Trasformazione nella Chiesa e nella vita consacrata, una conferenza di don Valerio di Trapani, CM

da | Ott 18, 2024 | Formazione vincenziana | 0 commenti

Le Suore della Carità di San Giovanni Antide Thouret hanno condiviso sul loro sito web una conferenza di P. Valerio di Trapani, Visitatore della Provincia Italiana della Congregazione della Missione, tenuta da Zoom, il 5 ottobre, nell’ambito del programma di formazione permanente delle Suore. Dato il suo interesse per tutta la Famiglia Vincenziana, lo trascriviamo qui di seguito:

Trasformazione nella Chiesa e nella vita consacrata

Nel mondo occidentale siamo in un tempo di continue trasformazioni e cambiamenti che interessano gli Istituti di vita consacrata e le Diocesi: carenza di vocazioni, piramidi demografiche invertite, con molti anziani nel vertice e pochi giovani alla base, nonché molte uscite dalla vita religiosa. Questa situazione di trasformazione causa preoccupazioni, ansie e le conseguenze sono di ogni tipo: non soltanto pastorali e spirituali, ma istituzionali, economiche e sociali. Questa trasformazione che ora coinvolge le Chiese di antica evangelizzazione, potrebbe spostarsi presto anche nelle altre aree del mondo mettendo in discussione alcuni paradigmi della Chiesa e degli Istituti di vita consacrata.

Piuttosto che dilungarsi in un’analisi sui numeri, che ha poco attinenza nei fatti che riguardano la vita cristiana, come ci ricorda San Vincenzo – che diceva al Superiore di Sedan: tre fanno più di dieci quando Nostro Signore ci mette la mano, e ce la mette sempre quando toglie i mezzi per fare altrimenti – e come è sempre evidente nei Vangeli, la “piccolezza” che ci impone la storia di questi ultimi decenni, ci richiama alla necessità di rivedere il nostro modo di collocarci nella realtà in cui viviamo. La ricerca delle cause del numero esiguo di vocazioni, dell’alto numero di defezioni, dell’aumento dell’età dei consacrati, può farci diventare depressi o troppo concentrati su noi stessi, mentre dobbiamo ricordare che Dio è il Signore delle nostre vite. È il tempo di fidarci di Dio, di correre dei rischi e di non essere attaccati alle nostre sicurezze. Voi Suore della Carità, siete un modo necessario ed eccezionale di vivere la vita cristiana, avete qualcosa di cui il mondo ha bisogno: potete offrire una possibilità di significato, anche se sarete sempre più piccole. Siete chiamate a lasciarvi ‘catturare’ dagli uomini, dalle donne di oggi e soprattutto dai poveri, a cui donare la vostra vita.

Le trasformazioni nella Chiesa come un “Giubileo”

Mi sembra molto opportuno iniziare la riflessione sulla trasformazione e il cambiamento nella Chiesa e nella vita consacrata partendo dal tempo che ci stiamo preparando a vivere: il duplice Giubileo. Infatti, tra un paio di mesi tutta la Chiesa celebrerà il Giubileo e contemporaneamente la Congregazione della Missione, fondata da San Vincenzo de’ Paoli festeggia il “suo” Giubileo che fa memoria dei 400 anni dalla fondazione. Il termine giubileo deriva dall’ebraico yobel, che significa “capro” e richiama più precisamente il corno del capro, cioè lo strumento col quale veniva annunziato l’inizio dell’anno giubilare, che si celebrava ogni cinquant’anni, mentre ogni sette anni ricorreva l’anno sabbatico, durante il quale si lasciava riposare la terra: “Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell’espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. […] Nessuno di voi opprima il suo prossimo; temi il tuo Dio, poiché io sono il Signore, vostro Dio.” (cf Lv 25,8-17).

