Matteo Tagliaferri

Premessa

a) Solo chi si sente povero, può accogliere l’altro nella sua povertà:

è difficile andare dal povero se non con un cuore uguale.

  • La dipendenza a livello planetario ricorda a tutti questa radicale povertà umana.

Un giorno mi domandai: perché in Comunità si può essere credenti o no, ebrei, musulmani, cristiani, di diverse culture eppure si va d’accordo, c’è armonia, e invece altrove tutto ciò può essere motivo di incomprensione e di violenza?

La risposta la trovai nel fatto che in Comunità tutti si sentono uguali; perché tutti hanno fatto esperienza e riconosciuto la loro povertà (dipendenza), cioè che l’uomo non basta a se stesso (cfr. Gen 3).

Perciò solo chi ha il cuore povero può accogliere l’altro nella sua povertà.
Infatti: il Padre si fa, in Gesù, Amore tenero e misericordioso solo a chi si sa povero!
(Dalla Preghiera degli operatori della Comunità in Dialogo). “… Grazie, perché questo coinvolgimento che fai di noi, lo fai a noi che ci sentiamo poveri, perché ogni altra persona che ci incontra con la sua povertà riceva da noi la stessa energia, forza e amore …”: la certezza dell’Amore fonda la speranza cristiana, e “voi – dice Paolo VI alla Famiglia Vincenziana – siete la speranza dei poveri”.

b) Favorire il protagonismo nell’affrontare le personali povertà.

  • Quando iniziai l’esperienza della Comunità In Dialogo, ormai 26 anni fa, pensavo che bastasse allontanare le persone che soffrivano la dipendenza dai propri luoghi e dalla sostanza (eroina, alcool, cocaina…), infatti queste certamente producevano gravi danni fisici e psichici, inoltre producevano spegnimento delle risorse interiori (riduzione della capacità valutativa, riduzione della libertà ecc…), e rendevano sempre più incapaci a vivere relazioni sempre più interessate ed edonistiche.
  • Poi quasi subito mi accorsi che dietro l’abuso, c’era una “persona” con i suoi disagi e insoddisfazioni che nascono dal fatto di sentirsi inadeguati di fronte alla realtà del vivere: la realtà infatti, pone limiti e comporta fatiche e sforzi per dare risposte con un senso positivo ad ogni situazione reale e umana. Così si formularono “principi di orientamento” per una soluzione positiva del problema. Così divenne necessario attivare un processo di maturazione della persona a livello conoscitivo, relazionale e spirituale.

L’urgenza di rispondere a tale situazione di disagio dei giovani (troppo sottovalutato), passava attraverso l’assunzione dell’impegno educativo nei riguardi della persona in difficoltà perché diventasse protagonista della propria vita. Per questo cominciammo a strutturare l’esperienza comunitaria mettendo la persona al centro dell’intervento educativo.

Da qui ci siamo dati regole, principi, ed altri strumenti educativi, per renderli capaci di rispondere positivamente alla loro realtà, e farli così protagonisti, soprattutto nelle dimensioni spirituali (spesso spente) e relazionali, risanando i loro vissuti di grosse sofferenze.

Da qui si è fatto evidente che la risposta solo medica al problema, pur necessaria, non era risolutiva perché non affrontava le cause del disagio, ma solo le conseguenze psicofisiche dell’abuso di sostanze.

  • Lungo il processo educativo, i giovani ripercorrevano criticamente le loro situazioni di disagio e sofferenze per non ricadervi. Nello stesso tempo diventavano critici non solo sui loro vecchi atteggiamenti inadeguati, ma critici anche verso la cultura più ampia che aveva determinato il loro disagio e malessere.

E secondo aspetti sistemici culturali, se uno è povero di qualcosa, è ancora più povero se non sa di cosa è povero!

Per questo cominciai a chiamare i giovani scampati da una cultura di morte, mutilata di trascendenza e analfabeta nei rapporti, per divenire svegliarini all’interno della stessa società.


 “DA QUI A DOVE”

1.a) Cosa intendiamo oggi per cura della salute e Servizi Sociali?

