Un volontariato che contribuisce a rendere più sicura la società

da | Gen 1, 2010 | Carcere | 0 commenti

Il volontariato in carcere è visto spesso con sospetto, accusato di
“buonismo”, considerato troppo generoso con i “cattivi”. Forse invece
bisognerebbe riflettere sul fatto che, contribuendo a rendere un po´
più umane le carceri, i volontari contribuiscono anche a rendere più
sicura la società. Perché che cosa succederebbe se facessimo oggi un
triste esperimento, e cioè svuotassimo le galere di tutte le attività
fatte da associazioni di volontariato, dai colloqui alle persone che
non hanno le famiglie vicine, alla fornitura dei prodotti per l´igiene
e il vestiario, dalla gestione delle biblioteche a corsi e altre
attività culturali e formative? resterebbe quasi il deserto, un
deserto sovraffollato e degradato, da cui uscirebbero, a fine pena,
persone più pericolose di quando sono entrate.

Il silenzioso popolo dei volontari delle carceri

Mi chiamo Filippo, sono tossicodipendente e attualmente sono detenuto
nella Casa di Reclusione di Padova. Vorrei fare una breve riflessione
sull´importanza che hanno avuto e stanno avendo per me delle persone
di cui si parla molto poco, anche perché non viene data loro molta
voce: i silenziosi ed instancabili operatori volontari. Sono persone
che liberamente ogni giorno entrano nelle patrie galere per offrire il
loro sopporto ai detenuti, indipendentemente dall´appartenenza
religiosa o dalla nazionalità. Credo che alcuni abbiano alle spalle un
percorso individuale, per diversi motivi, più o meno triste (per
esempio ricordo Gianpasquale, che iniziò ad entrare in carcere e ad
occuparsi di tossicodipendenti dopo un mortale incidente in
motocicletta avuto da suo figlio). Per me sono stati l´unico contatto
“civile” con il mondo libero e credo che le loro motivazioni si
possano racchiudere nelle parole “umanità e compassione”. Mi hanno
ascoltato nei momenti più duri, in cui mi sentivo abbandonato da
tutti, hanno chiamato i miei famigliari (quando li avevo!), o
l´avvocato d´ufficio, quando ne avevo bisogno. Nelle molte
carcerazioni, legate indissolubilmente ai miei trascorsi di
tossicodipendente all´ultimo stadio, quando venivo arrestato e portato
in carcere solo con i vestiti che indossavo, mi hanno aiutato ad avere
biancheria di ricambio, qualche capo pesante per l´inverno o anche
solo una saponetta per l´igiene personale. Questo principalmente nei
primi tempi di detenzione, ma l´aiuto che mi hanno dato non si ferma
solo a questo. Da quello che sono riuscito a capire, anche parecchie
attività che si svolgono in galera, alle quali ho potuto partecipare
(corsi, gruppi di mediazione e/o supporto, istruzione), sono
realizzate grazie a gruppi di volontari. Per anni mi sono chiesto, e
talvolta ho chiesto loro, cosa li spinge ad entrare in quello che è
considerato il posto più brutto che ci possa essere della società
civile, per giunta senza essere pagati o ricevendo solo qualche
saltuario rimborso spese e con il rischio concreto di essere additati
come personaggi strani, “fuori moda”, che vanno a perdere il loro
tempo con i “criminali”. Penso si rendano conto di sopperire in modo
incisivo alle attuali gravi mancanze dello stato nei confronti della
disastrosa e inumana situazione delle carceri e questo a “costo zero”,
svolgendo talvolta anche il ruolo di importante cuscinetto
ammortizzatore tra l´autorità costituita e l´attuale popolazione
detenuta, crogiuolo di razze e nazionalità diverse, di persone sempre
più spesso disperate e tossicodipendenti come me. Dopo molti anni di
carcere mi sono convinto che se ad un tratto, come per magia,
scomparissero o semplicemente si “stancassero”, nelle carceri, visti
anche i recenti nuovi tagli, sarebbe il preludio al caos e ad una
detenzione solo repressiva.

Filippo F.

Fonte: Redazione di Ristretti Orizzonti

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