Il 10 dicembre si celebra la festa del Beato Marcantonio Durando

da | Dic 9, 2024 | Formazione vincenziana, Santi e Beati | 0 commenti

Marcantonio Durando (1801-1880) è stato un sacerdote e missionario italiano della Congregazione della Missione. Dedito alle missioni popolari e alla cura dei più bisognosi, fondò le Figlie della Passione di Gesù Nazareno per servire i malati e i poveri. La sua eredità è caratterizzata da una profonda compassione e da un fermo impegno nella carità e nella formazione spirituale in Italia.

Breve vita del Beato Marcantonio Durando (1801-1880)

1. La famiglia: infanzia e gioventù

I Durando erano una famiglia rispettata e ricca di Mondovì. Ebbero dieci figli, di cui due morirono in tenera età. Marcantonio nacque il 22 maggio 1801. L’atmosfera familiare era di liberalismo contaminato da laicismo, anche se non sempre da vero e proprio anticlericalismo. La madre, Angela Vinaj, era però molto religiosa e ricca di virtù cristiane, e non c’è dubbio che abbia avuto una grande influenza sul figlio Marcantonio. Si preoccupò di educarlo con più attenzione, perché rilevava in lui una vera apertura.

Lo stile di vita di Marcantonio fu chiaramente segnato dall’influenza della madre. A questo si deve il suo ingresso nel seminario diocesano di Mondovì all’età di 14 anni, per iniziare filosofia e teologia. Il suo eccezionale grado di maturità fa pensare che già in quella fase della sua formazione stesse valutando altre possibilità per dedicare la sua vita al regno del Signore. Infatti, la sua partenza per il noviziato dei sacerdoti della Missione, all’età di 17 anni, avvenne più o meno improvvisamente. Era un giovane orante e riflessivo. Sappiamo che la sua decisione di entrare nella Congregazione della Missione era dovuta al desiderio di essere missionario in Cina. A quel tempo i Vincenziani avevano una missione molto estesa e fiorente che, di tanto in tanto, sperimentava la persecuzione anticristiana.

Una volta terminato il primo anno di noviziato, fu mandato a riprendere la teologia nel seminario di Sarzana, dove lavoravano i Vincenziani. Il superiore del noviziato inviò una relazione su di lui al superiore del seminario, in cui diceva:

Fratel Durando è una persona di altissima qualità sotto tutti i punti di vista, ed è chiaramente inviato da Dio per le necessità attuali della Congregazione… È calmo, è sistematico, è rispettoso e umile; quindi, spero che sarete molto soddisfatti di lui.

Nel 1822 ci fu una breve interruzione dei suoi studi, per due motivi. La sua salute non era molto buona in quel periodo e la madre morì. Egli ne risentì più dei suoi fratelli. Questo periodo lo rafforzò e lo preparò all’ordinazione sacerdotale. Fu ordinato nella cattedrale di Fossano il 12 giugno 1824.

La sua richiesta più volte reiterata di essere inviato in missione all’estero non fu accolta dai suoi superiori. Essi volevano che rimanesse a casa per il ministero delle missioni parrocchiali, comprese quelle nelle zone rurali, e per i ritiri del clero.

Il suo zelo era instancabile ma equilibrato. La sua preparazione, la sua vita interiore e la sua eloquenza contribuirono in modo decisivo al rinvigorimento in Piemonte di questi due ministeri primari della Congregazione.

Ecco cosa dice una persona della missione di Sommaria, nella diocesi di Torino:

Le prediche erano tenute da p. Durando. L’affluenza agli esercizi fu enorme; le osterie rimasero più o meno chiuse per tutta la durata della missione; le confessioni iniziarono il quarto giorno di missione, e i penitenti furono così numerosi che 17 confessori, ascoltati in continuazione, non riuscirono a soddisfare il bisogno e molti dovettero recarsi nelle parrocchie vicine […] Il 9 febbraio p. Durando predicò sulla perseveranza; è impossibile per noi descrivere la commozione che si manifestò nell’enorme folla al momento del commiato del predicatore. Nessuno dei presenti riuscì a trattenere il pianto; scoppiarono lacrime e singhiozzi soffocati a tal punto che per un po’ non si riuscì a capire una parola di ciò che il predicatore stava dicendo.

