La Parola per la Chiesa 201

da | Nov 15, 2009 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

XXXIII domenica del Tempo Ordinario

Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno
A cura di p. Giorgio

Dn 12,1-3

Sal.15

Eb 10,11-14.18

Mc 13,24-32

Tematica liturgica

La conclusione dell’anno liturgico è prossima: questa è la penultima domenica. Il Lezionario presenta la tematica classica, ormai cara alla tradizione cristiana, della parusia (= ritorno finale) di Gesù e della fine del mondo. Il ritorno ultimo di Gesù, Figlio dell’uomo e giudice, sarà salvezza per i suoi discepoli (Mc 13,24-32).
Costoro, dunque, non devono angustiarsi in calcoli umani. I tempi della salvezza e il tempo della fine appartengono ai kairoi (tempi particolari e determinati) di Dio. All’uomo spetta solo di essere pronto ad accoglierli, non a calcolarli. Quando il Figlio dell’uomo verrà, i suoi discepoli risorgeranno e si troveranno scritti nel libro della vita perché hanno operato per la conversione propria e altrui (cf. la prima lettura: Dn 12,1-3). Sostenuti dalla fiducia, dall’atteggiamento di attesa accogliente e dalla speranza, essi gioiranno per sempre con il loro Signore (cf. la Colletta propria).

Dimensione letteraria

Dal discorso escatologico – apocalittico di Mc 13,5-37 la liturgia ritaglia solo pochi versetti come lettura evangelica: Mc 13,24-32. Il brano che ne risulta è composto da due pericopi: la venuta del Figlio dell’uomo (vv. 24-27) e la certezza che l’evento è imminente (vv. 28-31).
L’ultimo versetto, il v. 32, è variamente giudicato. Alcuni pensano che sia la conclusione di Mc 13,28-31. Altri, invece, ritengono che sia l’introduzione del brano successivo, Mc 13,32-37 che tocca il tema dell’incertezza del momento esatto. La liturgia ha preferito la prima ipotesi e, quindi, vede il v. 32 come parte integrante della parabola del fico e come risposta di Gesù alla domanda di Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea: «Dicci quando accadrà questo … » (Mc 13,4a).

Esegesi biblico – liturgica

a. Attraverso citazioni e allusioni bibliche veterotestamentarie (cf. Is 13,10; 34,4; Gl 2,10-11; ecc.) l’evangelista descrive lo scenario apocalittico nel quale comparirà il Figlio dell’uomo. Come all’inizio della Genesi (Gen 1,1-3) le tenebre precedettero la prima opera della creazione, cioè la luce, così la fine del mondo viene vista come l’inverso della creazione: i fenomeni cosmi ci pongono fine agli elementi che illuminano l’universo (sole, luna, astri).
Gesù, che si autodefinisce «Figlio dell’uomo», ritorna per giudicare gli uomini. Marco sfuma il tema del giudizio ed evidenzia il ritorno del Figlio come venuta di salvezza per i credenti (influenza della teologia di Enoch: «In quel giorno i giusti e gli eletti sono salvati»). Il giudizio, dunque, appare in Marco come l’ultimo atto del progetto salvifico di Dio.

b. Il paragone del fico (vv. 28-29) coinvolge gli ascoltatori. Come i segni di maturazione del fico annunciano l’imminenza dell’estate, così «queste cose» faranno presagire quanto sta per accadere (cf. tutto il discorso apocalittico e, in modo particolare, la comparsa dell’anticristo).
Con il detto del v. 30 Gesù non intende stabilire quando avverrà la fine. Si tratta, infatti, di un detto con «prospettiva apocalittica» (il tempo tra il presente e il futuro è «schiacciato»). Intende, infatti, affermare che gli avvenimenti profetizzati iniziano già con la distruzione di Gerusalemme. Tale evento anticipa, contiene e riproduce, pur nel limite temporale e geografico, gli avvenimenti che capiteranno a livello cosmico alla fine del mondo.
Da una parte c’è una preoccupazione di Gesù perché la comunità cristiana si tenga sempre pronta a questo incontro con il Figlio salvatore, dall’altra c’è la preoccupazione di non avvilire a meschina questione di calendario l’incontro con colui che giudica e salva. La risposta di tipo apocalittico (v. 32) ha proprio questa funzione: non rispondere all’iniziale domanda dei discepoli (Mc 13,4: «Dicci, quando accadrà questo … »), ma affermare la signoria di Dio nella storia dell’uomo e garantire la solidità della parola di Gesù.