 Già diversi anni fa l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nella dichiarazione di Ottawa, afferma che ogni intervento sanitario deve essere fatto in modo da favorire il benessere della persona, la felicità e non semplicemente l’assenza di malattie e infermità. Noi siamo anche convinti, per la nostra esperienza, che la felicità è la conseguenza della capacità della persona di conoscere, scegliere e vivere i valori: vivere la libertà, la fiducia in se stessi, la creatività, ma anche di lasciarsi attrarre da valori quali la bellezza, la verità, la stima per l’essere umano, la responsabilità ecc.: valori che abitano la libertà e danno un senso, adeguato e positivo, ad ogni espressione umana.

  • Occorre ricordare anche come recenti ricerche a livello mondiale (fatta per vent’anni da due Università Statunitense su 180 paesi, cfr. rivista Lancet) abbiano indicato, tra le principali cause di malattia e di morte, il declino delle patologie tradizionali (come tubercolosi e HIV, legate spesso a carente igiene ed alimentazione, e ad una mancanza di prevenzione); e l’aumento delle dipendenze e delle psicopatologie. Tuttavia, l’abuso di tabacco tende a diminuire, mentre tende ad incrementarsi ulteriormente l’assunzione di sostanze stupefacenti e di psicofarmaci.
  • Da tutto questo emerge l’importanza dell’aspetto educativo-culturale per affrontare in radice il problema delle dipendenze a livello mondiale: la persona deve essere aiutata a trovare la parte migliore di sé, quella che ci fa più onesti, più sinceri, più umili, più autentici e più liberi. Questo produce un cambiamento nel modo di concepire l’esistenza che colpisce al cuore l’uso delle sostanze, quali esse siano (droghe, alcol, psicofarmaci…), perché così si impara a vivere con pienezza la propria esistenza!
  • Guardando la situazione dalla prospettiva educativa, ci sembra importante che i servizi sanitari tengano conto:
  1. che il proporre trattamenti con alti dosaggi a mantenimento, ad esempio di metadone, invece di rafforzare nella persona la necessaria presa di coscienza al cambiamento, favorisce ulteriormente  la normalizzazione, medicalizzazione e cronicizzazione del suo stato di confusione e di dipendenza. Non è questo rafforzato anche dall’idea comune che la tossicodipendenza è una malattia cronica, e per questo, si tende a curare appunto gli effetti e non rispondere alle cause dell’abuso?
  2. È anche necessario che i servizi sanitari non smettano di far incontrare il giovane, con la sua realtà e le conseguenze che sta pagando in termine di salute e di benessere, compromettendo i rapporti sociali e familiari. Per questo non bisogna abbandonare la persona in difficoltà, ma neppure minimizzargli la sua grave situazione con eccessivi dosaggi di farmaci e di metadone che a lungo andare spengono in loro la speranza di rivivere.

1.b) Come possiamo al contempo DARE e RICEVERE ciò di cui abbiamo bisogno per far rifiorire le relazioni fra di noi, vivendo in comunione con gli altri, es. cosa possiamo fare per il bene comune?

  •  Tante devianze ed esplosioni irrazionali nei giovani dipendono dalla carenza di relazioni affettive positive e mature, che non è stato dato loro di sperimentare già in famiglia: un dovuto non avuto negli anni delicati della crescita. Nella mia esperienza vedo spesso famiglie capaci di presenze affettive spesso poco mature, e soprattutto l’incapacità ad essere orientative. Gli adulti spesso sono portati più ad accontentare piuttosto che a promuovere!
  • Per andare oltre le dissonanze affettive e l’analfabetismo delle relazioni (spesso troppo interessate ed edonistiche), è necessario aiutare il giovane a passare dalla spasmodica ricerca dello star bene (dominio in lui della sfera egocentrico-egoistica), “al far stare bene”, cioè attivare e integrare l’affettività alla sfera dei valori e dell’amore gratuito e positivo. Per cui la capacità dell’affetto maturo va di pari passo con la maturazione dell’Amore: “… sappi che puoi sempre scegliere di amare!” recita un principio della Comunità. In Comunità si dice: “è una fortuna sentirsi amato, ma è una disgrazia non aver imparato ad amare!” Quindi, non solo amare, ma educare l’altro a diventare capace di amore maturo.
  • Questa capacità di maturare l’amore gratuito, la Comunità la favorisce attivando rapporti improntati:

all’ascolto profondo dell’altro: ascolto col cuore!
al senso di stupore di fronte all’altro: sono felice che esisti!
al rispetto che supera ogni forma di manipolazione dell’altro.