Trascorse sei anni impegnato in questo ministero. Nel 1830 fu nominato superiore della casa di Torino. I problemi da risolvere erano molti, a cominciare dalla riorganizzazione degli alloggi dei sacerdoti. La soppressione delle comunità religiose e la confisca dei loro beni durante il periodo napoleonico avevano sconvolto notevolmente l’organizzazione della vita religiosa. I sacerdoti e i frati avevano dovuto trovare qualche mezzo per mantenersi. Quando la tempesta fu passata e tornò la calma, fu necessario radunare i membri dispersi e fornire loro una casa dove poter riprendere la vita comunitaria. Don Durando riuscì a dare una struttura definitiva alla casa di Torino, che è quella attuale, e la trasformò in un edificio che poteva essere utilizzato per uno dei ministeri più cari a San Vincenzo e più tipici della sua Comunità: le conferenze del clero e i ritiri sia per il clero che per i laici.

Era molto richiesto e apprezzato in tutta Torino come consigliere e direttore di coscienza. L’arcivescovo, il re Carlo Alberto e altre persone di spicco si rivolgevano a lui per avere consigli e indicazioni. A ragione divenne noto come “il piccolo San Vincenzo d’Italia”.

La casa vincenziana di Torino, che era stata un monastero della Visitazione, divenne un punto di riferimento per il clero della città e di tutto il Piemonte. I personaggi più noti di quel notevole periodo di santi torinesi la conoscevano e vi si recavano spesso per raccogliersi in preghiera, per ottenere consigli, per prendere decisioni: San Benedetto Cottolengo, San Giuseppe Cafasso, San Giovanni Bosco, San Leonardo Murialdo, il Beato Giuseppe Allamano, e innumerevoli altri, che hanno arricchito la diocesi, e il Piemonte, di un numero enorme di imprese utili e sante.

San Benedetto Cottolengo prese a modello San Vincenzo per le sue imprese e la sua spiritualità. Lo fece patrono del gruppo principale delle sue Suore e anche dei suoi Fratelli. San Giovanni Bosco, quando iniziò il suo ministero della parola stampata, doveva insegnare un mestiere ai suoi giovani di Valdocco e indicare un modo per arrivare alla gente, pubblicò un libro dal titolo: Virtù e perfezionamento cristiano secondo lo spirito di San Vincenzo de’ Paoli. Il sottotitolo era: Un libro per consacrare il mese di luglio in onore di questo Santo. Non sarebbe azzardato dire che don Durando irradiava lo spirito di questo grande santo con semplicità e umiltà.

2. Direttore delle Figlie della Carità: quasi un fondatore

Si impegnò a fondo per portare in Italia le Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli. La sua richiesta fu accolta e il 16 maggio 1833 arrivarono a Torino le prime due Figlie della Carità francesi, con la caratteristica “cornetta” bianca inamidata. In agosto ne arrivarono altre, e da allora in poi altre ancora, a seconda delle necessità. Il numero di vocazioni aumentò rapidamente.

Don Durando si identificò con lo spirito con cui San Vincenzo aveva diretto le sue Figlie. Mise a frutto lo spirito di coraggiosa innovazione che aveva respirato in casa, dove il padre e i fratelli erano rivoluzionari: non rifiutò mai nessuna proposta di impresa caritativa, per quanto rischiosa.

Il re Carlo Alberto gli chiese di provvedere a delle suore per l’Ospedale Militare. Le mandò lì, con grande scandalo di non pochi sacerdoti, e le inviò anche negli ospedali militari da campo durante le guerre del Risorgimento. A partire dalla prima, durante la quale le suore curarono i feriti e il fratello Giovanni, generale, combatté al fianco di Carlo Alberto. Le Figlie della Carità parteciparono anche alla spedizione in Crimea.

