La vocazione missionaria della Chiesa e della Congregazione della Missione

da | Nov 22, 2022 | Formazione vincenziana | 0 commenti

“Io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto”
(Gv 15,16)

Sessant’anni fa Papa Giovanni XXIII apriva una nuova finestra nella Chiesa da dove entrava un’aria nuova e fresca. Questi era principalmente l’aria missionaria, una riscoperta dell’identità ed essenza della stessa. Ogni anno, il mese di ottobre, cerchiamo di conservare la freschezza di quella aria missionaria pregando, riflettendo e principalmente testimoniando la nostra identità missionaria. I Papi succeduti a Giovanni XXIImo hanno continuato con insistenza che la sua vera identità e l’essenza si trova nella sua missionarietà. Nel nostro piccolo, anche noi membri della Congregazione della Missione (C.M.), nel mese d’ottobre riceviamo l’appello missionario dai nostri Superiori Generali, e questo fatto, pur non aderendo alle missioni che ci vengono proposte, abbiamo però la possibilità di ricordarci la nostra identità nella Chiesa e nella società: quella d’essere missionari come e con tutta la Chiesa. Non solo, la Famiglia Vincenziana, ha un’altra vocazione: quella d’essere “la coscienza missionaria o la sentinella” nel seno della Chiesa sin dal XVII secolo.

Tutti i Papi hanno sottolineato con insistenza sulla vocazione missionaria della Chiesa ma alcuni in modo particolare. Subito dopo il Concilio Vaticano II, Paolo VI l’ha fatto solennemente con la sua enciclica Evangelii Nuntiandi nella quale annunciava quale fosse la vera identità ed essenza della Chiesa quando disse: “evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare” (cfr. EN #14). Ovviamente, questa riflessione di Paolo VI era in continuità del magistero del Vaticano II, nella Lumen Gentium, ma ancora di più esplicitamente nella Ad Gentes, che diceva: la Chiesa, il popolo di Dio in cammino, è una Chiesa missionaria per sua natura (AG # 2). Per natura sua la Chiesa è “missionaria”. Papa Francesco qualche settimana dopo la sua elezione, il 28 marzo 2013, disse così a proposito dell’identità missionaria della chiesa come popolo di Dio: “…la nostra gente gradisce quando il Vangelo che predichiamo giunge alla sua vita quotidiana, quando scende come l’olio di Aronne fino ai bordi della realtà, quando illumina le situazioni limite, le periferie dove il popolo fedele è più esposto all’invasione di quanto vogliono saccheggiare la sua fede. La gente ci ringrazia perché sente che abbiamo pregato con le realtà della sua vita di ogni giorno, le sue pene e le sue gioie, le sue angustie e le sue speranze”. Papa Francesco è convinto che l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa (cfr. EG # 15).  Per questo, scrisse il Papa: “non possiamo più rimanere tranquilli, in attesa, dentro le nostre chiese” ma passare “da una pastorale di semplice conservazione a un pastorale decisamente missionaria” (EG #18).

Come si vede, per Papa Francesco, la questione della vocazione missionaria del popolo di Dio, la Chiesa, è diventata il cavallo di battaglia e fa bene. Tutto il Popolo di Dio, nessuno escluso, è chiamato ad essere “missionario”. Un missionario non con il volto triste e funebre ma un missionario gioioso e gaudioso. La gioia evangelica (EG #20-24). Per Francesco la Chiesa è chiamata a vivere in uno “stato permanente di missione” EG #25. Quindi, non è un compito temporaneo ma una missione “permanente e costantemente della vita” sull’esempio di Gesù, il missionario per eccellenza! Dunque, il Popolo di Dio, la Chiesa, è più bella quando è sporca e porta addosso l’odore del suo gregge; è sana quando si schiera con i feriti della storia e pianta la sua tenda per essere un ospedale da campo; è gloriosa quando è povera e umile e s’inchina per sollevare gli umiliati della storia dalla polvere. È davvero una vera riscoperta dell’identità missionaria della Chiesa! Oggi, come duemila anni fa, come ci dice Papa Francesco: “la sua azione missionaria è diventata il paradigma di ogni sua opera” (cfr. EG #15).