La riuscita di tale maturazione quindi la si raggiunge in Comunità quando la persona fa vera la frase: tu rivivi perché altri ti hanno accolto, amato, stimato; ma hai la vita dentro di te quando tu ridoni ciò che ti è stato dato per rivivere”.

1. c) Come può ciò che facciamo… e persino chi siamo… renderci agenti di cura (e non solo in termini sanitari) così da poter rimuovere le barriere che ci dividono dallo straniero?

  •  Si può essere specialisti o religiosi, senza essere interpellati anche nella responsabilità di persone adulte, coinvolte negli stessi interrogativi sul senso della vita e sulle relazioni che i giovani pongono con il loro malessere e fuga dalla realtà? Certamente per un intervento efficace bisogna non dimenticare che non si può sottovalutare la loro realtà di disagio e di inadeguatezza, né il senso che essa pone ad ogni essere umano.

Se, come dice Donald Winnicot: “saremo ancora troppo poveri se fossimo solo sani”, allora di quale ricchezza i giovani  e la cultura di oggi sono soprattutto poveri? Se uno è povero di qualcosa, è ancora più povero se non sa di cosa è povero!

  • Con la scienza ma oltre la scienza” vuol dire che se è necessario prendersi cura della persona e dei suoi “funzionamenti” neurobiologici e psicosociali, della sua natura studiabile, è anche necessario raccordare le “funzioni” al “fondamento” su cui poggiano. Ciò che trascende la natura lo si coglie più con lo stupore che con la ragione.

Curare le funzioni significa anche riconoscerne il “nucleo centrale”, ciò che permane nella “soggettività” oltre le disarmonie e disfunzioni che necessitano di cura.

Capire e decifrare con la scienza il linguaggio del macrocosmo come del microcosmo non significa inglobarne anche il fondamento su cui poggiano.

Oltre la nobilissima opera dell’uomo che è la scienza, è necessario cogliere l’essenza delle cose, e niente coglie tale “nucleo” dell’essere di una persona come l’amore. Ad esempio: chi è più a contatto con la realtà essenziale di un essere umano: chi ne coglie i tratti somatici e chi recepisce quel tanto che può dedurre di esso con la ragione, o chi, essendo dotato dell’empatica percezione dell’amore, percepisce la migliore realtà interiore e unica di esso?

 1.d) Come facciamo a rimanere concentrati sul povero, abbracciando la saggezza del povero stesso?

  •  L’esperienza della dipendenza a livello planetario ci porta a dover recuperare esistenzialmente e culturalmente la consapevolezza della radicale povertà umana, che ci fa tutti uguali: è come tornare all’esperienza primordiale dei progenitori. Non quindi la sufficienza dell’ottimismo scientifico – più sottile dipendenza della dipendenza da sostanze; ma neppure il perfezionismo religioso, che rischia non lasciar posto presuntuosamente all’agire di Dio nell’uomo.

Ma tutti parte della stessa famiglia umana radicalmente povera, tutti ugualmente poveri e bisognosi di Dio misericordioso: annunciarlo è come dire all’altro, incontrato nella sua povertà: come Dio ha amato me, nella mia povertà, così ama anche te nella tua. E l’Amore crea speranza!. E questo vale per ogni persona quale sia la sua appartenenza religiosa e culturale, quale sia il suo popolo e nazione.

In un convegno “Scienza e Spiritualità in ascolto del disagio, recupero del mistero”, rivolsi una domanda al rabbino capo di Roma, ad un rappresentante del centro culturale islamico di Roma e al vescovo della nostra diocesi: “quale Dio per l’uomo emarginato e in disagio, per l’uomo che sperimenta la solitudine e la disperazione?”

E tutti (Rabbino, Imam, Vescovo), partendo dai Libri (Bibbia, Vangelo, Corano), sembrarono rispondere quasi con lo stesso linguaggio: di fronte alla sofferenza e al disagio, dio è un Dio tenero, di misericordia, di giustizia e di bontà.

