Proposte per migliorare il reddito di cittadinanza

da | Feb 6, 2019 | Politiche sociali | 0 commenti

Riceviamo e pubblichiamo la nota dell’Alleanza contro la povertà. Obiettivo: rispondere alla multidimensionalità della povertà e valorizzare adeguatamente il contributo dei diversi soggetti istituzionali e sociali

L’Alleanza contro la Povertà in Italia ha già espresso le proprie valutazioni sul Reddito di Cittadinanza (d’ora in avanti RdC) in due precedenti documenti.
Sinteticamente, i principali punti di forza della misura sono, a nostro avviso:

  • lo stanziamento di risorse senza precedenti destinato alla lotta contro la povertà,
  • il conseguente incremento dei nuclei aventi diritto,
  • il maggiore sforzo dedicato alla componente di inclusione lavorativa degli interventi di contrasto alla povertà,
  • l’incremento del fondo servizi sociali a decorrere dal 2020.

I principali punti di debolezza riguardano:

  • i criteri per la distribuzione delle risorse, che danneggiano le persone straniere residenti in Italia, le famiglie con figli e coloro i quali vivono nel nord del Paese,
  • la partenza prematura della misura, le cui concrete conseguenze rischiano di danneggiare i poveri di oggi e di domani,
  • il disegno delle risposte eccessivamente sbilanciato verso la dimensione lavoristica della povertà,
  • un sistema di governance che non valorizza adeguatamente il contributo dei diversi attori, pubblici e privati, impegnati nella lotta contro la povertà.

La presente nota tocca alcuni aspetti sui quali intervenire – a nostro parere – al fine di migliorare la capacità del RdC di rispondere alla multidimensionalità della povertà e di valorizzare adeguatamente il contributo dei diversi soggetti istituzionali e sociali. In premessa, l’Alleanza contro la Povertà desidera, inoltre, esprimere il proprio rammarico per lo scarso coinvolgimento nell’elaborazione della misura. Ciò ha impedito di beneficiare del sapere e dell’esperienza della gran parte degli individui e dei soggetti organizzati quotidianamente a fianco dei poveri, raccolti appunto nell’Alleanza.

1. L’invio iniziale dei nuclei ai servizi

Ci si riferisce all’invio iniziale dei nuclei aventi diritto al RdC ai centri per l’impiego (percorso per il lavoro) o ai servizi sociali comunali (percorso per l’inclusione sociale). Si tratta di un punto al quale dedicare, a nostro parere, particolare attenzione, poiché influenza in modo decisivo l’intero percorso degli utenti.

Per assegnare a ciascuno il percorso più rispondente al proprio bisogno il Rei prevede il pre-assessment di ogni nucleo da parte di operatori sociali specializzati dei Comuni. Questo modello risulta preferibile in via generale. Tuttavia, i servizi sociali comunali non paiono oggi in condizioni di fornire un pre-assessment all’ampia mole di nuova utenza prevista in breve tempo con l’introduzione del RdC. Dunque, almeno nell’immediato, l’invio dei nuclei ai Comuni o ai Cpi per via amministrativa sembra inevitabile.

Pur mantenendo la suddivisione iniziale dell’utenza per via amministrativa, tuttavia, riteniamo auspicabile integrare gli attuali criteri indicati per determinare l’invio ad uno dei due servizi (art 4, comma 5). Questi criteri, infatti, non considerano la multidimensionalità della povertà, essendo riferiti esclusivamente al pronostico di occupabilità dei componenti maggiorenni del nucleo non già occupati e non frequentanti un regolare corso di studi (età tra 18 e 26 anni, l’assenza di occupazione da non più di due anni, l’aver sottoscritto un patto di servizio negli ultimi due anni o essere beneficiario della NASPI). Riteniamo, dunque, opportuno individuare criteri ulteriori che: a) prendano in considerazione aspetti socio-anagrafici, b) si riferiscano ai diversi componenti del nucleo.