LO SPIRITO MISSIONARIO VINCENZIANO

San Vincenzo, quattro secoli prima di Papa Borgoglio, a noi suoi figli e figlie, ci aveva ricordato che la nostra dignità ed identità era nel nostro essere “missionari di Gesù Cristo”. Le nostre Costituzioni (CM+FdC) sono state plasmate da questo spirito. Ogni articolo ed ogni pagina delle nostre Costituzioni fa riferimento a questo spirito dal quale siamo nati. Sin dal 1625 e 1633 siamo nati come “missionari” e viviamo, dovremo vivere, da veri missionari se vogliamo onorare la nostra vocazione e la nostra identità. SV, come dice anche Papa Francesco, ci ha detto che siamo “missionari” in virtù del nostro battesimo (cfr. EG #120; Mt 28, 19). Papa Francesco parla della Chiesa “sempre in uscita” (EG #20-23) SV quando rientrava da qualche missione diceva: avevo la sensazione che le mura di Parigi crollassero addosso quando tornavo dalla missione… [San Vincenzo considerava se stesso un missionario delle periferie, dove sono i poveri più abbandonati e non delle grandi città come Parigi]. Ieri come oggi, se vogliamo conservare lo spirito missionario dovremo saper uscire dal nostro guscio, il nostro “confort zone”.

La nostra Congregazione, sin dalla sua nascita nel 1625 con delle sfumature aggiunte dall’Assemblea Generale del 1992, è una Congregazione in uscita. Concepisce se stessa sempre in cammino, appunto in uscita missionaria, in cerca dei poveri più abbandonati (C. #1) della storia. È una Congregazione che pretende di percorrere le vie del mondo per raggiungere i poveri nelle periferie geografiche ed esistenziali dell’umanità ferita, oppressa, abbandona, senza tetto… e pretende di piantare la sua tenda tra di loro. In certe zone del mondo, il Ciad e tanti altri, dove l’ombra dei Babau (alberi grandissimi e secolari) servono come le aule scolastiche, i membri della C.M. diventano maestri in queste aule che non ci sono nella massima umiltà e povertà. Uscire dal proprio confort zone, richiede sacrifici, mortificazione e prontezza alla deprivazione. Lo spirito missionario richiede, tra altre cose, anche questo sacrificio e rinnegamento di se stessi per seguire il missionario per eccellenza, Gesù. Se la Chiesa è chiamata ad essere “un ospedale ed ambulatorio mobile”, come direbbe Papa Francesco, a maggior ragione la Congregazione della Missione insieme a tutta la FV. Una famiglia capace di parlare al cuore degli uomini e delle donne del nostro tempo percorrendo le loro strade; usando dei metodi nuovi e creativi (Cost. #12) perché, SV ci dice, il vero amore è sempre creativo.

IL METODO D’EVANGELIZZAZIONE!

La questione del metodo è cruciale. Che cosa portiamo con noi quando usciamo in missione? Che metodo usiamo? Qual è l’obbiettivo da raggiungere? Sappiamo molto bene che in alcune nostre missioni la presenza dei Cristiani è zero o quasi. Mi vengono in mente le nostre missioni come in Tunisia e Turchia, Istanbul. Che senso ha “essere missionari in questi posti?” Che cosa bisogna fare e che cosa dobbiamo vendere visto che non possiamo vendere le parole del catechismo classico? Fare il proselitismo è anche un reato al punto da poter chiudere le nostre missioni immediatamente. Allora che cosa fare? Già questa domanda presume la missione “è un fare”, per questo è sbagliata. La vera missione, prima ancora del “fare” è “essere”. Se vediamo il metodo di Gesù e la prima Chiesa, non s’affannano alla conversione della massa. Non facevano il proselitismo dal Giudaismo, nostri fratelli maggiori. La diffusione del Cristianesimo nei primi secoli, come afferma Cardinale Ratzinger nel 1989, era attraverso la testimonianza di vita del credente, appunto, attraverso la testimonianza: “la conversione del mondo antico al Cristianesimo non fu il risultato di una attività pianificata dalla Chiesa, ma il frutto di una constatazione della fede resa visibile nella vita dei cristiani e nella comunità della Chiesa. Fu l’invito reale da esperienza ad esperienza, che ha costituito la forza missionaria della Chiesa antica”. Anche Giovanni Paolo II, nella sua Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte, 6 gennaio 2001, scrisse: non ci seduce certo la prospettiva ingenua che, di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi! Il metodo della nostra evangelizzazione nelle missioni, non può non essere attraverso la testimonianza di una vita coerente vissuta coerentemente. Il proselitismo non è un buon metodo. La testimonianza rende nobile il cristianesimo vissuto con dignità ed onore ed attrae molto di più come direbbe Mahtema Gandhi.