Durante l’anno del giubileo i terreni dovevano rimanere incolti e i debitori rientravano in possesso del patrimonio che avevano perduto, mentre i servi venivano liberati. Si trattava di una sorta di ritorno alle origini e di un nuovo inizio della storia umana: il giubileo ricordava il primato di Dio, che “il settimo giorno si riposò” e al quale appartiene la Terra, mentre l’uomo deve anzitutto lodarlo e ringraziarlo e condividere i beni terreni con gli altri uomini. Gli studiosi ritengono che esso abbia costituito un ideale utopico di giustizia e che le norme del Levitico sul condono dei debiti non siano mai state concretamente applicate. Esse evocavano comunque l’ideale messianico, poi richiamato dai profeti e da Gesù, che ‒ con le parole del profeta Isaia (61,1-3) ‒ disse di essere venuto a ridare la libertà agli schiavi e ai prigionieri e a “predicare un anno di grazia del Signore” (Luca 4,18-19).

Questa istituzione scritta nella Legge ebraica e promossa dalla classe sacerdotale aveva come destinatari i poveri e i deboli a cui venivano restituite la terra e la dignità. L’istituzione, che non venne mai realizzata, era una vera e propria rivoluzione che serviva a riportare le cose al loro posto, a ridonare libertà, a restituire proprietà e a fare vera giustizia. L’autore del Levitico, in altri termini, afferma che le trasformazioni e i cambiamenti servono ad essere fedeli al comando dell’amore per il prossimo (cf Lv 19,18).

Se è vero, perciò, che le trasformazioni e i cambiamenti servono per riaffermare la fedeltà a Dio, vi invito a leggere le crisi ei cambiamenti nella Chiesa e nella vita consacrata non come un fallimento, ma come una opportunità per riaffermare il primato di Dio e la necessità di cambiare il nostro cuore e le nostre strutture per renderle fedeli alla Parola di Dio che contiene sempre una promessa di bene.

Vincenzo de’ Paoli

Vincenzo de’ Paoli, grande riformatore nella Chiesa e operatore di cambiamenti, è stato spinto alla missione ai poveri e alla formazione del clero, dalla carità ardente, dallo zelo che lo animava e che lo ‘costringeva’ ad una condizione di agitazione continua: «È certo che la carità, quando prende possesso di un’anima, ne assorbe interamente le energie. Non dà tregua: è come un fuoco che s’agita senza interruzione, tenendo sempre in esercizio e in attività la persona che ne è avvinta» (SV, XI 216). La fedeltà alla vocazione di seguire Cristo evangelizzatore dei poveri, conduceva Vincenzo a vivere tenacemente in una condizione di attenzione ai segni dei tempi e continuo cambiamento di sé stesso e della realtà che lo circondava, superando immobilismi e convenienze. Mi vengono in mente, a questo proposito, le parole di San Vincenzo che raccontava dei fatti accaduti a Genova in seguito alla peste. I confratelli, costretti dalle circostanze, lasciarono in una settimana la loro casa per andarsene in una in affitto, cedendo la loro abitazione per realizzarne un ospedale per gli appestati. Vincenzo loda la fatica e la sofferenza dei confratelli che in pochi giorni hanno dovuto cambiare la loro abitazione, le loro abitudini e consegnare sé stessi a vantaggio dei poveri ammalati di peste. Il cambiamento è segno di fedeltà e comporta spesso privazioni e sofferenze: «Grazie a Dio, stanno soffrendo nel modo giusto, anzi beati loro che soffrono per il bene pubblico! Il loro è un soffrire per il bene di tutti: per Dio prima di tutto e poi per gli altri. Vedete, fratelli miei, dobbiamo essere disposti, anzi desiderare di soffrire per Dio e per il prossimo, di consumarci per questo» (SV, XI 402).

Santa Giovanna Antida Thouret

Santa Giovanna Antida è stata una donna intrepida, tenace, capace di cogliere nelle crisi del suo tempo (la rivoluzione francese, il dissidio con Mons. de Pressigny) non soltanto ostacoli, ma opportunità per collocarsi nella contemporaneità in modo diverso dal passato. In poco tempo, lei ha dovuto cambiare l’orizzonte interpretativo: durante la rivoluzione francese la Chiesa non era più riconosciuta quale comunità portatrice di valori significativi, ma come una organizzazione piena di pregiudizi e superstizioni. In queste mutate condizioni, sceglie con coraggio di educare in un pagliaio i ragazzi e le ragazze e continua a farsi accanto a tutti nei gesti della carità concreta medicando e curando le persone povere e ammalate. Lei continua a scegliere la fedeltà a Dio e alla Chiesa nel cambiamento, nonostante le ingiustizie subite a causa di esponenti della gerarchia. Nel cambiamento d’epoca non cambia la speranza di chi ama donandosi, ma le circostanze entro cui attuare in modo nuovo il disegno di Dio.

