Una carità che non conosce limiti

da | Ott 19, 2020 | Formazione vincenziana | 0 commenti

Vi invitiamo a scoprire Federico Ozanam attraverso i suoi stessi scritti, co-fondatore della Società di San Vincenzo de’ Paoli e uno dei membri più amati della Famiglia Vincenziana (di cui forse sappiamo ancora poco).

Federico ha scritto molto nei suoi poco più di 40 anni di vita. Questi testi – che ci giungono da un passato non troppo lontano – sono il riflesso della realtà familiare, sociale ed ecclesiale vissuta dal loro autore che, per molti aspetti, ha delle analogie con ciò che si vive oggi, in particolare per quanto riguarda le disuguaglianze e le ingiustizie subite da milioni di persone impoverite nel nostro mondo.

Commento:

La giustizia umana ha i suoi limiti, le sue carenze, le sue ingiustizie all’interno della giustizia. Come possiamo ammettere che ci sono diversi tipi di “giudici”, uno per i potenti e i ricchi, un altro per i poveri e gli indifesi? Siamo così ingenui da continuare a pensare che, oggi, la giustizia è uguale per tutti? Basta guardare alla realtà: in molti casi, i crimini commessi dai potenti sono a malapena puniti, mentre molti, colpevoli e innocenti, marciscono nelle carceri perché non hanno soldi per pagare i buoni avvocati.

Per il credente che segue Gesù Cristo, la carità equivale all’amore, il principio delle virtù teologali. Purtroppo, a volte si tende a equiparare la carità all’altruismo, alla filantropia, alla generosità o alla solidarietà. E questo è un grave errore.

La carità è il comandamento principale del cristiano:

Uno di loro, un dottore della legge, gli chiese di metterlo alla prova: “Maestro, qual è il comandamento principale della legge?” Egli disse: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo comandamento è il capo e il primo comandamento. La seconda è così: “Amerai il tuo prossimo come te stesso. In questi due comandamenti sono rispettati tutta la legge e i profeti”[1].

Questi comandi – che appaiono già nell’Antico Testamento[2] – sono simili, e non possono essere compresi l’uno senza l’altro.

Il nostro prossimo – lo dice chiaramente il Vangelo – è ogni essere umano, uomo o donna, amico o nemico, al quale dobbiamo rispetto, considerazione, stima e al quale porgiamo la nostra mano senza giudizio. L’amore per il prossimo è universale e personale allo stesso tempo. Essa abbraccia tutta l’umanità e si concretizza in colui che è al vostro fianco.

Federico ci chiede di “consumare la nostra vita, sacrificandola” a favore degli altri, e di farlo “per amore”. Ci chiede, insomma, di andare ben oltre la giustizia degli uomini e di fondare la nostra esistenza sull’unico, seppur doppio, mandato di Gesù Cristo. Unico, perché chi ama Dio e ama il prossimo rispetta tutta la legge. I Dieci Comandamenti sono così riassunti in due, che alla fine possono essere sintetizzati in uno solo: amare.

Tutto questo ci obbliga anche a lottare per un mondo più giusto, a lavorare perché la giustizia sia uguale per tutti, e perché sia veramente efficace, da realizzare. Non possiamo ignorare il mondo, e dobbiamo collaborare per renderlo più giusto e fraterno. Offrendo la nostra vita in questo modo, faremo solo ciò che Dio ci ha chiesto. “Servi inutili”, dice Federico, ricordando senza dubbio quelle parole di Gesù nel passo evangelico: “Quando avrete fatto tutto ciò che vi è stato comandato, dite: ‘siamo servi inutili, abbiamo fatto ciò che dovevamo fare'”[3].

Suggerimenti per la riflessione personale e il dialogo di gruppo:

  1. Nella nostra vita, nel nostro ambiente, amore e carità sono trattati allo stesso modo, sono sinonimi?
  2. Come credenti e vincenziani, quali azioni intraprendiamo – o potremmo intraprendere – per promuovere una giustizia universale ed equa per tutti? Quali impegni abbiamo con le agenzie che lavorano per la giustizia e che agiscono nelle strutture dello sviluppo?
  3. Come e con cosa combattiamo le “strutture del peccato” che opprimono l’uomo?

Note:

[1]   Mt 22,35-40.

[2]   Ad esempio, Es 20:1-17 e Lev 19:18.

[3]   Lc 17,7-10.

Javier F. Chento
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