Molti continuano a donare la loro vita come Gesù e diffondono energie di bene: credono che l’umanità, il capolavoro di Dio, va sempre custodita. Quanti di noi, anche nella stessa Chiesa, ci rendiamo conto del dono gratuito della vita di migliaia di persone che seguono Gesù Cristo, incarnando il Vangelo? Come riconoscere la loro presenza, spesso silenziosa, all’interno del popolo di Dio? Chi sono realmente per la Chiesa le donne e gli uomini consacrati? Per un attimo immaginiamo la società e il popolo di Dio privi della loro presenza: è proprio vero che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce?
Il 31 dicembre 2016 la Chiesa ha registrato 186.581 uomini appartenenti agli Istituti religiosi e Società di vita apostolica, più 9.241 novizi, e 700.655 membri femminili di Istituti religiosi di diritto pontificio, di Istituti secolari di diritto pontificio e di monasteri autonomi femminili, più 22.240 novizie. Un popolo sparso nei continenti, in nome di Gesù Cristo, per essere fratello o sorella di ogni persona incontrata e segno della prossimità di Dio.
Non sempre questi dati richiamano l’attenzione di tutti e, talvolta, gli stessi consacrati, immersi nel popolo di Dio in cammino, rischiano, per mancanza di speranza, di ripiegarsi su se stessi. Si lasciano prendere dalle difficoltà contingenti che penalizzano una visione evangelica della realtà nella globalità e nel frammento. Anche se dall’esterno si può cogliere la preoccupazione di non riuscire a gestire le strutture, per il calo numerico dei consacrati, comunque anche oggi il bene c’è, soprattutto perché ci sono coloro che continuano a dare la vita per Gesù Cristo e i fratelli, portando a tutti l’amore di Dio attraverso gesti semplici, autentici, umani.
Sono donne e uomini consacrati, collocati qua e là, che continuano ad essere segni di speranza, persone capaci di scommettere con passione la loro esistenza con Cristo.
Sono coloro che narrano la bellezza della vita incarnata, abitata dallo Spirito, che prende forma in un corpo dotato di sensi, di affettività, di intelligenza, di emozioni, di sentimenti, di atteggiamenti, di comportamenti, di creatività, di espressività, che riconoscono la bellezza di Dio impressa sul volto di ogni umano. Scandiscono lo scorrere del tempo con una profonda vita di relazione, testimoniando la bellezza della propria umanità liberata e donata nel quotidiano. Considerano il corpo e la corporeità come dono di Dio, “tempio di Dio” (1Cor 3,16), scelto per la sua manifestazione. Si impegnano a divenire persone adulte capaci di esserci in profondità e con fedeltà creativa nella storia di ogni giorno. Scelgono di vivere l’obbedienza nella fede, lasciandosi guidare nella propria vita dalla relazione con Gesù Cristo e dal Vangelo, che apre liberamente all’amore senza confini. In un costante dono di sé fino alla morte, liberandosi di tutto, vivono, lavorano, soffrono, amano sotto il continuo sguardo di Dio che segue con amore il loro cammino, mentre si impegnano a seguire e a imitare in tutto Gesù Cristo.
Vivendo la mistica dell’incontro, orientano il loro cuore e i loro passi verso coloro che soffrono la fame, la nudità, l’ingiustizia, la violenza, verso coloro che sono senza casa o patria, verso i poveri di Dio che aspettano di essere accolti in quanto persone. Condividono la stessa sorte con la speranza nel cuore. Molti lasciano tutto per partire in missione e per condividere la precarietà dei rifiutati della storia ma ricchi di umanità: ancora oggi raggiungono anche luoghi di frontiera spesso insicuri, dove imperversa la guerra. In questi paesi martoriati alcuni condividono con speranza la precarietà dei dimenticati del posto, altri scelgono di rimanere nei monasteri, anche se situati in territori dove imperversa il terrorismo religioso, per offrire luoghi di pace e di dialogo.
Non sono da citare anche nella nostra storia coloro che negli ospedali si prendono cura di tutta persona e non solo della malattia, che nelle scuole curano la formazione integrale della persona, rendendola capace di pensiero libero e critico, di relazioni che costruiscono ponti, attraverso l’accoglienza, il dialogo, il rispetto del singolo e del bene comune?
Come dimenticare coloro che vanno ad accudire le persone sole e abbandonate nelle loro case o che offrono una casa ai senza tetto o a trovare chi giace su un cartone, a portare il loro conforto ai carcerati o un sostegno o a chi non ha punti di riferimento, a chi è allo sbando o a chi cerca modelli di identificazione? Come non pensare a coloro che, sfidando i pericoli, avvicinano donne costrette a vendere sulle strade il proprio corpo, per strapparle dalla tratta e aiutarle a riconoscersi persone e non oggetti? Risuona ancora la voce di chi denuncia il deturpamento del creato, di chi segnala oppressioni, ingiustizie, abbandoni, maltrattamenti, di chi nel silenzio continua a sfamare tante persone. Non mancano coloro che offrono il loro contributo culturale, per costruire con tutti gli uomini e le donne di buona volontà un mondo migliore, evangelico, umano che fa vedere Dio.
Molti continuano a donare la loro vita come Gesù e diffondono energie di bene: credono che l’umanità, il capolavoro di Dio, va sempre custodita. Quanti di noi, anche nella stessa Chiesa, ci rendiamo conto del dono gratuito della vita di migliaia di persone che seguono Gesù Cristo, incarnando il Vangelo? Come riconoscere la loro presenza, spesso silenziosa, all’interno del popolo di Dio? Chi sono realmente per la Chiesa le donne e gli uomini consacrati?
Per un attimo immaginiamo la società e il popolo di Dio privi della loro presenza: è proprio vero che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce?
Diana Papa
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