Il motto “Dio solo” è il sogno di Giovanna Antida che in un’epoca in cui prevale la ricerca assoluta del superfluo e del superficiale, acquista una forza dirompente e necessaria che afferma il primato di Dio, della spiritualità vissuta intensamente e del servizio ai poveri che sono immagine vivente di Cristo.

Osservare i segni dei tempi

Per collocarsi saggiamente dentro una storia di continui cambiamenti, è necessario osservare ciò che il Vaticano II chiama i «segni dei tempi». La Chiesa deve scrutarli a fondo (cfr GS 4), convinta che a guidare il popolo di Dio è lo Spirito del Signore che riempie l’universo; e nelle aspirazioni, negli avvenimenti e nelle richieste del nostro tempo, a cui essa prende parte insieme ai contemporanei, deve vedere i segni veri della presenza e dei progetti di Dio (cfr GS 11). Ascoltare attentamente, discernere e interpretare, con l’aiuto dello Spirito, le tante e svariate voci del nostro tempo è un dovere di tutto il popolo di Dio. Lo Spirito chiude alcune porte, ma ne apre altre.

Per discernere i segni dei tempi, tuttavia, si richiede una serie di disposizioni: innanzitutto, la convinzione che lo Spirito del Signore non agisce soltanto nella Chiesa, ma riempie l’universo. Per questo dobbiamo metterci all’ascolto, insieme con gli uomini dei nostri tempi, delle voci, delle aspirazioni e delle esigenze dell’umanità. Ciò comporta un atteggiamento ecclesiale di apertura, dialogo e prossimità al nostro mondo e al nostro tempo, al fine di conoscere che cosa Dio vuole dall’umanità. E richiede discernimento, per illuminare questa realtà con i valori del Vangelo e della vita di Gesù di Nazaret.

Applicando tutto questo alla vita delle Suore della Carità, possiamo domandarci se anche noi non ci troviamo in una situazione in cui lo Spirito ci chiude alcune porte, mentre ce ne apre altre. Dobbiamo discernere se le strutture attuali della nostra Congregazione rispondano ai segni dei tempi odierni o, piuttosto, a epoche superate della cristianità. Lo Spirito ci chiude le porte di una Comunità numerosa, potente, forte, di élite, autosufficiente e autoreferenziale, ma forse ci apre quelle di un altro stile di vita religiosa più evangelico e povero, più conforme ai segni dei tempi odierni.

Domandiamoci se la nostra esperienza del caos non possa orientarci a un kairos, a un tempo favorevole. (cf VIKTOR CODINA, La vita religiosa: dal caos al “kairos”? in “La Civiltà cattolica”, 2022 I, 167 – 179).

Siamo in un cambiamento d’epoca

Anche noi siamo costretti a passare all’altra riva (cf Mt 14,22) per riflettere e meditare sulla necessità di attuare i cambiamenti che la storia ci invita a considerare e che siamo chiamati a realizzare. È necessario considerare le parole del Santo Padre Francesco: «oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono dunque sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere. […] Dovunque voi siate, non costruite mai muri né frontiere, ma piazze e ospedali da campo» (Francesco, Discorso, Firenze 10 novembre 2015).

Il cambiamento non consiste nel tradire la storia delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida. Papa Francesco, ai partecipanti al Congresso internazionale sulla catechesi disse: «Per essere fedeli, per essere creativi, bisogna saper cambiare. Saper cambiare. E perché devo cambiare? È per adeguarmi alle circostanze nelle quali devo annunziare il Vangelo» (Francesco, Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale sulla catechesi, 27 settembre 2013). Il cambiamento afferma una duplice fedeltà tipica del Vangelo: fedeltà a Dio e fedeltà all’uomo.