I cristiani poi riconoscono che Gesù è l’espressione tangibile, storica, di questo Evento–Grazia, di questo Amore incredibile del Padre, che rivela il Suo volto tenero e luminoso, rivela la Sua bontà e la Sua misericordia ai poveri. “Evangelizare pauperibus misit me…” (Lc).

  • Alcuni in Comunità, quale che sia la loro appartenenza di razza e di cultura, possono essere rimasti, dalle situazioni precedenti, fisicamente e psichicamente provati, eppure tali limiti non hanno impedito loro di esprimere positività e comunicare la loro parte migliore, anzi, appaiono non solo sereni, ma anche felici. Tutto ciò lo attribuiscono a ‘Qualcosa che è accaduto interiormente’ loro, di sentirsi ‘dentro Qualcosa di più Grande’, di sentirsi amati! A ciò attribuiscono lo sprigionarsi in loro di energie di bellezza, di coraggio, di novità, di creatività, di generosità e di amore.
  • Mounier richiama la necessità di fare culturalmente il passaggio dal “cogito ergo sum” cartesiano, all’ “amo ergo sum”: con la differenza che nell’atto di amore la persona si coglie non solo nel suo esistere (cogito), ma nell’esistere con pienezza! (amo).

Nell’attuare le potenzialità e il valore dell’amore quindi l’uomo, insieme alla pienezza mai esaurita, trova anche il Senso al suo vivere!

 1.e) I poveri ci manifestano i loro bisogni… essi sono lo spirito del Carisma Vincenziano.

  • È possibile parlare di emarginazione, di solitudine, fallimenti, distruzione … senza parlare di Amore? Ma è l’Amore per la persona, incontrata per se stessa, prima ancora che per il suo bisogno e la sua situazione. Infatti io non incontrai un tossico, un alcolista o un sieropositivo, ma incontrai Danilo, Claudio, Mario … che avevano dei problemi e insieme volevamo risolverli. Questa forza dell’insieme e dell’attenzione reciproca, è promozione per ciascuno!

È così che l’attenzione per le persone più diverse ci ha portato ad organizzarci e riorganizzarci continuamente per dare le risposte più adeguate alle esigenze delle singole persone, che fossero tossicodipendenti, alcolisti, giocatori d’azzardo, sieropositivi, carcerati, mamme con figli, destabilizzati a livello comportamentale e mentale ecc.; come pure pensare al loro reinserimento lavorativo, alle attività di prevenzione, agli incontri coi familiari ecc.: e tutto questo rispettando le diverse culture e religioni, come cristiani, musulmani, ebrei e atei, come pure persone di nazioni diverse e di differente provenienza sociale, di ogni età e condizione: ed è così che ciascuno, venendo accolto, rispettato e amato per se stesso come persona, ci si è ritrovati nel nucleo originario della medesima dignità umana che ci fa tutti grandi e ugualmente bisognosi gli uni degli altri. Riuscendo così a creare condizioni di amicizia e di solidarietà lì dove spesso c’è motivo di divisione, di odio, di intolleranza e persino di guerra.

Questo mettere al centro la persona e accoglierla in modo integrale nasce dal fatto che è Dio stesso che ha messo al centro di tutto la persona, perché è al centro del Suo Cuore; infatti anche Gesù ci dice: “il Padre mi ama perché dono la vita ai miei fratelli”. Quindi il pensiero, il progetto di Dio è l’uomo, perché viva! e viva del Suo Amore!

  •  È per questo che ci troviamo a dire: “Qual è la realtà più grande da salvaguardare sempre? È la persona! Accoglierla al di là di quello che appare o dice o fa, ma accoglierla per se stessa; accoglierla perché viva (o riviva): e questo perché sarebbe difficile a chi sta in situazione di emarginazione e devianza poter prendere in mano la propria vita e darle un valore, se non si sente accolto e amato, se non sente di essere un valore, di cui è bello sentirsene responsabili!

 Nella mia esperienza con Danilo, il primo ragazzo della Comunità, nel vederlo così sofferente e distrutto, mi sarei spogliato davanti a lui (“togliersi i sandali” – EG 169): vissi la paura che il mio essere prete lo caricasse chissà di quali pesi, volevo invece che Danilo si sentisse rispettato per se stesso, un rispetto dovuto ad ogni persona, e non come regalato da noi! È riconoscere quell’Immagine in lui che viene da Dio: “quello che avete fatto ad uno di questi piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25).

