1° Novembre – Tutti i Santi

da | Nov 1, 2009 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

1° novembre – Tutti i Santi
Beati voi, vostro è il Regno
A cura di p. Giorgio

Ap 7,2-4.9-14

Sal 23

1Gv3,1-3

Mt 5,1-12

Tematica liturgica

a. Il 13 maggio del 609 papa Bonifacio IV consacrava il Pantheon, tempio pagano dedicato a tutti gli dei, e lo trasformava in basilica di S. Maria ad Martyres, dedicandola a Maria e a tutti i martiri. Il 13 maggio divenne la festa di tutti i martiri. Cessate le persecuzioni (e l’era dei martiri) nasceva un nuovo tipo di santità: l’imitazione di Cristo nella pratica eroica delle virtù evangeliche. Tale santità venne chiamata «confessione» e i santi che la vivevano «confessori». Nel 835 la festa venne portata allo di novembre e si ebbe così la festa di tutti i santi (martiri e confessori). I santi non sono superuomini, ma persone che realizzano la loro umanità seguendo la via indicata da Cristo e sintetizzata nelle Beatitudini (Mt 5,1-12a) che la liturgia propone come lettura evangelica per la solennità.

b. Le Beatitudini (Mt 5,1-12) sono un testo evangelico che non finisce mai di stupire. È difficile – a una prima lettura – dire se si tratti di un testo ingenuo o di un testo esigente. Certamente le Beatitudini sono una delle pagine più alte della letteratura (profana e religiosa) mondiale.
La liturgia, attraverso le Beatitudini di Mt 5,1-12, offre il criterio di fondo per comprendere l’identità del cristiano. Non si tratta in senso stretto di una legge. Sembra piuttosto che il testo fornisca il lieto annuncio di ciò che può essere il discepolo di Cristo che ha esperi¬mentato il perdono e la salvezza. Le Beatitudini diventano «vangelo» quando il loro messaggio non viene fatto diventare una «ideologia» a cui l’uomo deve piegarsi. Esse diventano lieto annuncio quando, dietro a ogni loro singola affermazione, si coglie l’identità di Gesù, uomo nuovo, che il credente è chiamato seguire e a imitare.

Dimensione letteraria

Non c’è differenza tra testo biblico e testo biblico – liturgico, se non nell’incipit del testo liturgico. Bisogna tuttavia ricordare che per una interpretazione aderente alla fisionomia del testo, le Beatitudini vanno divise in due parti: le otto Beatitudini alla terza persona plurale (circoscritte dall’inclusione «di essi è il Regno dei cieli») e la nona beatitudine alla seconda persona plurale. Le prime otto, a loro volta, vanno divise in due strofe parallele di quattro unità (la quarta e l’ottava beatitudine hanno lo stesso tema: la giustizia). Questa dimensione letteraria porta a leggere in parallelo il testo: i poveri e i misericordiosi, gli afflitti e i puri di cuore, i miti e gli operatori di pace, coloro che hanno fame e sete di giustizia con coloro che sono perseguitati a causa della giustizia.

Esegesi biblico – liturgica

a. Se la dimensione letteraria ci dice che il povero non può essere tale per il vangelo se non possiede dentro di sé la misericordia, o l’operatore di pace la mitezza, la dimensione teologica abbrevia l’interpretazione, facendo ruota re tutto attorno alla persona di Gesù. Come egli ha vissuto la fatica della povertà, dell’afflizione, della mitezza, ecc.?

b. Il cristiano è santo quando accetta e persegue l’imitazione di Cristo fino a diventare distaccato dai beni, ampio nel condividerli e sobrio nel fruirli, capace di sopportare la solitudine e l’incomprensio¬ne per la sua coerenza nei confronti della fede, profondamente con¬sapevole di essere in mano a Dio in qualunque situazione, continuamente teso al meglio (nella sfera del possibile), ricco di atteggiamen¬ti non sanzionatori verso gli altri, ma comprensivo (non tolleranza amorale, ma capacità di capire), pulito mentalmente e pervaso dalla Parola così tanto da saper cogliere Dio sapienzialmente in ogni circostanza, impegnato nella propria e altrui realizzazione all’interno della realizzazione della comunità e della Chiesa secondo la volontà di Dio, forte nel subire maltrattamenti e morte per la propria fede.

Santi, non perfetti

La santità, è vero, ci spaventa un poco. Troppo distante dalle nostre possibilità, troppo lontana dai nostri sentieri, troppo eroica per le nostre esili forze (e le nostre ripetute debolezze). Ma non sarà tutto frutto di un colossale equivoco? Come conciliare la «moltitudine immensa» di cui parla l’Apocalisse, con una realtà irraggiungibile per i più? Forse l’equivoco nasce dal fatto che troppo spesso abbiamo fatto coin¬cidere la santità con la perfezione, cioè con una condotta sempre e totalmente adeguata alle nostre responsabilità, ai nostri compiti.
La perfezione, diciamo celo con schiettezza, è inarrivabile. E non sempre per ragioni che dipendono da noi. Ognuno si porta dentro fragilità trasmesse da generazioni, smagliature e incrinature che interferiscono sul suo temperamento. Ognuno ha a che fare con un corpo che con i suoi mali e i suoi acciacchi impedisce di fatto una percezione della realtà e una capacità di azione veramente perfette. Basti pensare a quanto una comune influenza riesce a cambiare il nostro umore e il nostro modo di rapportarci agli altri!
Se la santità fosse perfezione si tratterebbe, dunque, di una specie rarissima, praticamente in via di estinzione. Fortunatamente non è così. E forse la beatificazione di papa Pio IX è servita anche a questo: ad affermare, e in modo solenne, che santi non sono coloro che non han¬no sbagliato mai, coloro che sfuggono al giudizio impietoso della storia e a quello ancor più critico dei vicini. No! I santi sono semplicemente coloro che hanno lasciato che Dio facesse qualcosa di bello e di buono, servendosi dell’argilla di cui erano impastati. E si tratta di un’argilla che non produce vasi senza incrinature o sbavature …
Ma è proprio questo il bello: se uno si fida di Dio, se uno gli affida la sua vita, se uno prende sul serio il vangelo di Gesù, accade qualcosa di inspiegabile. Nonostante le sue debolezze, nonostante le zone meno luminose della sua esistenza, Dio costruisce un pezzo importante del suo Regno.
Questa santità, allora, è a portata di mano di tutti. Nessuno può sentirsene escluso a causa di una condizione di partenza che sembra compromettere tutto. Nessuno può dire di non poter offrire nulla a Dio per realizzare i suoi progetti. Nessuno è così scalcinato che Dio non possa realizzare in lui un qualche frammento di bellezza, di pace, di fraternità.
La festa di oggi non è per celebrare i molti santi che in questi ultimi tempi, complice un po’ Giovanni Paolo II, hanno affollato gli altari. È piuttosto per aprirci gli occhi su quella santità quotidiana che permette al mondo di stare in piedi e di andare avanti. Una santità, questa, che non ha mai l’onore delle prime pagine, anche se costituisce la materia prima di ogni autentico progresso umano. Una giornata, quella di oggi, in cui, una volta tanto, non si registra «il rumore di un albero che cade», ma «il silenzio di una foresta che cresce».
Fonte: La Parola per la Chiesa, EDB, 2005

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