La Parola per la Chiesa 200

da | Nov 8, 2009 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

XXXII domenica del Tempo Ordinario

Insegnamento chiaro per esempi opposti
A cura di p. Giorgio

1Re 17,10-16

Sal 145

Eb 9,24-28

Mc 12,38-44

Tematica liturgica

Il contrasto presentato da Gesù nel brano evangelico di Mc 12,38 – 44 (apparenza/autenticità) fa scaturire il tema della vera fede. Gli scribi vivono la fede con «falsità» e «apparenza», la vedova con «veracità» e «autenticità». La ricchezza dei tanti è offerta del superfluo. L’offerta povera della donna è offerta amorosa e totale della vita. Due concezioni a confronto: Gesù ovviamente si colloca con l’autorità del giudice escatologico a favore della seconda. L’Antico Testamento aveva già in qualche modo anticipato il Vangelo in 1Re 17,10 – 16. Tuttavia la ricchezza della pericope veterotestamentaria va riconosciuta lì dove l’autenticità del dono della vedova di Zarepta avviene su invito e incoraggiamento della parola di Dio e non per generosità spontanea. È come dire che la fede della vedova del tempio nasce e si manifesta perché alle spalle c’è una forza nascosta che la guida: la Parola.

Dimensione letteraria

Il testo biblico di Mc 12,38 – 44 dice: «Diceva loro mentre insegnava: – Guardatevi … ». Il testo greco, invece, ha: «E nel suo insegnamento diceva: – Guardatevi … ». Il Lezionario annuncia: «In quel tempo, Gesù diceva alla folla, mentre insegnava: – Guardatevi … ». Se il Lezionario avesse accettato la dicitura italiana, il pronome «loro» sarebbe rimasto in una grande ambiguità perché nella liturgia manca il contesto biblico originale della pericope. La scelta del Lezionario sottolinea come in questo caso l’insegnamento di Gesù sia rivolto a tutti con l’apertura massima che si possa concepire: così infatti vuole il testo greco.

Esegesi – biblico – liturgica

a. La pericope procede, come già visto, per parallelismi. Ciò che li lega è il tema della ricchezza. Ciò che li pone in antitesi (opposizione) è l’atteggiamento interiore. Gli scribi dimostrano di avere un senso di accaparramento e di possesso insaziabile. Sul piano della psiche la loro insaziabilità di possesso si caratterizza nel voler «catturare a tutti i costi» l’attenzione, la riverenza, l’ossequio da parte degli altri. Ciò li porta a vestirsi in un certo modo (non come gli altri), a collocarsi al centro dell’attenzione altrui sia in ambito religioso sia in ambito sociale. La descrizione fatta da Gesù è finissima perché con brevi pennellate colloca questi personaggi su quella sottilissima linea di demarcazione tra il solenne e il ridicolo. Sul piano della prassi la descrizione è concretamente brutale: da una parte c’è un comportamento immorale verso la persona socialmente più debole (la vedova) e dall’altra un comportamento immorale verso la realtà più profonda nell’incontro con Dio («ostentare» la preghiera). Questi sono i «ricchi», nome che non indica una componente sociale, ma una malattia dello spirito.

b. La povera vedova, all’opposto, dimostra di avere una libertà e un distacco nobile e superiore. Prima di tutto essa è «povera», non è «ricca»; non possiede. Non è, però, psicologicamente vuota e bisognosa di riempire il proprio mondo interiore con il possesso dell’attenzione, della riverenza e dell’ossequio altrui. Poi è «vedova»: si tratta di una persona che ha subito le angherie degli scribi («divorano le case delle vedove»). Eppure in questa persona non c’è il minimo accenno al risentimento e alla vendetta: il povero evangelico – come Gesù – non ha questi sentimenti. La persona della povera vedova, invece, è caratterizzata dal possesso di due spiccioli, non superflui, ma necessari per vivere. Eppure il suo senso di libertà e di distacco la porta a fidarsi totalmente di Dio tanto da donare a Dio anche il necessario per vivere.

c. Due sono gli atteggiamenti presentati per antitesi, ma chiaramente giudicati da Gesù. Il primo, quello degli scribi, non solo non è tollerabile, ma viene addirittura condannato severamente. Per antitesi, il comportamento della vedova («ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri») è il comportamento approvato ampiamente. È vero che nell’antitesi scribi/vedova c’è il paradosso. Ma nessuno può dire che l’insegnamento di Gesù non sia chiaro.

Tutto quello che aveva

Quante volte i missionari ci raccontano i miracoli che sanno fare i poveri: miracoli di solidarietà, di fraternità, di generosità. Davanti alla disgrazia che colpisce uno di loro, davanti alle difficoltà di una famiglia che non sa più dove sbattere la testa, davanti alla necessità di un ricovero urgente e a medicine costose, il poco che ognuno ha riesce a risolvere un problema che sembrava insolubile. Ma attenti: quel poco, per molti di loro, è tutto. Tutto quello che c’è a disposizione, tutto quello che può costituire una qualche sicurezza, tutto quello che può allontanare lo spettro della fame per domani. Per questo parlano di miracolo: il gesto prodigioso di chi ama veramente e dà tutto, non il superfluo. Come hanno fatto tante madri nelle epoche buie della miseria: si tiravano via il pane di bocca, per nutrire i propri figli.
Quando i ricchi facevano offerte consistenti per il tesoro del Tempio, si usava suonare la tromba per segnalare la loro generosità, per sottolineare il loro gesto. Ma le monete pesanti, di per sé, facevano tutto il rumore necessario per attirare l’attenzione. Gesù non bada al suono più o meno forte delle monete e segnala con la sua parola un gesto che sarebbe passato inosservato. Forse perché Gesù vede quello che sfugge agli occhi dei più: la generosità, l’amore, che è la parte più consistente di ogni dono. Forse perché Gesù sa riconoscere ed apprezzare ogni momento in cui ci lasciamo afferrare dallo slancio della bontà, senza fare tanti conti …
A noi, figli dell’occidente, immersi nel consumismo, gonfi di superfluo, che cosa dice il Vangelo di questa domenica? Ci rimanda, inevitabilmente, a considerare quello che doniamo: le frattaglie del nostro superfluo, gli spiccioli dei nostri patrimoni, gli avanzi delle nostre mense e dei nostri armadi o il necessario, «tutto quello che abbiamo per vivere»?
La Chiesa italiana, in occasione del Giubileo, ha lanciato la «Campagna per la remissione del debito estero»: è stata un’occasione in più che ci veniva offerta, un’occasione di non poco conto per verificare quanto «pesa» il nostro amore, quanto spirito di fraternità abbiamo verso quelli che sono strangolati da un sistema che impedisce loro di uscire dal gorgo della miseria. Il calcolo fatto all’epoca dalla Caritas poteva apparire ingenuo: 600 milioni di lire per rimettere i debiti che lo Zambia e la Guinea Conakry hanno contratto con l’Italia. 2.000 lire per ogni abitante della diocesi. Chi non poteva dare 2.000 lire? Bastava rinunciare al quotidiano per due giorni, a due caffè nella pausa di lavoro, a qualche figurina o a qualche caramella se si trattava di bambini. Rinunciando ad un dopobarba si pagava la quota di almeno 20/30 persone, e altrettanto – se non di più – se si decideva di non comprare la crema anticellulite. E non stiamo parlando del pranzo fondamentale di una giornata, né di medicine necessarie per curare i nostri acciacchi, né della quota di benzina che ci serve per andare a lavorare …

Fonte: La Parola per la Chiesa, EDB, 2005

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