  • Ma nessuna persona si sente accolta per se stessa (come persona) se non da chi ha un cuore uguale. Uno scritto di un carcerato francese recita: “se io vado per la strada e tu mi offri la tua mano, e io prendo quella mano e tu ti accorgi chi sono io, e lasci quella mano; non ti meravigliare se domani un altro mi offrirà la sua mano, e io morderò quella mano, e io morderò quella mano”. Il sorgere della violenza nel carcerato, è certamente un problema per lui, ma rivela di aver un problema anche chi rifiuta quella mano! Con la differenza che il carcerato “sa” della sua realtà; l’altro no, non si conosce: il primo può migliorarsi, mentre l’altro è portato a giustificarsi; e non saprà mai cosa significa che “ogni uomo ha le sue ferite, ed è ferito là dove non è stato amato”.

 2. Il viaggio verso la Nuova Gerusalemme

 2.a) Una visione Vincenziana della salute e della casa: la Nuova Gerusalemme del profeta Isaia.

  • L’atto iniziale del Viaggio della Comunità sta nell’incontro tra una persona che viveva dell’amore ricevuto da anni che si trovava ad accogliere un’altra persona (Danilo) che chiedeva accoglienza e amore, chiedeva di sentirsi rispettato ed aiutato, di ricevere fiducia: l’atto iniziale di amore consistette nell’accogliere l’altro sentendosi uguale perché entrambi creature fragili, deboli e per questo fatte “umili”. In tale incontro si trova chi apre la casa e cambia il suo programma della giornata, e chi mette coraggio e fiducia che qualcosa di nuovo e di positivo ancora può accadere: l’amore è percepito come squisitezza e gentilezza reciproca, come ugualmente umili e aperti a un desiderio di bene che faceva reale la speranza in entrambi i cuori. Tali energie positive di amore si fanno intima concretezza e possibile apertura ad un Mistero più grande. “Amare qualcuno significa dirgli: ‘Tu non morirai!’. Amarlo in Cristo è dargli completa resurrezione!”.
  • Arrivando in Perù nel 2003, per rispondere ad una mamma che ci chiedeva di aiutare il suo figlio ‘drogadito’, scrissi ai primi giovani peruviani un messaggio:

“… Ecco gli amici che vengono dall’Italia, da lontano. Hanno risposto al tuo appello Jesus… Ora insieme costruite quella “Esperienza Umana” che sia “Casa” per ogni Persona che desidera trovarla: è la casa della propria interiorità, delle ferite accolte e rispettate, la casa dove ognuno, può credere di raggiungere il meglio di sé, perché amato e guardato nella sua dignità di persona, che nessuna situazione per quanto negativa, possa mai distruggere…”.

 Voglio ricordare anche le parole di Mirella, l’Operatrice che aprì il Centro del Perú, stroncata da un melanoma; qualche minuto prima di lasciarci, con commozione ci disse: “per me venire in Comunità fu come tornare a casa!”

E Carlo, un operatore che da poco ci ha lasciato dopo una dolorosa malattia, ci ha scritto:

“La Comunità è amore! Lo si sperimenta dal primo giorno e continui a sperimentarlo per tutta la vita, perché, qualunque sia il tuo cammino, ormai ‘Qualcosa’ ti ha toccato!”.

  •  Un giovane che tempo fa mi diceva di aver tentato più volte di togliersi la vita (con le droghe), alla domanda se ancora oggi voleva morire, si ribellava e gridava: “No, oggi voglio vivere! Ora so cosa mi fa vivo, e mi farebbe paura perderlo!” Cos’è allora questa vita che i giovani non trovano più?

3. Sfide / Strategie per questo nuovo paradigma.

  1.  Assumere il compito educativo come urgenza nella nostra società, la cui mancanza crea solitudine e le più diverse povertà e degrado, significa sviluppare il senso dell’altro, accogliersi e aiutarsi a migliorarsi (cfr. EG 170).

