Dalla rubrica "Lettere dal carcere" del Mattino di Padova-1^ parte

da | Gen 18, 2010 | Carcere, Politiche sociali | 0 commenti

Ci sono vittime che fanno sì che alla violenza non segua altra violenza.

A cura della redazione di Ristretti Orizzonti – Mattino di Padova, rubrica “Lettere dal carcere”, 11 gennaio 2010

Sabina Rossa, figlia di Guido Rossa, operaio dell’Italsider ucciso dalle Brigate Rosse, e Olga D’Antona, moglie del giurista anche lui ucciso dai terroristi, sono intervenute di recente nella Casa di reclusione di Padova, nel corso del Congresso dell’associazione Nessuno tocchi Caino, organizzato in collaborazione con la redazione di Ristretti Orizzonti. E con la loro testimonianza hanno dimostrato quanto sia importante che vittime di reati così gravi sappiano andare oltre l’odio e chiedere una giustizia mite per gli autori di reato.

Io credo profondamente nell’uomo e nella sua possibilità di cambiare

Io sono qui anche per raccontare la mia storia personale: quello che penso oggi, quello che muove le mie azioni è infatti il risultato di un percorso, che mi ha portato ad un certo punto a ricercare un incontro e un confronto con Vincenzo Guagliardo. Vincenzo Guagliardo è stato condannato all’ergastolo ed è in carcere dal 1980, oggi è in regime di semilibertà. Il 24 gennaio del 1979 era in via Fracchia a Genova, dove io abitavo con la mia famiglia, ad aspettare mio padre, colpevole per le Brigate Rosse di aver denunciato un fiancheggiatore che svolgeva azione di propaganda nella fabbrica in cui egli stesso lavorava. Colpevole di aver scelto allora, in quel clima, quando le Brigate Rosse cercavano una legittimazione da parte della classe operaia, di aver scelto da che parte stare. Questo incontro devo dire mi ha cambiata nel profondo, quello che io sono oggi penso che sia il frutto di tante rielaborazioni di questo incontro e credo che questo incontro abbia cambiato anche lui.

È l’esigenza di ottenere giustizia che le vittime in primo luogo manifestano, perché ottenere giustizia non è un fatto privato, che riguardi solo le vittime dei reati, ma è un bene collettivo che tende a ricostruire quell’ideale di comunità, quel sistema di regole, che vengono infrante quando viene commesso un atto criminoso.

Dopo aver incontrato Vincenzo Guagliardo ho parlato con il giudice di sorveglianza, il giudice che deve decidere sulla sua scarcerazione, per dire che il brigatista che nel gennaio del ‘79 sparò al sindacalista Guido Rossa oggi è un’altra persona. Sono convinta di quello che dico, quando dico che questa persona oggi per quello che io ho potuto verificare merita di lasciare il carcere, e questo dopo trent’anni di reclusione. Quell’uomo invece è ancora in carcere, gli è stata infatti rifiutata per la seconda volta la richiesta di liberazione condizionale, perché non ha voluto pubblicizzare quello che è stato l’incontro con me, né si è rivolto ad altre vittime, ritenendo che la sua fosse la forma migliore per rispettarle.

Io sono profondamente convinta che i parenti di una vittima non debbano decidere della sorte di chi è ritenuto colpevole, questa è, come dice anche Mario Calabresi nel suo libro “Spostando la notte più in là”, un’idea inaccettabile e assurda: per i condannati è ovvio che possa esserci anche un possibile uso strumentale finalizzato unicamente all’ottenimento del beneficio, per le vittime è una pesante incombenza, della quale non hanno assolutamente bisogno e che spesso va a riaprire ferite mai rimarginate.
Personalmente io rispetto chi, con riservatezza e rimanendo in silenzio, compie un proprio percorso di rieducazione e di reinserimento. Ed è in questo senso che ho ritenuto necessario presentare una proposta di legge per sostituire il “sicuro ravvedimento”, richiesto dal Codice penale per concedere la liberazione condizionale, e che per molti giudici si misura proprio dal contatto diretto tra colpevoli e vittime, con una formula diversa per la quale può uscire dal carcere, nel caso degli ergastolani dopo 26 anni, chi ha tenuto un comportamento tale da far ritenere concluso positivamente il percorso rieducativo di cui all’articolo 27 della nostra Costituzione. È una proposta questa che va anche nella direzione dell’abolizione dell’ergastolo, ergastolo che di fatto, fra differenzazioni, divieti e prassi contorte, nega ogni possibilità di reinserimento anche per chi ha preso definitivamente la distanza dall’esperienza del reato, quindi nega ogni possibilità di cambiamento.
Io credo profondamente nell’uomo e credo nella sua possibilità di cambiare. La mia è una proposta che va nella direzione indicata dalla nostra Costituzione, secondo cui la pena deve operare sulla base del concetto di rieducazione e di recupero del condannato.

Sabina Rossa

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