Trentaduesima domenica del Tempo Ordinario C di p. Giorgio Bontempi c.m.

da | Nov 5, 2016 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

2Maccabei 7,1-2.9-14;
Salmo 16;
2Tessalonicesi 2,16-3,5;
Luca 20,27-38

Lectio

Nel brano del vangelo in questione, l’autore sottolinea come i sadducei s’incontrino con Gesù, non per ascoltare la sua parola, ma per metterlo in difficoltà.
La risposta di Gesù, riguardo alla domanda relativa a chi avrebbe posseduto la donna nell’aldilà perché era stata sposata con sette fratelli, è chiara: si tratta della contestazione del matrimonio ebraico, in cui la donna era ridotta a merce di scambio. Infatti, se leggiamo attentamente il brano evangelico, notiamo come alla donna non sia chiesto alcun parere, se voleva o meno sposare coloro che l’hanno presa in moglie.
È evidente come, nel nuovo popolo di Dio: la Chiesa, la concezione del matrimonio sia completamente diversa da quella ebraica. Infatti la coppia si sceglie per amore e il loro rapporto dovrà essere improntato a quello tra Cristo sposo e la Chiesa sposa.
Ecco perché, in paradiso, non ci sarà più il matrimonio ebraico, ma sussisterà quello cristiano. Infatti, nelle preghiere eucaristiche II e III e nel prefazio di san Giuseppe, Si ricorda che questi è lo sposo della Beata Vergine Maria. Quindi se san Giuseppe è lo sposo, anche Maria è la sposa. Quindi il matrimonio continua anche i paradiso, certamente in modo perfetto e non com’era vissuto su questa terra.

Meditatio

Una certa visione angelica del cristianesimo, che facilmente ha dato origine a quel concetto di carità che è fondamentalmente vigliaccheria (tacere, coprire, non dire, far finta di…..) che, insieme al sistema clericale – che fa molto uso di tale concetto di carità pelosa – è il tumore maligno all’interno della Chiesa (clero, religiosi e laici) che dobbiamo debellare al più presto. Papa Francesco è di esempio in questo combattimento.
Ora, la suddetta concezione di carità aveva anche portato avanti l’idea che il matrimonio era rimedio alla concupiscenza. Quindi, una persona si sposava se non era stato in grado di entrare negli stati di perfezione (vita sacerdotale, vita monastica, vita religiosa, vita da consacrato laico). Il brano del vangelo in questione era divenuto uno dei cavalli di battaglia, per sostenere la tesi del matrimonio rimedio alla concupiscenza.

Dopo il Concilio Vaticano II, abbiamo recuperato il concetto del matrimonio come vocazione (cfr. Ef. 5). Infatti la vita matrimoniale dipende dalla chiamata ricevuta dal Signore a servire la Chiesa come sposi. Ora, tale chiamata non è in contrasto con il sacramento dell’Ordine. Infatti, nella Chiesa esistono sia diaconi che preti sposati (si tratta dei preti cattolici di rito orientale). Comunque, quello che è importante è che il matrimonio sia una vocazione e non un diritto a prendere la persona che s’intende prendere senza che ella dia il proprio consenso.
Purtroppo, lungo i secoli – specialmente nel primo millennio cristiano -, quando le famiglie nobili, riuscirono a mettere le mani sulla gerarchia della Chiesa, la prassi dei matrimoni combinati dalle famiglie, divenne una consuetudine e…..il matrimonio, spesso e volentieri, si definì la tomba dell’amore….e oggi ne stiamo pagando il prezzo.

Il matrimonio cristiano invece, è una vocazione, una chiamata del Signore a condividere la vita con una persona dell’altro sesso: unità nella diversità. Infatti, tra uomini e donne siamo diversi come lo sono un libro da una scarpa! Ora, i nostri padri non erano a conoscenza di tutto questo e, sperimentando che la natura femminile, proprio perché tale, era diversa da quella maschile, hanno ricamato sopra le cose più strane, fino ad arrivare alla stregoneria.
Invece si tratta di un modo di leggere la realtà diverso da quello maschile: più razionale, più freddo, più superficiale. A differenza del femminile: più intuitivo, più speculativo, più attento al particolare.
Unità nella diversità, come ritroviamo nel modello trinitario. Allora in un matrimonio l’attenzione all’altro dovrà essere la costante quotidiana; come l’affrontare insieme i problemi che si presentano, nella gioia e nel dolore.
Una donna si sente amata se è ascoltata, per una donna fare le cose insieme è fondamentale. Insieme non significa che i due sposi siano materialmente presenti, ma insieme significa, per esempio, poter sempre contattare l’altro per discutere del come risolvere la difficoltà. Si può essere molto lontani chilometricamente ma sempre vicini e viceversa. L’importante è la continua condivisione nell’amore, perché il primo prossimo in cui incontrare il Risorto è il proprio coniuge e con questi si decide come servire la Chiesa.
Chiedo scusa per il lungo protrarsi di questa meditatio.

Buona domenica.

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