Questo grande servizio, insieme a molti altri resi dalle Figlie della Carità, fece una grande impressione a Carlo Alberto e aumentò la sua ammirazione per Padre Durando e le Figlie. Tra lo stupore del pubblico, Carlo Alberto fu visto recarsi nell’enorme convento di San Salvario, già occupato dalle Figlie di Maria, e consegnarne le chiavi alle Figlie della Carità. Questa divenne la loro Casa Provinciale, grande abbastanza per tutte le loro opere, sia interne che esterne. È una sorta di Palazzo Vaticano, e ancora oggi testimonia l’apprezzamento del Re per la Comunità Vincenziana e il suo superiore.

3. Le Unità di Misericordia

Queste Unità di Misericordia, Le Misericordie, erano, nella Torino del XIX secolo, l’equivalente delle charités di San Vincenzo a Parigi. Poiché le prime suore presero il nome da queste, e furono chiamate Les Filles de la Charité, le successive suore torinesi furono conosciute come Le Suore della Misericordia.

Le Unità di Misericordia erano l’opera principale delle Dame di Carità, che le sostenevano finanziariamente. Le Figlie della Carità erano il braccio che le spingeva avanti, ma il Beato Durando ne era la mente.

Le Unità della Misericordia erano veri e propri centri privati di assistenza sociale, dove un povero trovava non solo una zuppa calda in inverno, un guardaroba di vestiti da scegliere e cure mediche di base, ma spesso anche un lavoro. Soprattutto, però, ha incontrato tanta cordialità e carità cristiana. Non si trattava di un aiuto dato con un motivo nascosto, ma di amore cristiano, che livellava le differenze sociali.

Con il passare del tempo, attorno a questi centri si sono sviluppate diverse altre opere, come rifugi per bambini provenienti da ambienti poveri o trascurati perché le loro madri lavoravano, orfanotrofi, piccole case di cura per anziani, visite domiciliari a poveri e malati, ecc.

La prima Unità di Misericordia fu quella di San Francesco di Paola (1836), che si occupava anche dei poveri della parrocchia di Sant’Eusebio, all’epoca chiamata San Filippo per la presenza degli Oratoriani di San Filippo. Questa unità era conosciuta anche con un terzo nome, Le Cascine, perché operava nelle pertinenze del palazzo Alfieri-Carrù, non lontano dal centro di Milano.

Le suore a tempo pieno, che vivevano nelle Unità di Misericordia per essere sempre reperibili per chi aveva bisogno di loro, erano povere come coloro che aiutavano. Molti anni dopo una di loro disse questo di Marcantonio Durando:

Questo buon Padre veniva a trovarci ogni settimana. In un’occasione notò che ero di cattivo umore. Con la sua solita gentilezza mi prese in disparte e mi chiese qual era il problema. Gli risposi: “Padre, non abbiamo nemmeno gli strofinacci per lavarci la faccia! … Non abbiamo spolverini per pulire i mobili, né strofinacci per pulire le pentole. Dobbiamo accontentarci della carta, e non abbiamo nemmeno quella!”. Il buon Padre disse: “Povera ragazza, mi dispiace per te! Stia certa che provvederò a tutto questo!”. Il giorno seguente arrivò un uomo con un carico di vecchie soutanes con cui potevamo fare gli spolverini, un pezzo di stoffa spessa con cui fare i panni per pulire le pentole e una dozzina di bellissimi strofinacci per lavarci il viso. Chi poteva immaginare la mia felicità e quella dei miei compagni?

La visita ai poveri nelle loro case rese le Figlie della Carità consapevoli di altri bisogni che dovevano essere soddisfatti. In particolare, c’erano due tipi di persone che avevano bisogno soprattutto di una casa e di una famiglia. Si trattava di donne anziane che non avevano nessuno che si prendesse cura di loro e di giovani ragazze le cui madri lavoratrici non potevano occuparsi di loro.

Su suggerimento di Marcantonio Durando, la contessa Alfieri fu ben lieta di porre rimedio a queste necessità e istituì, nella propria casa, un “mini-ospedale” per le donne anziane e un rifugio, scuola e laboratorio per le ragazze, sia bambine che adolescenti.

Il motore di tutta questa attività era p. Durando, e spesso era anche il benefattore più generoso. Suor Mattaccheo ha scritto di questi inizi:

Era il presidente della casa della Misericordia. Ricordo che tutte quelle donne, impegnate nei lavori della casa, non muovevano una foglia senza che il Padre se ne accorgesse.

