XXV domenica del Tempo Ordinario
Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo e il servo di tutti
A cura di p. Giorgio
Sap 2,12.17-20
Sal 53
Gc 3,16-4,3
Mc 9,30-37
Tematica liturgica
Gesù ha incominciato il cammino verso Gerusalemme (verso la sua morte e la sua risurrezione). In questo percorso Gesù, per la seconda volta, preannuncia il suo destino. Egli è il giusto (cf. prima lettura: Sap 2,17-20), mite e perseguitato, che gli empi vogliono uccidere. Il Lezionario, contro ogni regola di critica letteraria, alla profezia ha associato due logia: uno riguardante il servizio, l’altro l’accoglienza del bambino.
Scegliere di essere discepoli di Cristo, perciò, significa essere disponibili a seguirlo fino al Calvario (= condivisione con lui di ogni nostra sofferenza, materiale e spirituale). Questo atteggiamento si traduce nell’umile servizio dell’accoglienza del «bambino» (prototipo del povero, dell’umiliato, del perseguitato, del rassegnato, ecc.)
Dimensione letteraria
Il testo evangelico di Mc 9,30-37 è letterariamente un brano delimitato in modo non corretto. I principi di critica letteraria suggeriscono di tagliare la pericope in Mc 9,32 (fine della seconda profezia della passione-risurrezione: «Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni»). Con Mc 9,33 ini¬zia una nuova pericope: il primato come servizio (Mc 9,33-35). Con Mc 9,36 ne inizia un’altra ancora: l’accoglienza dei «bambini» (Mc 9,36-37). Ciò che risulta è un brano evangelico composto da tre pericopi: la profezia (vv. 30-32), il servizio come primato (vv. 33-35), l’accoglienza dei bambini (vv. 36-37). Il Lezionario, dunque, ha voluto di proposito presentare il discepolato cristiano come accoglienza incondizionata di tutta la persona del Maestro (sofferente e glorioso) come giusto mite e perseguitato e, conseguentemente, di tutti coloro che sono «bambini» (giusti, miti e perseguitati).
Esegesi biblico – liturgica
a. Il secondo annuncio della passione-risurrezione (Mc 9,30-31) appartiene alla tradizione premarciana. Ciò che va sottolineato sono il titolo di Figlio dell’uomo e il verbo paradìdotai-viene consegnato.
Il titolo «Figlio dell’uomo» non va letto nell’ottica del libro di Daniele (Figlio dell’uomo come colui che detiene il potere e giudica gli uomini e la storia), ma di quello di Enoc (Figlio dell’uomo come «giusto» che, nel tempo escatologico, viene abbandonato da Dio che successivamente lo farà risorgere: cf. Enoc etiop. 38,2; 53,6; 71,14.16). La passione e la morte, come la risurrezione, fanno dunque parte di un disegno salvifico divino che i discepoli non mostrano di essere in gra¬do di capire.
b. La reazione di Gesù è sapienziale. Riprende con pazienza l’istruzione dei discepoli (Mc 9,35-37). Qualunque sia il significato che si vuoi attribuire alla discussione dei discepoli, la risposta di Gesù («Se uno vuoI essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti») si articola su due concetti di fondo.
II primo è un’allusione al servo sofferente («servo»): chi vuol essere il primo accetti di imitare il Maestro che sta andando a morire. Ciò che fa grande il cristiano non è l’umiltà in sé, ma l’umiltà tradotta in servizio. Il servizio è destinato a «tutti» («servo di tutti»). Ciò toglie il servizio umile da qualunque tentazione di ideologia (il «povero» è quello senza soldi o quello senza fede, il portatore di handicap o l’ignorante, l’abbandonato o il malato?).
c. Gesù afferma che nel bambino (piccolo, indifeso, ricco di lacune e manchevolezze, pieno di aspetti immaturi, ecc.) è misteriosamente presente Gesù stesso e, addirittura, Dio Padre. Dio, dunque, è presente lì dove i discepoli potrebbero pensare di incontrare solo in¬completezza, limite e inutilità (come nel bambino, così anche nella sofferenza e nella morte del Messia sofferente).
Non capivano
Il Vangelo di questa domenica ci mostra Gesù che percorre assieme ai suoi discepoli la Galilea, diretto a Gerusalemme. Non è un viaggio qualsiasi: a Gerusalemme i capi dei sacerdoti sono forti e riescono a raggiungere i loro scopi. Gesù valuta il rischio, ma non vuole sottrarsi alla sua missione, anche se mette in pericolo la sua vita. Le sue parole sono cariche di drammaticità: «Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno …».
E gli apostoli come vivono questi momenti? Come partecipano alla sua decisione? Marco, a questo proposito, ci presenta un Gesù solo. Proprio quelli che gli stanno vicino, proprio quelli che dovrebbero conoscerlo, proprio quelli che dovrebbero condividere questo momento difficile, non capiscono, presi come sono da altri calcoli. Anzi, sembra quasi che siano diventati sordi e muti. Gesù li «istruiva», ma essi «non comprendevano» e avevano addirittura «timore di chiedergli spiega¬zioni». Davanti alla domanda di Gesù: «Di che cosa stavate discuten¬do lungo la via?», essi «tacevano».
Sordi e muti davanti ad un mistero di sofferenza, di passione e di morte che incombe su Gesù. Sordi e muti davanti ad una realtà che sembra loro impossibile … Eppure, a distanza di duemila anni, io avverto dentro di me la stessa sensazione. È difficile capire, ed è ancor più difficile accettare.
Accettare che Dio non si riveli nella potenza, nella forza, sbaragliando i suoi avversari, procedendo in un cammino trionfale che non si arresta davanti a nessun ostacolo e che spazza via qualsiasi resistenza. Accettare che Dio scelga la strada dell’amore, della debolezza, di colui che «è consegnato» nelle mani degli uomini e non di colui che obbliga gli uomini a «consegnarsi» a lui.
Accettare – e questo mi risulta ancor più duro – che questa sia la strada di ogni discepolo, chiamato ad essere «l’ultimo di tutti e il servo di tutti». Accettare di perdere la propria vita, di morire all’orgoglio, alla voglia di prevalere, di primeggiare, accettare che la propria esistenza possa addirittura essere considerata vana – una sconfitta, un fallimento – pur di restare fedeli a questo modo di amare che Gesù ci insegna.
E mi domando: perché è particolarmente difficile tutto questo?
Non è forse perché la mia fiducia in Dio rimane, tutto sommato, limitata? Non è forse perché la mia esistenza è puntellata su alcune forme più o meno larvate di sicurezza? Non è forse perché mi si chiede di abbandonarmi in modo inequivocabile nelle braccia di Dio, sicuro che lui non mi abbandonerà, che al terzo giorno ci sarà una risurrezione?
lo che so come è andata a finire, io che so che dopo la passione c’è stata la risurrezione, mi trovo, proprio come gli apostoli, di fronte a questo macigno: solo fidandomi di Dio, solo affidandomi al suo Cristo, posso superarlo e camminare verso la mia Gerusalemme senza paura.
Fonte: La Parola per la chiesa, EDB, 2005. “
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