiglie, su un milione, non sono più povere in senso assoluto. Ne emerge insomma un’Italia che non sa considera che altri paesi investono di più e con migliori risultati.
Ma non è solo un problema di risorse (scarse) utilizzate (male). Il Rapporto infatti aggiunge a ciò l’assenza di valutazione di efficacia degli interventi. Esistono sì attività di monitoraggio, da cui si dovrebbe partire per analizzare i risultati raggiunti e per giudicarli, ma non sono sufficienti. Sperimentare nuove soluzioni di contrasto alla povertà significa anche verificare il loro impatto per dare di più e meglio,
con la stessa quantità di risorse. Per fare un esempio, il Rapporto cita la vicenda
degli assegni familiari: il valore complessivo di questa misura è considerevole,
se si conta che nel 2008 sono stati spesi 6.607 milioni di euro. Il beneficio
finale è irrisorio: poco più di 10 euro al mese per ogni beneficiario. Un grande
investimento per un piccolo risultato.
Nel frattempo, chi ci rimette sono le famiglie povere o a rischio di impoverimento,
il cui numero è cresciuto a causa della crisi economica che investe anche il nostro Paese. Sulla base dei dati in possesso delle Caritas diocesane raccolti nei primi mesi del 2009 è possibile evidenziare alcuni aspetti di tendenza della crisi economica attuale. Anzitutto aumenta il numero delle persone che chiedono aiuto alla Caritas: in tutta Italia, dal 2007 al 2008, si registrano incrementi medi di utenza pari a +20%. Così come aumenta la presenza degli italiani: nei centri di ascolto Caritas l’incidenza media degli italiani aumenta di circa il 10%, soprattutto nel Mezzogiorno. Ma la crisi colpisce anche gli immigrati, che tornano a chiedere aiuto alla Caritas anche 6 anni dopo il primo arrivo in Italia. Al Sud, poi, la crisi rischia di incrementare ulteriormente il rischio usura: il sovraindebitamento delle famiglie, il difficile accesso al credito, il crollo della borsa, il boom delle carte di credito revolving e del gioco d’azzardo, la rateizzazione delle imposte, rischiano di far scivolare migliaia di famiglie nella rete dell’usura.
Come è noto, inoltre, in tempi di crisi c’è meno spazio per lo studio e la cultura. La crisi economica e reddituale delle famiglie si scaricherà con ogni probabilità sugli studi universitari dei giovani: vi è il concreto rischio, nel medio lungo periodo, di una ricaduta “classista” sugli studi, con conseguenze pesanti sulle nuove generazioni.
Infine, la crisi economica comporta sempre meno soldi per contrastare le povertà estreme: le difficoltà di bilancio degli enti locali stanno determinando una contrazione/eliminazione di alcuni servizi sociali essenziali. A questo si aggiunge la diminuzione delle donazioni e delle offerte delle famiglie. Il rischio è che i “poveri estremi” peggiorino ulteriormente le proprie condizioni economiche.
Infine, un dato nuovo il Rapporto lo fornisce su quelle situazioni di povertà che non si rivolgono ai centri di ascolto Caritas e sui motivi di tale assenza.
Interrogando gli operatori di tali centri, si scopre che nel 52,8% dei casi, le famiglie italiane non si rivolgono alla Caritas per “orgoglio”, “vergogna” o “dignità”. Sono atteggiamenti molto diffusi tra le “nuove famiglie povere”, che non accettano e riconoscono la situazione (spesso improvvisa) di povertà. Per queste famiglie, la richiesta di aiuto è vista come l’ammissione di un fallimento, e la conferma che si è “scesi di un gradino” nella scala sociale. Che cosa fare dunque? Ribadendo una strada già indicata nei precedenti rapporti, Caritas Italiana e Fondazione Zancan propongono di trasformare gli attuali trasferimenti monetari (o parte di essi) in servizi da erogare alle famiglie a basso reddito con figli, a titolo gratuito o con una significativa riduzione del costo di fruizione (oggi, ad esempio, la retta mensile per l’asilo nido può incidere dal 9% al 16% sul reddito di una famiglia composta da 4 persone). Accanto a questo, si potrebbero adottare politiche di diverso utilizzo dei fondi disponibili per aumentarne il rendimento, riallocare le risorse ottenute, rafforzare la rete dei servizi per la famiglia, ridurre i loro costi, aumentando
l’occupabilità nell’area dei servizi per la famiglia.
Due anni fa, il Rapporto si intitolava “Rassegnarsi alla povertà?”. Il Rapporto di quest’anno ci dice che uscire dalla povertà è possibile e che oggi può essere un traguardo alla portata delle molte persone e famiglie che hanno interesse e necessità di uscirne.

Fonte: “La San Vincenzo in Italia” – num. ottobre ’09

Tags:

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

VinFlix

VFO