La conversione missionaria!

Parafrasando Papa Francesco possiamo dire che la Congregazione della Missione è “una congregazione sempre in uscita”. La nostra, come tutta la Chiesa, sta cercando di vivere la sua vocazione missionaria, nella fedeltà e tradimento, nei tanti alti e bassi della storia universale e particolare. È una Congregazione che, sin dal 1625, vuol essere povera e dei poveri, cioè «il luogo della misericordia gratuita, dove tutti possano sentirsi accolti, amati, perdonati e incoraggiati a vivere secondo la vita buona del Vangelo» (EG, n. 114). I figli e le figlie di SV sanno che il vero amore sta nei fatti e non nelle parole, l’amore effettivo (SV). Per rivelare questo suo amore infinito, Dio non aveva altro mezzo che scegliere i poveri e la povertà. La scelta della povertà, infatti, manifesta la gratuità della salvezza di Dio, il quale, “da ricco che era, si è fatto povero perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà” (cfr 2 Cor. 8,9). L’Amore per i poveri rende visibile il Dio invisibile. E noi siamo servi di questo amore nel massimo rispetto dei poveri: «il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire» (Marco 10,45). Papa Francesco, riferendosi all’umile servizio della Chiesa disse così: «a me l’immagine che viene è quella dell’infermiere, dell’infermiera in un ospedale: guarisce le ferite a una a una, ma con le sue mani. Dio si coinvolge, si immischia nelle nostre miserie, si avvicina alle nostre piaghe e le guarisce con le sue mani, e per avere mani si è fatto uomo» (Papa Francesco, in La mia porta è sempre aperta, Rizzoli 2013). Il suo linguaggio facile e diretto è molto interessante. La conversione di cui parliamo a proprio a questa semplicità di vita e di linguaggio, vivere la nostra vera identità: ESSERE MISSIONARI DEL PADRE SULLA SCIA DEL FIGLIO. Ci vuol il cambiamento della mente e del cuore.

Conclusione:

Siamo “missionari” per vocazione e scelta. Sì, noi siamo Vincenziani, figlie e figlie di San Vincenzo. Ma cosa vuol dire? La missionarietà ci distingue? La Chiesa ed il mondo ci riconoscono come “missionari”? siamo le sentinelle e la coscienza missionaria nella nostra Chiesa? Oppure ci siamo chiusi in noi stessi ed abbiamo cominciato a dire: tutto è cambiato! La società è evoluta, non è come una volta, quando siamo nati nel XVII secolo! Stiamo subendo passivamente l’evoluzione sociale? L’attuale società ed il suo stile di vita non dà spazio alle nostre missioni? Allora che cosa fare? Chiudiamo in noi stessi? Chiudersi ed alzare le mura in cerca del confort zone, ministeri che ci danno sicurezza e stabilità è una reazione troppo umana. Papa Francesco, del resto anche i nostri superiori generali lo stanno facendo dal 1992, ci chiedono di uscire in missione: “voi uscite per le strade e andate ai crocicchi, chiamate tutti quelli che troverete, nessuno escluso” (Mt. 22,9). Questo era anche il sogno del nostro fondatore, San Vincenzo. Il nostro uscire in missione, avere lo spirito missionario, per SV e Papa Francesco, non è niente altro se non quello d’essere vicino ai poveri e bisognosi della storia!

Zeracristos Yosief, C.M.
Fonte: https://cmglobal.org/

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