Una delle migliori Unità di Misericordia a tutto tondo è stata la prima, quella di San Massimo e della Madonna degli Angeli. Fu fondata nel 1854 ed era diretta dalla Serva di Dio Sr. Maria Clarac. Durante l’inverno questa unità distribuiva fino a 14.000 porzioni di minestra. Il suo rifugio accoglieva fino a 400 bambini.

Dopo la prima Unità di Misericordia nella parrocchia di San Massimo, nel 1856 ne fu aperta un’altra a San Salvario e nel 1865 l’Unità di Misericordia di San Carlo fu separata da quella di Le Cascine. La Serva di Dio Luigia Borgiotti contribuì generosamente a questa fondazione. In quel periodo stava collaborando con P. Durando alla fondazione delle Suore Nazarene.

Dieci anni dopo, nel 1874, fu aperto un altro reparto di Misericordia. Si trattava dell’Istituto dei SS. Angeli, piuttosto distante dal centro di Torino, sull’altra sponda del Po.

L’ultimo centro di assistenza fu aperto da don Durando nel 1879, poco prima della sua morte. Si trovava ancora una volta nella parrocchia di San Massimo, in via S. Lazzaro (l’attuale via dei Mille), e si chiamava Unità di Misericordia San Massimo Due. All’inaugurazione erano presenti almeno 200 signore del Gruppo San Massimo con don Durando.

In questo modo Torino aveva una vera e propria rete di opere di carità a cui i poveri potevano liberamente rivolgersi, sapendo che sarebbero stati accolti e aiutati.

Nel verbale dell’Unità di Misericordia San Carlo del 1880 si parla della morte di p. Durando: A Torino fu il vero iniziatore delle associazioni di misericordia.

Non si può che aderire con gioia a questa opinione. Il lavoro svolto in tanti anni di assidua attività da questi centri di carità vincenziana lascerà in qualche modo una scia luminosa nell’acqua da cui è scaturito.

4. I figli di Maria (1856)

Nelle apparizioni della Medaglia Miracolosa a Parigi nel 1830 la Madonna chiese a Caterina Labouré questa Associazione. Pio IX la approvò solo nel 1846, e fu introdotta in Italia da P. Durando nel 1856 per le ragazze che risiedevano, e per quelle che venivano al laboratorio, nell’Unità di Misericordia Le Cascine, l’Istituto Alfieri-Carrù.

Lo scopo di questa associazione non era precisamente la carità verso i poveri, ma piuttosto la formazione cristiana e mariana dei giovani. Alla costituzione del primo gruppo ne seguirono molti altri, e don Durando ebbe un forte aiuto dai suoi confratelli in questo ministero. Si può dire che in ogni centro per giovani gestito dalle Figlie della Carità si creava l’associazione dei Figli di Maria. Queste associazioni avevano un effetto profondo sulla formazione spirituale dei giovani. Erano veri e propri vivai di vocazioni religiose, di madri di famiglia devote e di donne apostole nella vita quotidiana.

5. Visitatore della Provincia dell’Alta Italia

Nel 1837 fu nominato Visitatore della Provincia dell’Alta Italia, allora conosciuta come Provincia di Lombardia. A quei tempi, una nomina del genere, e per una persona così giovane, era sicuramente qualcosa di insolito. Dimostrava la reputazione che era cresciuta intorno a lui nel breve periodo in cui era stato superiore della casa centrale di Torino.

Sette erano le case, in cui si svolgevano con dedizione diversi ministeri: missioni parrocchiali, ritiri, formazione di novizi e studenti, a Torino, Genova e Casale Monferrato. Avevano il ministero della formazione al sacerdozio secolare nel Collegio Alberoni di Piacenza, nel proprio collegio di Sarzana e nel Collegio di Savona.

Alla morte di Durando il numero delle case era quasi raddoppiato. Le nuove case si trovavano a Mondovì, Scarnafigi, nel collegio Brignole-Sale di Genova, nella Casa della Pace di Chieri, a Casale Monferrato, Cagliari e Sassari.