Nel breve periodo, inoltre, difficilmente sia i Cpi sia i Comuni potranno prendere in carico tutta la notevole mole di nuovi utenti. Al fine di massimizzare i benefici effetti della fruizione dei servizi per i target più idonei suggeriamo di utilizzare, in una prima fase, i criteri di suddivisione iniziale – opportunamente integrati – per determinare un ordine di priorità temporale nell’invio ai servizi (logica dei codici del pronto soccorso/della gestione delle liste di attesa in sanità).

2.Il coordinamento tra Cpi e Servizi Sociali Comunali

Si ritiene auspicabile facilitare la possibilità che il nucleo o suoi singoli componenti possano, in qualunque momento successivo all’accesso iniziale presso uno dei due soggetti, ricorrere (anche) agli interventi previsti dall’altro, nell’ambito di una progettazione integrata delle risposte.

A tal fine suggeriamo di rafforzare l’attuale previsione della possibilità di ricevere servizi ed interventi sociali per i componenti dei nuclei che approdano ai Cpi (art 4, comma 13), anche dotando questi ultimi di strumenti di valutazione atti a verificare se nei nuclei compaiono esigenze richiedenti interventi sociali.

Evidentemente la necessità di rafforzare la collaborazione tra Cpi e Servizi Sociali Comunali non può essere risolta per via normativa, né solo potenziando una piattaforma digitale di dialogo e cooperazione applicativa. Dunque, il Decreto dovrebbe anche prevedere la predisposizione, in tempi rapidi, di linee guida per il coordinamento tra Cpi e Servizi Sociali Comunali, elaborate di intesa tra Stato e Conferenza delle Regioni.

3. Il welfare locale

È diffuso, nei territori, il timore che il passaggio al RdC vanifichi i faticosi processi di avviamento o rafforzamento della rete locale per il contrasto alla povertà realizzati con il Rei. Si tratta di un rischio da evitare, per non perdere il prezioso lavoro compiuto sinora nei territori.

Il rafforzamento della collaborazione tra Comuni e CPI, dunque, dovrebbe essere parte di una strategia complessiva per la promozione della rete del welfare locale. Una strategia che valorizzi la cooperazione tra i Comuni a livello di Ambito Sociale e poi con tutti i servizi territoriali, e promuova altresì il ruolo del Terzo Settore, nelle sue articolate componenti, nella programmazione e nella realizzazione di una strategia integrata di risposte locali contro la povertà in collaborazione con tutti gli attori della rete.

4. Il ruolo delle Regioni

Solo una sostanziale collaborazione il livello statale e le Regioni permetterà di costruire le condizioni necessarie ai territori per realizzare al meglio il RdC. Bisognerebbe, dunque, non solo riconoscere opportunamente nel Decreto il ruolo delle Regioni nell’architettura istituzionale del nostro Paese ma anche prevedere maggiori modalità di confronto e collaborazione tra le Regioni e lo Stato nei diversi passaggi legati all’implementazione della misura.

Pure cruciale è prevedere il ruolo delle Regioni nella programmazione dei servizi necessari all’attuazione del RdC nel proprio territorio e nella promozione di forme di collaborazione tra i diversi attori pubblici coinvolti nell’attuazione del RdC a livello territoriale (servizi sociali, CpI, istruzione, politiche abitative e salute) così come tra questi e le realtà associative e del terzo settore.

5. I progetti di utilità sociale

L’attuale formulazione dell’art 4, comma 15, dovrebbe essere rivista al fine tanto di rafforzare le tutele rispetto ai rischi insiti in tali progetti quanto di rendere possibile l’effettiva realizzazione delle loro potenzialità. Da una parte, infatti, pare necessario precisare che i progetti non debbono essere in alcun modo sostitutivi di attività retribuite svolte da altri attori e che la loro realizzazione ha natura temporanea. Dall’altra, sembra necessario rendere il vincolo delle 8 ore settimanali flessibile, in base al tipo di progetto e di utenza poiché, per alcune tipologie di interventi si tratta di un limite troppo basso.

Inoltre, gli innumerevoli aspetti legati all’attuazione di tali progetti suggeriscono che la norma rimandi ad un successivo atto amministrativo di dettaglio, in assenza del quale la loro messa in atto da parte dei Comuni sembra assai complessa.

Tags: povertà

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