Senza attivare la spinta a migliorarsi, la persona rimarrebbe in situazione di rischio: nelle difficoltà della vita potrebbe riaccadergli di sentirsi abbandonato, al buio, nella disperazione, nel degrado!

La situazione sociale e culturale di oggi è mutilata di trascendenza, e viviamo un analfabetismo dei rapporti. I giovani hanno scritto all’entrata di un Centro: “Viviamo una cultura dai corpi ben sviluppati, le menti quasi sviluppate, e i cuori sottosviluppati”!

E San Vincenzo disse: “Questa notte ho scoperto una cosa terribile: che prima di salvare le anime, bisogna dare alla povera gente una vita che possa renderla cosciente di avere un’anima!”

È necessario educare a discernere tra:

  • cose importanti e cose centrali;
  • amore e verità insieme;
  • sviluppare e funzionare non è uguale a “migliorarsi”;
  • essere se stessi nella gioia dell’insieme!

L’uomo per “migliorare” se stesso, necessita dell’aspetto educativo: è possibile perché l’uomo è struttura trascendente!

Accompagnare con volontà educativa significa portare un po’ i pesi dell’altro, perché l’altro impari a portare i suoi: senza volontà educativa l’accompagnamento rischia l’assistenzialismo (cosa diversa anche se a volte necessaria).

Non c’è accompagnamento senza quindi accogliere la persona per se stessa, con rispetto e con fiducia.

2. Accompagnare educando all’Incontro con: “Quale Dio”?

a) Il nucleo dell’esperienza cristiana è: il Rivelarsi in modo tangibile l’Amore tenero del Padre, in Gesù: è Evento Grazia, insperato e stupendo: “ciò che abbiamo visto e udito e toccato del verbo della vita, lo annunziamo a voi …”: “quando noi stavamo ancora nel peccato, Dio ci ha amato per primo”: Amore gratuito e libero!

  • Si fa esperienza di Dio e della vita eterna, se l’Amore che Lui è, si fa “fatti” e azione concreta (è creazione, è incarnazione, è liberazione!). “Il Padre mi ama perché dono la vita per i miei fratelli!” (Gesù)
  • Dove c’è l’esperienza dell’Amore del Padre, si vive la percezione che “qualcosa sta accadendo”: è la rinascita dall’Alto!

N.B. Noi, quando riusciamo ad avvicinarci agli altri senza alcun interesse, col solo interesse che l’altro stia bene, che sperimenti, gratuito, il Bene?!!?

Il mio incontro con Danilo e la paura che il mio essere prete lo caricasse di chissà che cosa! “… mi sarei spogliato di tutto davanti a lui! … un rispetto dovuto”.

  • Perciò: la Gratuità è l’essenza dell’educare e dell’accompagnare all’Esperienza dell’Amore cristiano!

“Solo chi si sa povero può accogliere l’altro nella sua povertà”. È come dirgli: come il Padre ama me, nella mia povertà, così ama te nella tua!

  • Il valore fondante di ogni azione educativa ed evangelizzatrice è l’Evento Grazia: il Vivente vuole la vita per noi!
  • Inoltre: i poveri sono privilegiati e questo loro lo devono sapere anche dai nostri atteggiamenti nei loro riguardi!.

Conclusione

VERSO DOVE? 

  • La persona al centro: è il primo valore che può far esistere ogni altro valore: non esiste l’onestà se non c’è un uomo onesto. Non esiste una Comunità di carità se le persone non vivono tra loro l’amore-carità.
  • Dio Padre ha al centro del suo cuore la persona povera: rendiamo i poveri protagonisti di storia nuova, solo se ci si sente più umili e poveri di loro.
  • Dobbiamo non solo ascoltare i bisogni delle persone che vivono la loro povertà, dobbiamo ascoltare anche cosa dicono di noi, della nostra vita e della nostra fede, e lasciarci da ciò interpellare!
  • Dio ascolta sempre il grido del povero: stiamo nella Storia del Regno, che ha futuro solo se noi lavoriamo con Dio che vuole venir incontro al loro grido di dolore. Diversamente già viviamo una storia senza futuro! “Ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Magnificat).

 Trivigliano (FR) ITALIA, ottobre 2017

Document PDF: Da qui a dove? Simposio 2017


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