L’elenco si può scorrere rapidamente, ma il povero p. Durando ha dovuto percorrere una preoccupante e dolorosa Via Crucis a causa della tempesta provocata dalla soppressione delle comunità religiose il 3 luglio 1866!

Insieme alla soppressione c’era anche, ovviamente, la confisca di tutti i beni, case e possedimenti. Questo significa che Durando dovette riacquistare, in vari modi, ogni casa confiscata, una per una.

Bisogna anche tenere presente che l’operazione di riacquisto di ogni singola casa, così come l’enorme esborso finanziario che comportava, era un’enorme preoccupazione per p. Durando. Egli non poteva lasciare in eredità le case e i beni alla Comunità, perché questa era legalmente soppressa, ma doveva lasciarli a singole persone, con tutti i rischi e le spese connesse all’eredità.

6. Durante i “problemi” del Risorgimento italiano

Le vicende risorgimentali coinvolgono p. Marcantonio Durando, perché fratello del generale Giovanni Durando. Quest’ultimo era un generale dissenziente che guidò l’esercito pontificio nella prima guerra d’indipendenza, combattendo eroicamente in Crimea, a San Martino della Battaglia e a Custoza. Era anche fratello del generale Giacomo Durando, giornalista, che sostenne la lunga serie di leggi repressive sulle proprietà ecclesiastiche e sul funzionamento delle comunità religiose. Fu ministro del governo Rattazzi dal marzo al dicembre 1862. Don Marcantonio non rinunciò mai a consigliare e ammonire i suoi confratelli quando prendevano posizioni estreme, soprattutto se anticlericali. Scrive al fratello Giacomo nel 1857:

Desidero con tutto il cuore la pace tra il governo e la Chiesa, e che si ponga fine a questo disagio in cui ci troviamo continuamente, e che si ponga fine, in breve, a questo attacco alla Chiesa, alle sue istituzioni e alle sue regole, e, in breve, che ci sia permesso di vivere e respirare.

E quando, nel 1870, il sostegno della Francia era venuto meno e Roma era stata occupata con la forza, p. Marcantonio gli scrisse una lunga lettera in cui manifestava la sua perplessità per quanto era accaduto e per le intenzioni dei politici e degli uomini al potere in quel momento:

Riflettete, e se il vostro cuore disapprova, come sospetto, opponetevi, o almeno parlatene apertamente… Alla vostra età, e alla luce di tutto ciò che avete realizzato, non dovreste avere paura delle chiacchiere di qualche giornale, o di qualche esagerazione…

La sua conclusione è stata:

Amo e desidero la grandezza dell’Italia e, lo ripeto, l’unità raggiunta con mezzi legittimi, e desidero e vedo l’importanza dell’indipendenza assoluta del Vaticano, intrinseca ed essenziale per il suo splendore, tanto quanto per la grandezza e l’unità dell’Italia!

Forse non si è espresso apertamente, o abbastanza apertamente. Il governo e il parlamento continuarono a esercitare pressioni anticlericali. Con il pretesto che alcuni sacerdoti erano coinvolti nella politica, volevano limitare il ministero del clero. Don Durando ebbe l’impressione che il clero non avesse il coraggio di opporsi. Lo fecero invece i laici, anche i liberali che non avevano una posizione anticlericale preconcetta.

Era inaccettabile che ci fosse questa mancanza di libertà di espressione, soprattutto quando il primo articolo della Costituzione stessa stabiliva che la religione cristiana era quella maggioritaria. Egli scrisse:

O America felice, degli Stati Uniti, dove la libertà è estesa a tutti, e il clero, le comunità religiose, i protestanti, i dissenzienti e i cattolici, si uniscono per formare una sola nazione unita e compatta. Nel nostro caso normalmente non sentiamo né vediamo nulla se non idee, progetti, regolamenti e minuzie avare che non elevano la nazione, non la rendono grande, non incoraggiano la moralità, perché la dimensione religiosa è assente da tutto.

