Pubblichiamo un’intervista al prof. Stefano Zamagni sul volontariato tratta dal il V dossier, la nuova rivista trimestrale (gratuita) edita da Ciessevi, Centro servizi per il volontariato nella provincia di Milano…
Secondo Lei, di che cosa ha bisogno soprattutto il volontariato oggi?
Di una cosa semplicissima, ma allo stesso tempo molto impegnativa. I volontari bisogna mandarli a scuola di reciprocità. Che vuol dire? Significa che non si può pensare che un’associazione di volontariato sia basata soltanto su uno spontaneismo di tipo emozionale. Ecco perché ai volontari bisogna fare lezione. Io faccio sempre questo esempio: a chi vuol diventare prete lo si fa studiare sei o sette anni in seminario; gli insegnano teologia, filosofia, psicologia, esegesi, ecc. Con ciò intendo rimarcare che non basta che una persona affermi “io ho la vocazione di fare il prete e mi fate diventare prete”. Così come non può essere sufficiente che una persona dica “io ho la vocazione di fare e lo faccio”. Questa è una strada di corto respiro. Se vuoi fare davvero il volontario devi metterti a studiare. Cosa vuol dire studiare? Non vuol certo dire studiare per superare l’esame, ma significa acculturarsi. Purtroppo ci sono dei volontari che ancora confondono il principio di reciprocità con il principio dello scambio; che non sanno distinguere tra dono come regalo e dono come gratuità, eccetera.
Lei dipinge un quadro nero. La situazione sembrerebbe grave. In altri Paesi non è così?
Oggi c’è troppa informazione e c’è una carenza gravissima di educazione. L’informazione è utile, ma non basta. Se una persona vuole far parte di un’associazione, bene, sappia che deve accettare di tornare a “scuola”; una scuola ovviamente “sui generis”. Sono fermamente convinto che occorre che i volontari si mettano a “studiare”, a pensare, che frequentino certi ambienti. Dopotutto è quello che si è sempre fatto in ambito partitico, associazionistico, politico. Si è sempre fatto così, perché non si è parte di un qualsiasi ente se non si ha la conoscenza dei fondamenti ad ampio raggio. La stessa cosa deve valere per il volontariato.
Chi è allora il vero volontario: è anzitutto una persona che si sottopone a un massiccio programma di studio?
Sì. Perché se non si studia non ci può essere capacità di educare alla reciprocità. Solo attraverso lo studio le persone diventano libere. Libere dall’ignoranza, dal condizionamento, dalle manipolazioni. Io ho iniziato a fare volontariato all’età di 14 anni. La mia fortuna è stata quella di avere avuto maestri che mi hanno insegnato a studiare. Oggi occorre avere il coraggio di porre le seguenti condizioni: sei libero di entrare in questa associazione, però sappi che devi studiare. Invece, purtroppo, sta passando l’idea secondo cui le associazioni debbano prendere chiunque. Questa è la distruzione del volontariato.
Eppure a Milano è ormai attivo da anni un ventaglio di corsi di formazione per i volontari.
Vanno bene. Ma non bastano. I corsi di formazione insegnano le cose base, come quando si va a prendere la patente. Sono soltanto l’abc. Non sto dicendo che non ci vogliono, sostengo che non sono sufficienti. Io parlo di scuola vera e propria. Una volta i partiti, fino a circa 20 ani fa, avevano le scuole di partito. Quando le hanno chiuse si è vista la degenerazione che ha assunto la politica. Allora il volontariato deve fare le sue scuole, perché solo così viene fuori a nuova leadership.
Le persone oggi sono disposte a investire le proprie energie in questo tipo di percorso?
Sicuramente. E lo posso dire con certezza, perché per ragioni professionali giro parecchio l’Italia. Sostengo da tempo che se si facessero scuole vere e proprie di volontariato arriverebbero in tanti. Tenete conto che sono molte le persone dotate e generose che purtroppo rimangono deluse dalle esperienze che hanno vissuto nelle associazioni. Bisogna evitare che nel volontariato si inneschi un processo di selezione avversa, un processo che tende ad attrarre solamente i meno dotati sotto il profilo intellettivo. Basta pensare al volontariato come una sorta di “dopolavoro ferroviario” dove la gente va, parlotta, fa qualcosa pure di buono ma senza una strategia precisa. Oggi più che mai, in un mondo sempre più complesso, dobbiamo ritornare a un concetto forte e alto di azione gratuita.
0 commenti