Per non lasciarci travolgere dalle trasformazioni in atto nella Chiesa e nella vita consacrata è necessario prendere coscienza che cambiare è segno di fedeltà e che occorre rivedere le abitudini e gli schemi che sono in uso in Comunità a partire da un ‘sogno’ condiviso. Prima di cambiare le cose, occorre capire che direzione prende la Congregazione delle Suore della Carità, perché senza questa chiarezza di fondo si rischia, come dice Stephen R. Covey di “raddrizzare le sedie sul ponte del Titanic”. Capire tutti insieme che è necessario cambiare a partire da un sogno concreto, condiviso e narrabile, è il punto di partenza per individuare i criteri da attuare per compiere il cambiamento necessario nella Comunità. Se modifichiamo le strutture ma non condividiamo un sogno, rischiamo che la nostra nave affondi mentre siamo tutti protesi a riordinare gli ambienti.

Occorre anche attivare processi, decidere e mettere in atto delle sperimentazioni che non rispondano più alle urgenze, ma alle priorità che rendono concreto il sogno, la visione che insieme si condivide. Perché questo processo di cambiamento che ci rende fedeli a Dio e alla storia che cambia, è necessario che il fuoco del sogno rimanga sempre acceso e che ci siano dei custodi che impediscano che esso si spenga.

Condividiamo un sogno

Il Papa accende continuamente fuochi e sogna una Chiesa dalle porte aperte, accogliente, un ospedale da campo, una Chiesa in uscita, per portare a tutti la fede e per avviarsi verso le periferie esistenziali e geografiche dove la gente vive e soffre. Una Chiesa che odori di pecora, che non sia doganiera ma misericordiosa, e che non sia autoreferenziale ma una piramide invertita, poliedrica, sinodale. Una Chiesa in cui i poveri e la loro pietà siano un luogo teologico privilegiato (cfr EG 197- 201).

Iniziamo a sognare, ponendoci sul monte, in preghiera e attenti a scrutare i segni del firmamento, perché dopo tanta siccità il cielo possa tornare a donare l’acqua ristoratrice che irriga il campo che è la Chiesa (cf 1Re, 18,41-46). Torniamo a sognare, condividendo la vita della gente, aprendo le nostre case, radicalmente alle loro storie che sono gravide di vita spirituale e che ci consentono di vedere lo Spirito che opera nella loro storia. Torniamo a sognare, scegliendo di volerci bene nonostante le nostre differenze anagrafiche e culturali, imparando la carità dai gesti di fraternità che costruiamo tra noi e tra la comunità e i fratelli e le sorelle con cui condividiamo la fede.

In quest’epoca di cambiamenti, il Signore vi accompagni come fece con i discepoli ad Emmaus, facendovi ascoltare la Parola, infiammando i vostri cuori e lasciandovi assaporare la bellezza di cambiar strada, di tornare trasformati, rinnovati, felici a percorrere sentieri inattesi indicati da Dio.

Infiammati d’amore possiate vivere la virtù vincenziana dello zelo amando intensamente il Signore e i poveri in modi sempre nuovi, evitando di rimanere legati ai ministeri e servizi che talvolta si ripetono, sempre uguali, da anni. San Vincenzo, ormai avanti negli anni, sentiva l’obbligo di lavorare per la salvezza pronto anche alla novità, al cambiamento:

«Qualcuno potrà addurre l’età come scusa. Quanto a me, nonostante la mia età, davanti a Dio non mi sento scusato dall’obbligo che ho di lavorare per la salvezza dei poveri. Chi potrebbe impedirmelo? Se non potessi predicare tutti i giorni, lo farei due volte alla settimana; se non potessi salire sui grandi pulpiti, cercherei di predicare ai piccoli; e se neanche potessi essere ascoltato da questi piccoli, chi m’impedirebbe di parlare alla buona e familiarmente al buon popolo, come vi parlo ora, facendolo avvicinare in circolo come siete voi?» (SV XI, 136)

Il Signore vi doni lo zelo, la passione per il servizio e la promozione dei poveri che è contagiosa e come il fuoco si diffonde e si comunica anche ai giovani, agli uomini e alle donne che conosciamo e che dobbiamo coinvolgere nella missione di servire i poveri. Il Signore vi aiuti a formare comunità cristiane di consacrati e laici che sappiano vivere accanto ai poveri e che siano capaci di educare alla cura del debole.

P. Valerio di Trapani, CM
Fonte:  https://www.suoredellacarita.org/

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