I suoi fratelli, però, conservarono il loro affetto per lui e cercarono persino di aiutarlo. Ciò avvenne soprattutto quando l’amministrazione dell’Italia unita volle estendere a tutta l’Italia le leggi dello Stato sabaudo, comprese le norme repressive. Queste colpirono anche le case della Congregazione nelle Province di Roma e Napoli. Don Marcantonio, spinto anche dalla Curia generale, mise al corrente dei fatti suo fratello Giacoma. Purtroppo, questo non fece molta differenza.

7. Alla scuola di Gesù Crocifisso: Fondatore delle Suore Nazarene

Non è esagerato dire che questa fondazione è stata l’opera principale di p. Durando, anche se più affettuosamente potrebbe essere definita un’opera del cuore.

Le disposizioni della legge ecclesiastica dell’epoca impedivano l’ingresso nella vita consacrata a chiunque fosse nato al di fuori di un matrimonio ecclesiastico; si trattava della classica “irregolarità di nascita”. P. Durando era in contatto con molti istituti per ragazze orfane o nate illegalmente. A quel tempo queste ragazze rimanevano in queste case fino all’età di 21 anni. Sempre più spesso si trovò a incontrare eccellenti giovani donne, educate dalle suore, che si sentivano chiamate alla vita religiosa. Naturalmente, esse consultavano il sacerdote che conoscevano meglio, don Durando. Molte volte cercò, senza successo, di farle accettare in varie comunità. Risolse questa situazione con lo stesso coraggio e iniziativa che aveva dimostrato nell’inviare le suore sul campo di battaglia. In occasione della ricezione dell’abito da parte delle prime suore, egli stesso ne parlò con parole che ancora oggi, a distanza di 136 anni, toccano e scuotono il cuore:

27 settembre 1866

Sono ormai diversi anni, vedete, che alcuni di voi si sono rivolti alla mia povera protezione per avere un sostegno nel tentativo di essere ammessi in qualche comunità religiosa. Ho fatto del mio meglio per sostenervi, facendo raccomandazioni, proposte, suggerendo consigli, ma ogni mia iniziativa è stata infruttuosa, qualunque sia stata la comunità a cui mi sono rivolto, sia a Torino che altrove, tenendo presente il bene spirituale di tutti voi. A causa dell’impossibilità di ottenere un risultato positivo, ho iniziato a riflettere su ciò che riguardava questa attività, al punto che ho avuto difficoltà a togliermelo dalla testa. È successo che, passando da un’idea all’altra, quasi senza farci caso, l’intera questione si è fissata nella mia mente a tal punto che l’ho risolta offrendomi al Signore per questo lavoro al suo servizio.

Stavo già discutendo con me stesso: ma queste povere ragazze, non dovrebbero essere aiutate in qualche modo nel loro desiderio di lasciare il mondo per dedicarsi al servizio di Dio? Non dovrebbe esserci qualche rifugio, qualche struttura di comunità religiosa, tra le tante che esistono a Torino e altrove, che possa o voglia accoglierle? E se si tratta di creare per loro una Compagnia speciale in cui siano accolti, e dove siano un gruppo a parte, che viva una vita santa, virtuosa e cristiana, santificando se stesso e edificando gli altri, ebbene, perché non si potrebbe creare una comunità religiosa? E poi, da chi ricevono la buona ispirazione queste sante giovani donne? Chi suggerisce loro il buon proposito di donarsi a Dio?

Sono sicuramente mossi dalla bontà e dalla volontà di Dio…, e se la questione ha origine in Dio, dovrebbero essere aiutati in questa loro santa idea.

Inoltre, queste ragazze non sono forse destinate al paradiso? Quindi, se vivono una vita santa, le aspetta una bella ricompensa in cielo, che forse molti uomini e donne non avranno, persone magari importanti sulla terra e che avrebbero potuto facilmente entrare in comunità religiose!

Oh, sì! Queste ragazze possono essere, possono diventare, anime elette, care a Dio, più del mio misero io, l’ultimo dei sacri ministri di Dio. In seguito a questi pensieri, e sollecitata dalle vostre ripetute richieste, ho deciso di fidarmi della Provvidenza divina e di dare seguito al buon proposito realizzandolo. Oh! Che disposizione davvero amabile da parte della bontà misericordiosa di Dio verso di voi, mie buone figlie! Oh! La grande grazia della vocazione religiosa! Vi incoraggio, dunque, figlie mie, ad accogliere questo amorevole disegno della Provvidenza divina con la più grande gratitudine, perché, grazie a Dio, essendo stato appianato ogni ostacolo sulla strada della consacrazione al servizio di Dio, potete farlo con grande fervore e zelo duraturo.

