Terza domenica di Quaresima B Di p. Giorgio Bontempi c.m.

da | Mar 6, 2015 | La Parola per la Chiesa | 0 commenti

Esodo 20,1-17;
Salmo 18;
1Corinzi 1,22-25;
Giovanni 2,13-25

Lectio

Sul brano evangelico di questa domenica si è detto e scritto molto. Questo è preso a modello tutte le volte che qualcuno del clero si rivela attaccato eccessivamente al denaro. Ma sono tutti accostamenti fuori luogo, che lasciano il tempo che trovano.
In realtà qual’era la situazione in cui si viveva il culto celebrato nel tempio di Gerusalemme?
C’erano i cambiavalute, qual’era il loro compito? Essi cambiavano la moneta romana, quella che era in uso sul mercato, con la moneta del tempio.
Infatti la moneta romana era coniata dai pagani. Entrare in contatto con qualsiasi cosa che era usata dai pagani, significava contrarre il peccato, contravvenire ai precetti della legge di Mosè. Ecco perché gli ebrei osservanti, come i farisei, tornati dal mercato i cui erano entrati in contatto con il mondo pagano – persone e cose – si lavavano fino al gomito, prima di sedersi a tavola: era il rito di purificazione.
Perché Gesù si è scagliato così violentemente contro queste usanze ormai consolidate? Perché Gesù intendeva insegnare agli ebrei che il culto non si rendeva a Dio in modo formale. Cioè, prima compro, vendo, investo: curo i miei interessi, anche se debbo usare una moneta pagana, poi compio la purificazione, cambio la moneta pagana con quella del tempio e compio il sacrificio. Ma tutto questo era un uso che bisognava fare, non c’era un sentimento d’amore verso Dio. Si trattava soltanto di eseguire un cerimoniale, per tenere buona la divinità. Era un po’ come quando le pie suore prendevano più Messe per, come dicevano, aumentare la grazia!
Invece il Signore annuncia ai suoi correligionari che con Dio è necessario instaurare un rapporto d’amore disinteressato, perché così è scritto nel concetto di Alleanza: Dio si auto comunica all’uomo e questi risponde con la fede e l’obbedienza alla Parola.
Nel brano tratto dal libro dell’Esodo si nota come la fede, non sia una serie di verità in cui credere, ma un rapporto instaurato con Dio, improntato sull’amore gratuito.

Meditatio

La nostra meditazione verterà sul tema del culto, del rito. Il culto è ciò che l’uomo tributa a Dio, per esprimere – attraverso il rito – ciò che vive quotidianamente. Il rito, infatti, è una serie di gesti e di parole, che si pongono in atto in un tempo preciso, con regole ben precise. La partita di calcio è un rito. Naturalmente mi riferisco alle partite ufficiali: quelle disputate nei diversi campionati e nei tornei delle Coppe europee, o dei campionati del mondo.
Se questo lo applichiamo al culto cristiano, o meglio, alla liturgia della Chiesa: ecco le conseguenze. La liturgia della chiesa è il culto pubblico e ufficiale che Cristo offre al Padre.
Naturalmente Cristo è lo sposo della chiesa, della comunità cristiana, quindi quando offre tale culto è sempre unito alla chiesa (= ricordo che il termine chiesa deriva dal greco antico ekklesìa, che significa comunità). Ecco perché non esiste un cristianesimo personale. Inoltre ricordiamo che Cristo ha fondato la comunità su dodici persone, perché nel linguaggio ebraico dodici significava popolo, perché dodici sono le tribù che fondano Israele. Quindi il gesto di Gesù fu giustamente interpretato dai capi del popolo ebraico, come il gesto di una persona che voleva fondare un nuovo popolo di Dio, come in realtà è successo.
Quindi il culto cristiano ha come centro il voler dire, tramite le parole ed i gesti:
1. siamo riuniti come comunità cristiana;
2. al centro c’è il Signore risorto;
3. il Risorto è presente: nella comunità riunita, nella Parola proclamata – se stiamo celebrando l’Eucarestia – nel pane e nel vino, che lo Spirito Santo, su richiesta della Chiesa, tramuta in Cristo risorto.
4. il Risorto è anche presente nel segno della mensa, che ricorda il Signore morto e risorto e la tovaglia simboleggia la tunica senza cuciture, che i soldati romani la giocarono ai dadi. Invece la luce: Cristo luce nel nostro cammino quotidiano. Le candele non servono per illuminare o per porre un qualcosa ai piedi della divinità. Esprimono il nostro seguire la luce di Cristo: il vangelo.
5. il Risorto è presente nel segno del Lezionario, che non è la parola di Dio, ma è il segno della Parola che risuona in ogni cuore. Per questo i libri liturgici debbono essere tenuti con la massima cura. La fotografia della persona amata, non è la persona amata, ma ha un valore incommensurabile e la conserviamo con amore. Ecco il libro liturgico è come la fotografia della persona amata.

In ogni celebrazione l’assemblea, che ne è il soggetto celebrante, afferma di essere Chiesa: insieme camminare, collaborare, costruire la Chiesa, solo e soltanto come manovali.
L’assemblea afferma che gli ultimi saranno i primi: la cura dei poveri, degli ultimi, di tutte quelle categorie che la società del profitto scarta.

Ecco che cosa si dice in ogni celebrazione liturgica. Che pena quando si vedono persone che, durante le celebrazioni, sono presenti con il corpo, ma assenti con il cuore, perché intente a compiere le loro devozioni. Oppure, a parlare con il vicino, a cercare un posto più comodo, perché giunte in ritardo. Sono come coloro che si recano in un posto in cui si regalano delle pietre preziose e, invece di accaparrarsene, fanno tutt’altro, perdendo un’occasione che potrebbe mutare economicamente la loro vita.

Buona domenica.

Prima lettura
Es 20,1-17

Dal libro dell’Èsodo
In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:
Non avrai altri dèi di fronte a me.
Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Ricordati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato.
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.
Non ucciderai.
Non commetterai adulterio.
Non ruberai.
Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».

[Forma breve: Es 20, 1-3.7-8.12-17

Dal libro dell’Èsodo

In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:
Non avrai altri dèi di fronte a me.
Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo.
Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.
Non ucciderai.
Non commetterai adulterio.
Non ruberai.
Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».]

Salmo responsoriale
Sal 18

R.: Signore, tu hai parole di vita eterna.

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.

Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante.

Seconda lettura
1Cor 1,22-25

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.
Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Vangelo
Gv 2,13-25

Dal Vangelo secondo Giovanni
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

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