Egli è vicino

Certo, il genere letterario del brano evangelico odierno è piuttosto lontano dalla nostra sensibilità e dalla nostra cultura. Certo, non possiamo cancellare in un momento secoli di predicazione che hanno utilizzato l’annuncio della fine di questo mondo a scopo deterrente: per allontanare dal male attraverso la paura del castigo. Certo, il cuore dell’annuncio è la venuta del Figlio dell’uomo «con grande potenza e gloria».
E tuttavia non possiamo fare a meno di osservare che se queste parole di Gesù generano in noi più spavento che gioia, più paura che consolazione, un motivo ci deve pur essere …
Forse, alla fin fine ci siamo affezionati al «nido caldo» che ci siamo ritagliati all’interno di questo mondo e della sua storia. Siamo pronti a dolerci di tutto il male, di tutti gli scandali, di tutte le aberrazioni di cui veniamo a conoscenza, ma il nuovo siamo veramente certi di attenderlo e di desiderarlo? E, più in particolare, la sua venuta, il suo ritorno glorioso è proprio in cima ai nostri pensieri? Oppure rappresenta, tutto sommato, un grumo oscuro di cui faremmo volentieri a meno?
Quando si parla dei poveri nel Vangelo, qualcuno esce sempre con la solita domanda: chi sono i poveri? Questo Vangelo fa un po’ da cartina al tornasole: i poveri sono quelli che si rallegrano per la venuta gloriosa del Signore e che gioiscono al pensare che questo mondo con tutte le sue storture – finalmente crollerà per lasciare posto ad un mondo nuovo, a quel cielo nuovo e a quella terra nuova a lungo desiderati.
Sì i poveri si rallegrano, e i ricchi, al contrario (e noi siamo ricchi) almeno un poco si spaventano, provano paura.
Mi metto, per un istante, nei panni di quei cristiani del primo secolo che avevano conosciuto, fin dagli inizi, la persecuzione. Raggiunti, nel profondo della loro prova, da queste parole di Gesù, si sentivano sollevati e trovavano la forza per levare il capo e guardare avanti a loro con speranza …
Mi metto, per un istante, nei panni di quei cristiani di oggi che si sono fatti poveri per difendere i poveri, per annunciare e condividere il vangelo con loro, per vivere con loro e tra loro da fratelli. Di fronte a queste parole il loro cuore non può che sussultare di gioia …
Nel Vangelo di oggi non c’è traccia della parola «castigo» o «giudizio», e allora perché, quando lo si legge insieme, qualcuno va a finire – senza volerlo – proprio lì? Se noi fossimo veramente in una di quelle categorie che Gesù chiama «beate» dovremmo provare più gioia che smarrimento …
Abituati a vivere un cristianesimo, almeno ufficialmente, di «maggioranza», a lasciarci trasportare dalla corrente della tradizione, proviamo tutti una fatica tremenda a remare contro, a puntellarci su certe scelte in nome delle nostre convinzioni, del vangelo, della nostra fede. Questo brano di speranza ci richiama brutalmente alla realtà: questa speranza non è per chi è disposto a dare al Cristo i ritagli della propria esistenza, ma per chi lo mette al centro dei propri pensieri e dei propri progetti.

Fonte: La Parola per la Chiesa, EDB, 2005

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