È così che è nata la Comunità delle Figlie della Passione di Gesù il Nazareno. Essa è tuttora esistente ed efficace, ed è più semplicemente conosciuta come Suore Nazarene. La nuova Comunità non è nata per rispondere a un bisogno particolare al di fuori di sé, per cui il fondatore non le ha indicato subito un fine preciso. Dopo il suo obiettivo iniziale, che era quello di rendere possibile la vita consacrata per loro, le lanciò con queste parole: Pregate, obbedite e fatevi santi!

Seguendo il modo di agire di San Vincenzo, aspettava i segni della Provvidenza divina. L’assistenza ai malati nelle loro case, notte e giorno, era indicata. Bisogna notare la diversa situazione pastorale di quell’epoca. A quel tempo i poveri finivano la loro vita in ospedale, dove ricevevano un’assistenza spirituale dedicata. Le persone più agiate, invece, venivano assistite a domicilio e normalmente non incontravano né preti né suore. Il ministero delle Suore Nazarene si rivelò subito di grande aiuto per la salvezza delle anime di coloro che aiutavano. Ci sono diverse conversioni famose e leggendarie di persone importanti, che hanno finito i loro giorni completamente cambiati.

Oltre al ministero verso i malati e i bambini abbandonati, p. Durando li introdusse anche alla devozione alla Passione di Gesù, che era già un suo tesoro spirituale. Aveva diffuso questa devozione anche tra il pubblico, e nella chiesa vincenziana di Torino aveva eretto una Cappella della Passione, tuttora popolare.

Voleva lasciare in eredità alle sue figlie un ricco patrimonio di devozione e spiritualità, e le legò a questa devozione con un quarto voto.

8. L’impegno missionario

non era volontà di Dio che io andassi in Cina. Ho messo il mio cuore in pace…. È come dire che il desiderio che lo aveva guidato da giovane a scegliere di entrare in una comunità religiosa, che gli avrebbe permesso di andare in missione all’estero, invece che nel clero secolare, era sempre presente nella sua mente. Quando si presentavano varie situazioni, era questo a determinare le scelte che faceva. Sostenne e fece sostenere ai suoi confratelli la Società per la Propagazione della Fede. Riuscì a farle pervenire 20.000 lire, che il politico Camillo Cavour e suo fratello Gustavo, devoto timorato di Dio, possedevano, ma non riuscivano a decidere a chi di loro appartenessero.

Sotto la guida della Provvidenza aveva ampie possibilità di aiutare le missioni estere. Accoglieva tutte le richieste dei confratelli di essere inviati in missione all’estero e li incoraggiava a chiedere. Non aveva potuto accettare di andare in Etiopia con p. Giustino De Jacobis, ora canonizzato; c’era la possibilità che venisse nominato Prefetto Apostolico. Acconsentì alla partenza per quella regione dei padri Giuseppe Sapeto e Giovanni Stella. Purtroppo non si rivelarono missionari, ma uno divenne un esploratore e l’altro un conquistatore.

Nella storia d’Italia sono ricordati come i precursori dell’espansione coloniale italiana in Eritrea. Ma a fronte di questi “insuccessi” va ricordato che almeno 27 dei suoi missionari partirono per la Siria, l’Abissinia, il Nord America, il Brasile e la Cina, con ottimi risultati. I missionari torinesi, con Felix de Andreis, furono tra i fondatori delle Province Vincenziane negli USA.

Il marchese Brignole Sale, ambasciatore del Piemonte, sindaco di Genova, si ritirò dalla vita pubblica a causa dell’atteggiamento anticlericale del Piemonte, e poté così dedicare la sua attenzione e le sue ricchezze ai progetti che aveva. Insieme alla nobildonna Artemisia Negroni, voleva istituire un seminario per le vocazioni alle missioni estere. Ne affidò la direzione ai Vincenziani di Genova. Padre Durando, in qualità di Visitatore, fu pienamente collaborativo. Il collegio Brignole Sale Negroni era pronto per iniziare il suo lavoro nel 1854. Tre dei 24 seminaristi, non paganti, terminarono gli studi e furono ordinati nel 1858, partendo per la California. Nell’arco di 30 anni dal seminario uscirono 110 sacerdoti. In seguito il collegio accolse seminaristi dall’estero, che vennero in Italia per i loro studi. Alcuni degli ex alunni divennero vescovi e importanti uomini di Chiesa.

9. Una bella replica di San Vincenzo

Dal 1830 al 1880, quando era a Torino, don Marcantonio Durando fu visto come l’iniziatore di un gran numero di progetti, una persona a cui ci si rivolgeva, o ci si sarebbe dovuti rivolgere, per chiedere consiglio, per imparare quale strada intraprendere, e un modello da imitare. Per le sue innate capacità, per la sua profonda spiritualità, per il coinvolgimento della sua famiglia nella scena politica, che lo coinvolgeva e gli conferiva un certo prestigio, e per la sua ampia cerchia di amici, si trovò coinvolto in una serie infinita di intrecci da sciogliere, all’interno della sua stessa comunità, nelle strutture diocesane, nelle comunità religiose e nei difficili rapporti con le autorità civili.

Doveva avere le virtù della cortesia, della gentilezza e dell’umiltà, ma anche della forza e della fermezza, e si sa che queste ultime due virtù sono meno gradite alla gente rispetto alle prime.

E ci sono stati momenti in cui non è stato apprezzato.

Questo lo mostra in una luce realistica e deriva dalla storia piuttosto che da un panegirico. Come tante altre persone, ha dovuto sopportare il gusto amaro di non essere capito e di avere opinioni poco simpatiche. Ci sono stati anche momenti in cui si è sentito scoraggiato.

È stata una fortuna, però, che non abbia mai perso la padronanza di sé. La sua salute mostrava tutti i segni della fragilità, eppure raggiunse gli 80 anni.

Avrebbe voluto lasciare i suoi incarichi di Visitatore e Direttore delle Figlie della Carità, perché l’avanzare dell’età aveva aumentato i suoi disturbi, ma gli fu offerto  l’aiuto di un confratello che lo sollevò da gran parte del lavoro.

Per questo motivo aveva più tempo per la preghiera e il raccoglimento. Curvo per l’età, seduto in poltrona, conservava ancora la sua espressione allegra e gentile. La sua scrivania era ancora piena di lettere da sbrigare.

Nell’estate del 1880 era ancora abbastanza in forze per recarsi a Casale Monferrato e al Collegio di Virle, una delle tante strutture di cui si occupava. Aveva voluto essere presente alla consacrazione dei Figli di Maria, l’associazione che aveva introdotto in Italia.

In seguito, la sua salute peggiorò e si spense verso l’una e mezza del 10 dicembre.

P. Giovanni Rinaldi, superiore della Casa della Pace di Chieri, ha osservato: “Abbiamo perso un altro San Vincenzo”.

Questa idea fu ben accolta da tutti i vincenziani e divenne ampiamente accettata che p. Marcantonio Durando dovesse essere visto come un altro San Vincenzo.

In realtà, se si guarda bene alla sua personalità, al suo stile di intervento, al suo modo di trattare gli affari, alla sua capacità di interpretare il pensiero di San Vincenzo e di metterlo in pratica, anche a distanza di oltre un secolo non si può che condividere questa idea.

Durante le cerimonie per la sua morte sono emersi alcuni fatti sconosciuti. Ad esempio, mons. Fransoni, arcivescovo di Torino, si rivolse a don Durando per la revisione delle Regole dei Salesiani di don Bosco e di quelle dell’Istituto della Carità di Antonio Rosmini. Rosmini era un grande amico dei Vincenziani.

Autore: Un gruppo di Suore Nazarene. – Fonte: Vincentiana, Vol. 47, No. 2: Vincentiana, Vol. 47, No. 2.
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